Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Le brutte notizie di oggi (le notizie, sui giornali, sono in genere brutte) vengono dal mercato dell’auto: in marzo c’è stato un altro crollo, meno 26,7% sul marzo dell’anno scorso, cioè 138.137 immatricolazioni contro le 188.495 di un anno fa. Sono i livelli del venduto del 1980 (122.400 vetture). Marchionne lo aveva preannunciato venerdì scorso: «Marzo – aveva detto – si rivelerà un mese orribile, con un calo per la Fiat tra il 30 e il 40 per cento». Il calo per la Fiat è poi stato del 36,08, 24.900 vetture vendute contro le 38.953 del 2011.
• La peggiore di tutte?
• Lasciamo stare quelle che hanno venduto di più. Ragioni del crollo?
La Fiat dice questo: «Nel peggior marzo degli ultimi 32 anni abbiamo avuto risultati condizionati dal lungo fermo nazionale dei bisarchisti (i bisarchisti, cioè le bisarche, i grandi camion specializzati nel trasporto delle automobili e dei relativi pezzi – ndr)». Il comunicato aggiunge che se non si procede per marchi, ma per tipi di macchina «le Fiat sono ancora una volta le più vendute nel mese: Panda e Punto, mentre fra le top ten si conferma anche la Lancia Ypsilon. Alfa Romeo Giulietta è stabilmente tra le vetture più vendute del segmento C con il 14 per cento di quota. Jeep continua a crescere: in marzo aumenta i volumi del 33,7 per cento e la quota di 0,2 punti percentuali». Sia chiaro: qui la Fiat parla del campionato delle vendite in assoluto, senza confrontarsi con l’anno scorso. È come se nel campionato di quest’anno la vittoria valesse 2 punti invece di 3. Magari sei primo, ma hai perso lo stesso.
• Che dicono i concessionari?
Dichiarazioni furibonde. Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che raggruppa i rivenditori: «Voglio ricordare che in Italia l’auto fattura l’11,6% del Pil, contribuisce con il 16,6% al gettito fiscale nazionale e dà lavoro a 1.200.000 persone». Jacques Bousquet, presidente dell’Associazione case automobilistiche estere in Italia (Unrae): «L’effetto della crisi congiunturale, l’aumento continuo del prezzo dei carburanti, la forte crescita delle assicurazioni RC Auto, l’assenza di credito alle imprese, unito alle mancate consegne per lo sciopero delle bisarche è stato un mix letale». La richiesta di incentivi è unanime. Pavan Bernacchi: «Non capiamo l’immobilismo del governo». Per incentivi si intende il vecchio trucco della rottamazione: io stato ti do un po’ di soldi per farti cambiare la macchina. Bisognerebbe però tirar fuori almeno un miliardo, e non so se di questi tempi…
• La colpa non potrebbe essere di queste bisarche che hanno saltato le consegne?
Al Lingotto calcolano che lo sciopero degli autotrasportatori ha cancellato ottomila immatricolazioni negli ultimi 30 giorni. Il Centro Studi Promotor GL Events ha paragonato la flessione di marzo 2012 con la flessione del 2005 (26 aprile – 24 maggio). Anche allora le bisarche ferme provocarono un calo complessivo di circa il 27% del mercato. Se questo confronto fosse valido (ma la Fiat pensa evidentemente di no) la domanda rispetto all’anno scorso dovrebbe considerarsi stabile, e il dato non sarebbe malvagio. Penso che in ogni caso la crisi dell’auto abbia ragioni più profonde.
• Quali?
Marchionne ha fatto notare che dal 2007 a oggi il mercato dell’auto ha perso in Italia il 40% dei volumi. Saremmo dunque in presenza di una tendenza di lungo periodo, connessa naturalmente con l’aumento tendenziale del prezzo del petrolio e della benzina. L’ultimo Rapporto Aci-Censis, dello scorso dicembre, mostra che tra il 2010 e il 2009 c’è stato un calo nell’uso dell’automobile del 9,4% con previsione per il 2011 (quando arriveranno i dati completi) di un’altra contrazione del 10%. Nello stesso tempo il mercato dei motorini è crollato del 24 per cento e per il 2011 l’attesa è di un altro -20%. Non sono fenomeni solo italiani. In America, dove la benzina sta intorno ai 3,7 dollari a gallone (un prezzo alto, ma considerato ancora normale) il Depart of Transportation’s Federal Highway Commission ha rilevato al giugno 2011 una diminuzione delle tratte automobilistiche percorse pari all’1,4%, equivalenti a 3,8 miliardi di miglia in meno. I grandi numeri sembrano dire che presto la macchina non la vorrà più nessuno.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 3 aprile 2012]