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 2014  gennaio 25 Sabato calendario

DE LUCA, LO SCERIFFO ROSSO CHE NON VUOLE ANDARSENE


PIÙ spaccone che socialista, più campiere che sindaco, Vincenzo De Luca sarebbe un ordinario mammasantissima, un tipico prodotto del plebeismo carismatico meridionale alla Achille Lauro se non fosse un uomo di sinistra.

Sembrava, sino a ieri, il meglio e il peggio del sud mischiati in una ganga compattissima: il riformatore che aveva restituito dignità a un territorio desertificato e lo sceriffo guappo che sottometteva la città alla sua legge, padrone e al tempo stesso governatore coraggioso: con lui Salerno è diventata una delle più vitali e solari città del sud, con un water front moderno e funzionante, belle strade, grandi architetti e conti in ordine.
Ebbene, tutto questo successo gli ha dato alla testa. E adesso che ha deciso di non obbedire neppure al Tribunale civile, in lui ha definitivamente prevalso il sangue pazzo del meridionale sul politico arguto e virtuoso. E butta fumo dalle narici, subisce il Diritto come una soperchieria, insulta il ministro Lupi che da mesi gli chiede di scegliere: «figurati se mi faccio ricattare da uno come te». E non cede neppure ai giudici. È la versione salernitana del siciliano Mirello Crisafulli, del veneto Cota, del lombardo Formigoni, è il notabile di sinistra che mette se stesso al di sopra di tutto, come fosse un altro unto del signore.
È arrivato, in questo suo “teppismo democratico”, a fare l’elogio dell’immoralità «che ci permette di governare», ha esibito come scalpi le indagini alle quali è sottoposto, di cui non ci occupiamo, e dalle quali gli auguriamo di uscire pulitissimo: «Io sono orgoglioso. In questo paese siamo tutti indagati. Non c’è un amministratore che non abbia un avviso di garanzia. Chi non ce l’ha è una chiavica ». E ha sempre cercato cariche: quando era eletto alla Camera si ricandidava come sindaco; da sindaco si candidava come presidente della Regione; e, podestà di Salerno, “sindaco per sempre” più di Orlando a Palermo, ha golosamente accettato di fare il sottosegretario. E ha candidato pure il figlio, proprio come fecero Raffaele Lombardo in Sicilia e Bossi in Padania: «Quelli che ce l’hanno con mio figlio sono cialtroni e farisei ».
Avrebbe dovuto dimettersi allora, nell’aprile del 2013, quando venne nominato ai trasporti nel governo Letta. L’incompatibilità infatti non ha bisogno di sentenze, si impone per evidenza: se vuoi amministrare (bene) i trasporti d’Italia non hai certo il tempo di governare (bene) Salerno. È roba da fantuttone, da “ghe pensi mi” che purtroppo tradotto in salernitano rimanda al pregiudizio della prepotenza antropologica: «A Salerno mi votano anche le pietre». Solo Brunetta avrebbe voluto fare allo stesso tempo il ministro della Funzione pubblica, il sindaco di Venezia e il deputato. I doppi incarichi e l’amministrazione come accumulo di roba non sono mai stati valori di sinistra, e non basta certo il tifo da stadio dei salernitani che lo eleggono per acclamazione a farne un eroe al di sopra della legge, come gli indimenticabili briganti delle due Sicilie.
E poi c’è quel parlare a gesti, quel lessico da duro pittoresco, una lingua impastata di esclamazioni, minacce, rancori e ripicche. E intanto si tocca, fa le corna e gli scongiuri, si gratta perché Lupi porta sfiga: «non si sa mai, ho due figli, abbiate pazienza: una grattatina ». E «la grillina Lombardi vada a mori’ ammazzata », «il collega del pd Zoggia sembra un raccoglitore di funghi», «il doppio incarico è una palla!», «coglioni!», «dei rom me ne frego!», «le discariche vanno aperte con il carro armato», «nel Pd c’è un gruppo dirigente di miserabili e il partito vive nella demenzialità », «spero di incontrare quel grandissimo sfessato e “pipì” di Marco Travaglio di notte e al buio», «Grillo sta con il panzone al sole», «Monti si mette il chihuahua sulla testa»...
Gli archivi e i blog sono pieni delle gag di De Luca e su Youtube è più cliccato di Ficarra e Picone. Ovviamente è molto parodiato, si ride di lui, è una specie di fattucchiero, una riedizione del Rosario Chiarchiaro interpretato da Totò... In realtà tutto questo divertirsi è una smorfia dolorosa, una partita sospesa sul Sud d’Italia, quello dei notabili e dei capibastone. De Luca, caudillo liberale («sono gobettiano» dice), è l’ennesima sconfitta, forse quella definitiva, dell’utopia dello sviluppo nella terra dei diavoli: da poveri a ricchi, da attardati a veloci, dall’indolenza alla nevrosi, dall’immobilismo all’iperattivismo. Nella miseria del guappo democratico stravaccato su due poltrone c’è la morte di un sogno antico che è anche nostro, il sogno di tutti i meridionali d’Italia, di un Paese che per tre quarti è Meridione.