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 2014  gennaio 25 Sabato calendario

SE YELLEN SALVA L’EURO


La forza dell’euro nei confronti delle principali valute internazionali ha contribuito ad aggravare negli ultimi anni la crisi economica dell’area della valuta unica europea, in particolare nei Paesi periferici, e ha attirato molte critiche nei confronti della Bce. A dare forza ai detrattori delle autorità monetarie di Francoforte saranno i risultati del quarto trimestre dell’anno che le società esportatrici presenteranno nelle prossime settimane.

Molte di queste, come evidenziato per esempio dal produttore di elettrodomestici francese Groupe Seb, vedranno i propri conti molto penalizzati dai rialzi dell’euro nei confronti delle principali valute internazionali, in particolare di quelle emergenti. Una situazione che potrebbe ulteriormente peggiorare nel primo trimestre dell’anno se le valute emergenti continueranno a muoversi come nelle scorse settimane. In questo scenario molte società esportatrici potrebbero decidere di ridurre gli investimenti o di delocalizzare ancora di più la produzione, pesando sulla ripresa economica di Eurolandia.

La politica meno espansiva della Bce rispetto a quella di Fed, Bank of England e Bank of Japan è alla base dei rialzi nei confronti delle rispettive valute di riferimento nel corso del 2013, mentre la debolezza delle valute emergenti è da attribuire a minori flussi di investimento in quei Paesi. Se da una parte le valute emergenti dovrebbero continuare a restare deboli anche nei prossimi mesi, con il calo dei flussi verso quei Paesi, che difficilmente può essere contrastato, dall’altra qualche segnale d’inversione di tendenza dell’euro nei confronti di dollaro, sterlina e yen è emerso nelle prime settimane dell’anno.

Di particolare rilievo per le economie dell’area euro è il rialzo di sterlina (+1,6%) e dollaro (+0,4%). Entrambe le valute sono state sostenute dai recenti miglioramenti dell’economia, che hanno spinto gli investitori a scommettere sulla rimozione della politica monetaria espansiva nei prossimi mesi. Con riferimento alla sterlina, è stato il calo del tasso di disoccupazione al 7,1% ad aumentare le attese che un rialzo dei tassi possa essere deciso entro la fine dell’anno. La Banca d’Inghilterra ha, infatti, detto che una discesa del tasso di disoccupazione sotto il 7% l’avrebbe spinta a considerare un rialzo dei tassi dall’attuale 0,5%. In questo scenario, il trend positivo della sterlina potrebbe durare ancora a lungo. Ma la valuta che più potrebbe beneficiare della rimozione della politica espansiva dovrebbe essere il dollaro. Nel corso della riunione del 28-29 gennaio, l’ultima presieduta da Ben Bernanke, la Fed dovrebbe decidere la seconda riduzione consecutiva di 10 miliardi di dollari dopo quella di dicembre del programma di acquisto di asset, portando così il ritmo mensile a 65 miliardi. Le attese di consensus sono che nuovi tagli della stessa entità saranno decisi anche nelle riunioni successive, che saranno guidate dal nuovo presidente della Fed Janet Yellen. La ripresa Usa dovrebbe infatti prendere slancio, consentendo così la graduale uscita dalle misure straordinarie.

Il Fondo Monetario Internazionale da pochi giorni ha rivisto al rialzo l’aumento del pil Usa nel 2014 dal +2,6% al +2,8%. L’allentamento quantitativo verrebbe, così, terminato entro la fine dell’anno e la Yellen, potrebbe poi alzare i tassi d’interesse dall’attuale 0/0,25% nel 2015, quando la crescita, sempre secondo il Fmi, dovrebbe consolidarsi al 3%. Qualora le stime di consensus si dimostrassero corrette, nel corso dell’anno verrebbe meno il divario di crescita tra asset della Fed e della Bce, considerata una delle variabili più attendibili per spiegare il trend dell’euro/dollaro nel corso degli ultimi anni. Al contrario, potrebbe essere l’attivo di bilancio della Bce a crescere in maniera più sostenuta di quello della Fed qualora l’istituto di Francoforte decidesse di rendere la propria politica monetaria più espansiva. Gli economisti puntano in maniera decisa sulla possibilità che le autorità di Francoforte possano attuare una nuova operazione di rifinanziamento a lungo termine focalizzata sui prestiti alle imprese o un programma di acquisto di asset sul mercato simile a quello di Fed e Banca d’Inghilterra. Queste possibilità, però, rimangono per ora piuttosto remote, come testimoniato dalle dichiarazioni del presidente Mario Draghi nel corso dell’ultima conferenza stampa, dalla quale è emersa solo la volontà di mantenere i tassi invariati a lungo. I pericoli di deflazione, infatti, sono ancora considerati limitati a Francoforte mentre il calo dei prestiti è attribuito principalmente alla mancanza di domanda.

In ogni caso, alcuni economisti pensano che la Bce potrà ancora allentare la politica monetaria con un nuovo mini taglio dei tassi. Secondo Barclays, per esempio, l’istituto di Francoforte abbasserà il costo del denaro di 10 punti base a febbraio o a marzo, portandolo allo 0,15%. E potrebbe addirittura portare al 0,10% i tassi sui depositi, costringendo così le banche a non parcheggiare più la liquidità in Bce. Quale che ne sia la causa, un calo dell’euro sarebbe quanto mai positivo per l’economia di Eurolandia. Stando alle stime dell’Ocse, una svalutazione del 10% della valuta unica europea aumenterebbe il pil dello 0,9% e l’inflazione dello 0,8% dopo un anno, fornendo un aiuto fondamentale a risolvere il problema della bassa crescita e a eliminare i timori di deflazione. Svalutazione prevista da Morgan Stanley, che stima a fine anno l’euro a 1,24 dollari, e da Bank of America Merrill Lynch, che lo vede a 1,25%. Per il 2014, quindi, bisogna sperare che queste previsioni si avverino.