Ferdinando Camon, La Stampa - Tutto Libri 25/1/2014, 25 gennaio 2014
QUANDO GALLIMARD “BOCCIÒ” PRIMO LEVI
Quando uscì in Italia I sommersi e i salvati di Primo Levi, consigliai subito alla Gallimard di tradurlo. Il direttore della Gallimard era Hector Bianciotti, grande scrittore, nato in Argentina da genitori piemontesi, scappato in Francia quand’era un ragazzo, persona mite, affabile, gentile, con un senso squisito per i libri. Più tardi sarà nominato membro de l’Académie Française, l’Accademia degli Immortali. Per l’occasione si vestì con un giacchetto verde bordato in oro, pantaloni verdi corti al ginocchio, spadino al fianco. Io avrei dovuto comprami un frac, ma non avevo i soldi, e rinunciai. Me ne pento ancora. Levi non era tradotto in Francia, e questo mi sembrava assurdo. Io avevo tutte le opere tradotte da Gallimard e avevo un rapporto col direttore Bianciotti. Quando gli scrivevo affinché traducesse I sommersi e i salvati, per telefono rispondeva: «Ferdinandò, non ci piace». Insistevo: «È il più grande errore della vostra vita». Chiamo Libération per chiedere spazio, un paio di pagine nelle quali spiegare ai francesi perché devono leggere Levi. Libération accetta. Mando il pezzo, piuttosto lungo. Levi muore di sabato. Libération mi chiama alla domenica, mi legge tutta la traduzione del pezzo, lo approvo parola per parola, il pezzo esce. Il martedì mi arriva una lettera di Primo Levi.
Levi era morto al ritorno dalla solita passeggiatina di fine settimana, e io mi dico: «Se m’arriva oggi, martedì, questa lettera l’ha imbucata sabato, a metà passeggiata, e allora qui mi spiega perché ha deciso di uccidersi». Apro la lettera. È una lettera vitale, piena di progetti, «mi mandi l’articolo di Libération quando esce, mi sappia dire se Gallimard vuole qualche altra copia dei miei libri», non è affatto la lettera di uno che dieci minuti dopo si suicida. Perciò io sono fra coloro (siamo tre o quattro) che non credono al suicidio. Non ho le prove del voler-morire, mentre ho le prove del voler-vivere. Pochi giorni dopo mi chiama Bianciotti: «L’editore Albin Michel vuol prendere I sommersi e i salvati, ti preghiamo di dire alla signora Lucia che anche noi prendiamo I sommersi e i salvati». Lucia era la moglie di Primo.
Una settimana dopo altra telefonata: «Albin Michel vuol prendere due libri di Levi, di’ alla signora Lucia che anche noi prendiamo quelle due opere». Un mese dopo mi trovo a Brescia, alla libreria Ulisse (che adesso non c’è più), sto presentando un mio libro, La donna dei fili, squilla il telefono: era ancora Bianciotti che mi cercava trafelato: «Albin Michel vuol prendere quattro libri, ti preghiamo di trasmettere alla signora Lucia, e alla casa Einaudi, questo messaggio: la Gallimard è disposta a prendere tutti i libri di Levi che si possono prendere, a condizioni non inferiori a quelle di nessun altro».
Non è finita. Due settimane dopo, altra telefonata di Bianciotti: «Albin Michel vuol portarci in tribunale, dice: “Voi l’avete rifiutato e io l’ho preso, perché mi ostacolate?, ritiratevi”, se tu ci mandi quella lettera di Levi, nella quale esprime il desiderio di essere pubblicato da Gallimard, ci aiuti». Mando una fotocopia della lettera, e la questione si chiude: Primo Levi esce da Gallimard. C’è un piccolo strascico: quando esce in Francia I sommersi e i salvati, l’Istituto Italiano di Cultura organizza una giornata di presentazione. La sede dell’Istituto è in Rue de Varenne 50, pubblica una rivista che si chiama col nome della via e numero civico. È una sede magnifica, ampia e sontuosa. Le stanze sono piene, tutta la Parigi colta aspetta. C’è anche il maggior critico letterario italiano, Lorenzo Mondo. Io arrivo, ho appena varcato la porta e un signore che non conosco mi s’accosta mormorando una cantilena: «Monsieur Camon, io non la benedico, io non la benedico». Il Direttore dell’Istituto accorre e mi trascina via. Gli chiedo: «Chi è questo signore?», «Mah niente, non ci badi», «E perché non mi benedice?», «È il traduttore che Albin Michel aveva già assunto, gli dispiace molto di non essere lui a tradurre Levi, e pensa che la causa sia lei». Le cose sono andate così.