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 2014  gennaio 25 Sabato calendario

ELENA SOFIA RICCI «IO, MINA VAGANTE DEL SET»


Quell’insopportabile Elena Sofia Ricci. Che dal palcoscenico dei grandi classici passa disinvoltamente alla commedia, al cinema e alla tv d’impegno. E quanto è fastidiosa quell’espressione così solare che stona con l’aria apparentemente tormentata di tante attrici. Lei, le inquietudini, sue carissime nemiche da sempre, le tiene per sé, con il pudore di chi non mette in piazza freudiani dubbi, lacerazioni, sentimenti. Senza contare che tra Tennessee Williams e Shakespeare, tra Nichetti e Ferrario, fa la moglie, la madre, affronta i problemi quotidiani alla garibaldina. E quando ti dice che mai si farebbe cambiare la faccia dal botox o dal bisturi («non sarei più la stessa»), allora è davvero troppo...
È reduce da due set, Elena Sofia. Le due leggi, lavoro per Raiuno con la regia di Luciano Manuzzi, e Allacciate le cinture, nuovo film di Ferzan Ozpetek che uscirà nelle sale in marzo. E tra poco riprenderà il velo della caotica anticonformista suor Angela in Che Dio ci aiuti 3.
La seconda volta con Ozpetek.
«Giunto dopo tanta fiction e teatro, lo stravagante, delizioso ruolo nelle Mine vaganti mi ha fatto fare pace con un cinema che non così spesso si ricorda di me. E con Ferzan è stato un incontro fulminante».
Il suo personaggio?
«Quello di una zia, come in Mine vaganti, ma più bizzaro del primo, anzi, ai confini della realtà: sono preda di “solo” sei disturbi della personalità. La mia è solo una partecipazione. Ma sono felice di averla fatta, durante le riprese si respira l’atmosfera di una fabbrica di cinema, magica per chi fa il mio mestiere. Infatti ho detto a Ferzan: se non mi dai la parte, tutti i giorni vengo sul set e vi porto il caffé. Chissà, forse gli ha fatto l’effetto di una minaccia, fatto sta che mi ha preso».
Nelle Due leggi invece è una novella Antigone.
«Un ruolo che ha soddisfatto la mia voglia di affrontare temi sociali, scottanti, attuali. Interpreto una di quelle direttrici di banca con il pelo sullo stomaco, spregiudicata, che non si ferma davanti a nulla, che non conosce la pietas ma ha il chiodo fisso della carriera, a discapito dei piccoli imprenditori. Finché un giorno, uno di questi non si dà fuoco proprio nella banca. Lei si ferma. Come un meccanismo che si inceppa all’improvviso. La banca non solo non la licenzia ma tenta di insabbiare tutto. Lei allora apre gli occhi, non ci sta più a giochi sporchi anche se legali sulla carta, cerca il riscatto e pur di fare luce, ottenere giustizia, si auto denuncia, finisce in galera».
Una tragedia all’ordine del giorno. Che cosa pensa di questa Italia?
«Bisogna essere fiduciosi, altrimenti meglio spararsi. Tutti puntiamo il dito scontro la classe politica, ma chi l’ha eletta? Noi. Noi che non riusciamo a scrollarci di dosso i furbi, i ladri. Non riesco a capire perché non si faccia una legge fiscale come quella Usa dove si fattura tutto, è possibile scaricare dalle tasse fino all’ultimo centesimo, nessuno evade».
Come la protagonista della fiction, le capita di tornare sui suoi passi?
«Ho cambiato idea e vita tante volte, fino a essere quella sono, una donna che va d’accordo con se stessa, con la sua immagine».
Paura del tempo che passa?
«Quando avevo 16 anni non vedevo l’ora di averne 40. Avevo ragione. È stata l’età più bella, con tutte le battaglie quotidiane, la famiglia allargata. Mi dicevo: altri 40 così mi starebbero bene. Poi sono arrivati i 50. Adoro la vita, e l’idea di avere meno tempo di una volta, be’, mi fa girare le scatole».
La carriera?
«Quando ero una ragazza pensavo di dovermi sbrigare, di dover fare tutto perché poi il lavoro sarebbe diminuito, invece fatico a ritagliarmi una vacanza, un pizzico di sacrosanto riposo. Ma è normale se come me sei raccomandata: il mio unico grande sponsor è il pubblico. E al pubblico sono grata».