Sergio Romano, Corriere della Sera 25/1/2014, 25 gennaio 2014
UNIONE POLITICA O ECONOMICA SCELTA EUROPEA DI 60 ANNI FA
Al di là degli auspici che ascolteremo e leggeremo nei mesi a venire, è quasi certo che le prossime elezioni europee vedranno il successo delle formazioni avverse all’Unione. E sarà un risultato scontato per molti motivi. La crisi economica, l’avversione verso la burocrazia di Bruxelles, la mancanza di quell’identità «continentale» che si continua ad avere solo a parole. Ciò che però le vorrei chiedere è se davvero sia stata una scelta obbligata quella di creare prima un’Europa economica che politica? Nel senso che il dare la precedenza alla moneta unica, il tanto colpevolizzato euro, piuttosto che a ricercare «uniformità» di altro genere non avesse alternative?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani,
La partita non è stata ancora giocata e i risultati dipendono dal modo in cui i candidati faranno la loro campagna elettorale. Spero ancora che abbiano il coraggio di andare contro corrente e di spiegare ai loro elettori che cosa sarebbe accaduto se i governi avessero dato retta al coro degli euroscettici. Non si torna alla moneta nazionale senza innescare un processo di svalutazioni competitive che metterebbero in discussione l’esistenza del mercato unico. Non si torna indietro sulla strada dell’integrazione senza rinunciare ai fondi strutturali, alla libera circolazione delle persone e delle merci, alla solidarietà della Banca centrale europea e dei meccanismi creati dopo la crisi. Le vicende di questi ultimi anni dimostrano che di fronte al dilemma «andare avanti o tornare indietro», tutti i governi, anche quelli meno euro-entusiasti, hanno deciso di andare avanti. I populisti sfruttano i malumori e le legittime preoccupazioni di molti europei, ma non ci hanno mai spiegato che cosa farebbero, concretamente, se avessero responsabilità di governo. Non amo l’ottimismo di maniera, ma non amo neppure il pessimismo di chi perde le battaglie prima ancora di farle.
Nella sua lettera, caro Taliani, lei si chiede se fosse davvero necessario cominciare dall’Europa economica piuttosto che dall’Europa politica. La scelta fu imposta dalle circostanze. Durante il negoziato per la creazione di una Comunità europea di difesa, all’inizio degli anni Cinquanta, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, chiese e ottenne che l’Assemblea parlamentare della Ced divenisse Assemblea costituente. L’obiettivo era chiaro: creare un esercito comune e di lì ripartire immediatamente per costituire una unione in cui vi sarebbero stati, anzitutto, un solo ministro degli Esteri e un solo ministro della Difesa.
Ma il trattato cadde all’Assemblea nazionale francese il 20 agosto 1954, undici giorni dopo la morte di De Gasperi, e i maggiori esponenti dell’europeismo europeo (fra cui, per l’Italia, Gaetano Martino) ritennero che era opportuno superare lo stallo con il grande progetto economico del Mercato comune. Fu una mossa provvidenziale perché gli avvenimenti degli anni successivi avrebbero reso il progetto politico ancora più difficile. Penso al ritorno del generale De Gaulle al potere nel maggio 1958, all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea e al progressivo allargamento, soprattutto dopo il crollo del sistema sovietico. Questa Europa sovrappeso ha avuto il merito il facilitare il passaggio degli ex satelliti alla democrazia e al mercato, ma non farà mai la propria unione politica. Non è impossibile immaginare, invece, che i Paesi dell’eurozona possano essere spinti dalla logica dell’integrazione economica e monetaria verso forme crescenti di unità.