Filippo Ceccarelli, la Repubblica 25/1/2014, 25 gennaio 2014
IL BATTESIMO DI TOTI E LA MISTICA DEL CAVALIERE
BIANCO è il colore delle vesti dei beati, «emblema di purezza e gloria» secondo l’Apocalisse. Ora, suona cervellotico, ma il rito d’investitura di Giovanni Toti, nominato consigliere di Forza Italia, aveva già avuto luogo in forma solenne sul balcone di un centro benessere denominato Villa Paradiso.
E— guarda caso — il prescelto indossava una specie di candida tuta XL, o forse più, confezione sportiva comunque adattabile a eventi sacrali e inaugurali.
Ieri Toti è andato anche dal Papa. Poi è tornato alla Beautyfarm. Nella foto rituale Berlusconi, al fianco di Toti, salutava la folla come un sovrano che insedia una novità, un fiduciario esterno nel cuore del suo stesso potere. Ancora una volta non c’era bisogno di parole.
Ammesso e non concesso che egli debba o voglia spiegare le sue decisioni, la scelta di questo prediletto alieno appare tanto più inesorabile quanto più sintomatica e insieme misteriosa. L’impressione è che il Cavaliere, stanco e seccato degli impicci e delle baruffe del partito, sia ritornato d’istinto alle origini, a Milano, a Mediaset, alla risorsa primigenia delle reti televisive.
E’ sicuro che Toti, fino all’altro giorno direttore del Tg4, reca impresso il marchio di Confalonieri; e se, anche per questo, non si può definire una pura emanazione di Marina, è comunque da lei molto stimato, e un po’ da tutti a Cologno Monzese.
La monarchia aziendale ha logiche per loro natura estranee alla democrazia. E’ plausibile che prima di assurgere al nuovo compito l’uomo sia stato messo alla prova dal re. I telespettatori italiani l’hanno intravisto per la prima volta non molti mesi fa, nel corso di due disperatissimi speciali — «La guerra dei vent’anni» — girati in prossimità della sentenza per così dire delle olgettine. Berlusconi, in tuta scura, era seduto su un divano rosso, parlava, parlava, parlava, e Toti annuiva con energica convinzione. Poi si è vista anche la sala del bunga bunga e un sacco di ninnoli e fiocchetti che allietano la villa di Arcore.
Ma la prova del fuoco, anche in quel caso, c’era già stata e il direttore l’aveva superata con maestria chiudendo in fretta e senza schiamazzi l’uscita di Fede, sbaraccando rubriche di gossip che gli stavano decisamente a cuore e normalizzando la belle époque delle meteorine. Non era facile, ma il garbo e la diplomazia sono doni di natura. Fede, che non li possiede in massimo grado, ha in qualche modo avvalorato le virtù del suo successore: «Io mandavo la gente affanculo, lui no»; quindi, richiesto di un parere sul prosieguo della carriera di Toti in politica, non senza consapevole invidia sempre alla sua maniera s’è appellato all’amante invisibile, cioè alla fortuna: «Ha avuto un gran culo».
Di questo si potrà discutere. Per il resto l’aneddotica sul personaggio non è sterminata. Toscano della Versilia, 45 anni, figlio di albergatore, stage a Mediaset e via così fino ad oggi come figura eminentemente d’azienda. Socievole, sgobbone, flemmatico, cortese, solido, quindi affidabile. D’aspetto un po’ buffo, se fosse un cartone sarebbe l’Orso Yoghi, ma non per la voce. Sposato con una giorna-lista, anche lei Mediaset. Nozze civili e ricevimento al Twiga (Briatore & Brosio, una botta di vita), vacanze a Saint Tropez, passione per gli orologi, buona conoscenza dei vini — pare utile, quest’ultima, a far colpo con i maggiorenti Fininvest all’inizio della scalata.
Vent’anni di berlusconismo hanno forgiato o per certi versi ripristinato un comando di tipo cortigiano di cui Toti è l’ultimo prodotto maturo. Anche, ma non solo per questo, amazzoni, orchi e pitonesse lo detestano, anche se detesterebbero chiunque gli fosse imposto da fuori e dall’alto. Lui, magari, un po’ meno perché la moderazione e la prudenza, insieme a una certa astuta o dissimulata consapevolezza dei propri limiti, lo guidano. In questo gode la simpatia di Letta, e pure con Alfano ha mantenuto un buon rapporto. Berlusconi naturalmente l’ha testato a suon di sondaggi. Forse gli ha fatto anche dare qualche lezione da qualcuno che stima. In tv viene bene, nei talk tiene botta, ma non suscita particolari entusiasmi. In altre parole, Giovanni Toti non è un capo politico e non è l’anti-Renzi.
Però Sua Maestà se lo porta lo stesso al centro benessere; a Roma lo nutre e soprattutto lo ospita a Palazzo Grazioli, con Francesca e Mariarosaria; ad Arcore gli ha fatto passare addirittura le vacanze del Santo Natale e questo basti a rendere il grado di vicinanza al Sole.
Presso il quale tuttavia, come avviene da che mondo è mondo, ci si può tuttavia anche scottare. In questo senso, e scivolando nell’inevitabile commedia che sempre aleggia sulle vicende italiane rendendole allegre e ciniche ad un tempo, appare significativa la facezia che l’egotico sovrano ha dispensato non si è capito bene a chi, e comunque: «Tutto quello che tocco diventa famoso, guardate Dudù e Toti». A tale proposito si può aggiungere che nella formidabile istantanea di Berlusconi e Putin che giocano con il barboncino di corte, la diavolesca creatività della rete ha inserito una scimmietta con il volto di Toti che con un balzo intercetta la palletta.
Anche questi d’altra parte sono i pegni che si bruciano insieme all’incenso sull’altare del successo, del potere e della popolarità. Volti nuovi, «facce fresche » (come scherzava Andreotti), personaggi inventati da un giorno all’altro, imposti in bianche vesti, poi magari destinati ad aprire sentieri e allargare strade per qualcun altro, o qualcun’altra. L’azienda, la famiglia, la figlia, Marina. La vita che scorre, il tempo che stringe e il potere che un po’ si rinnova, ma un altro po’ come tutto si consuma.