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 2014  gennaio 25 Sabato calendario

TIZIANA E LA MAMMA NEL FREEZER “COSÌ INVENTAVA LA VITA A UN FANTASMA”


Una casa come tante, una solitudine come tante. La figlia, per i vicini, era “la signora col cagnolino”, oppure “la donna con il colbacco”. La madre, per tutti, era solo un fantasma. Quattro anni con lei morta, chiusa nel freezer. Quattro anni senza un rumore, senza un odore, senza un sospetto. Quattro anni con le finestre sbarrate, con le tapparelle abbassate. E mai nessuno che avesse un dubbio, che si chiedesse che fine avesse fatto quell’anziana, invisibile signora. Malata? Inventata? Sparita?
La figlia, Tiziana De Vecchi, 52 anni. La madre, Paola Puricelli, 82 anni. In cucina, una tomba: il congelatore. E molto più gelo intorno, nelle vite degli altri. «Mai vista la vecchia, invece la pazza la incontravo tutti i giorni». Samuela Zimbone ha il negozio di parrucchiera proprio accanto al portone di viale Marazza 44, da una parte lei, dall’altra il Credito Piemontese, in mezzo una specie di abisso. «La chiamo la pazza, però non so mica se lo fosse, diciamo che era ben strana, si vestiva di nero anche ad agosto e portava certi vecchi cappellini, e scialli enormi. Una donna antica, sembrava più vecchia di quello che era. Parlava sempre di questa madre che nessuno ha mai visto. Diceva: vado a comprare il prosciutto per la mia mamma malata». Alle cassiere del Carrefour, venti metri più avanti, la figlia diceva invece: «Oggi prendo gli gnocchi per mamma che non può masticare, sta sempre a letto, è invalida».
Morta da almeno quattro anni, messa nel congelatore quando già parzialmente decomposta, questo dicono i primi rilievi sul cadavere escludendo violenza, dunque omicidio. “Resteremo sempre vicine”, scrisse la figlia nella lettera di Pasqua 2010. All’Inps, la pensione minima è stata sempre riscossa, qualche centinaio di euro al mese, unico reddito per la figlia viva e per la madre morta. «Ma io non giudico, ci sono troppi pensionati ridotti alla fame, gente che non può pagarsi neppure il funerale». Gianni Moroso, il barista del Jolly, vedeva sempre la bizzarra signora: «Mi faceva pena e tenerezza, lei col suo cagnetto bianco. Due anni fa, il cane fu investito proprio qui davanti e la donna rimase sola. La conosciamo tutti: si metteva un enorme colbacco di pelliccia, e dentro ci arrotolava la sua lunga treccia brizzolata».
Il cane si chiamava Pepe. «Un mattino l’ho visto morire spiaccicato, proprio qui», la parrucchiera Samuela indica l’asfalto. «E per un mese e mezzo, la pazza è andata a spasso con un carrello della spesa coperto, io dico che dentro c’era proprio il cane, ci giurerei». Il cane, il colbacco, la treccia. Oggetti e animali, quelli restano in mente, niente di più. «Mai visto una signora anziana nell’appartamento sopra il mio», racconta Silvano Frizzolin, condomino del quinto piano. Al sesto, la figlia e la madre. È una casa che mette inquietudine, ci abitò pure Balduccio Di Maggio, il pentito che fece arrestare Totò Riina. L’ascensore non si apre sul pianerottolo, ma direttamente di fronte alle porte degli appartamenti: impossibile incontrarsi, conoscersi. Lo dice anche l’avvocato Eugenio Cerutti, che ha lo studio qui: «Mai saputo niente della madre, e della figlia ricordo solo il cane che sulle scale abbaiava come un forsennato».
Due vite remote, chiuse al mondo. «E mai un rumore dentro la casa, mai una finestra aperta, mai la visita di un medico. In effetti, non si sentiva parlare nessuno, lì dentro». Anna Maria Solito è la vicina della porta accanto. Ma qui, la parola “accanto” significa “a mille miliardi di chilometri”. Un dramma della povertà? Il cervello che si sfarina per troppo dolore? «La signora De Vecchi non ha mai chiesto il sussidio di povertà», dice il sindaco Anna Tinivella. «Tutto registrato, e queste due persone non compaiono negli elenchi». Anche perché la figlia era residente altrove, a Belgirate, e la madre nel milanese. Nessun nome sul campanello, così trascorrono i fantasmi, nessuno li conosce, nessuno li pensa, nessuno se ne occupa, niente parenti, niente amici, niente di niente. «Qualche volta, la figlia si fermava su una panchina al parco e si metteva a cantare», racconta Maria Beltramini, un’altra donna del borgo. E la madre? «Ma chi era la madre?». La madre stava rannicchiata nel congelatore forse comprato apposta, dentro due sacchi della spazzatura, uno bianco e uno verde.
«Ho alzato lo sportello, ho visto il corpo mummificato, si distingueva benissimo la testa, c’era un odore tremendo»: Fabio Bertone è il vigile urbano che ha scoperto il corpo insieme alla giovane collega Chiara Farutta, ancora scossa: «Non dimenticherò questa cosa per tutta la vita, tu pensi che certe cose possano succedere solo nei film americani, e invece».
Adesso la madre è all’obitorio, la figlia è piantonata in ospedale dopo un leggero ictus: sarà denunciata per occultamento di cadavere e truffa, a meno che l’autopsia non dica di più. Vivevano qui dal 2007 ed è come se non ci fossero mai state. Restano solo impressioni, margini di foto sfocate. Restano minuzie. Un cane bianco, un colbacco nero, una treccia. La madre era un fantasma, la figlia dicono esistesse. La sua voce, quando le andava, cantava canzoni.