PAOLO MASTROLILLI, La Stampa 3/4/2012, 3 aprile 2012
“Quando Barack mi chiedeva di papà” - Auma e Barack erano ragazzi e faticavano ad arrivare alla fine del mese, ma quella era la prima volta che suo fratello americano visitava il Kenya, e lei voleva mostrargli le meraviglie del Paese dove affondavano le loro radici
“Quando Barack mi chiedeva di papà” - Auma e Barack erano ragazzi e faticavano ad arrivare alla fine del mese, ma quella era la prima volta che suo fratello americano visitava il Kenya, e lei voleva mostrargli le meraviglie del Paese dove affondavano le loro radici. Perciò si unirono ad un gruppo di turisti italiani, che facevano un safari nel parco Masai Mara. «Guarda, una gazzella di Thomson!», esclamò l’italiano seduto vicino ad Auma. «E cosa c’entra obiettò lei con decisione - Thomson? Noi abbiamo sempre avuto questi animali. Solo perché un esploratore scozzese scoprì con stupore una bestia che non esisteva dalle sue parti, ora la chiamiamo come lui? E’ una swara». L’italiano guardò Auma con sorpresa. Barack invece si mise a ridere, perché ormai era abituato all’orgoglio di sua sorella, e sapeva che lo sfogo non era finito là. «Non pensa - chiese infatti Auma - che questo sia offensivo?». Il povero turista italiano la guardò sempre più confuso, e lei aggiunse: «Non voglio essere scortese, ma molte cose qui sono state rinominate dagli europei, come se fossero i primi uomini a scoprirle. Mi chiedo come consideravano gli africani. Non esseri umani, apparentemente». Così Barack Obama si rese conto per la prima volta di essere al crocevia della civiltà. Da occidentale, capì come il retaggio coloniale e schiavista avesse ancora un peso sulle vittime, con lui sospeso in mezzo ai due mondi. Questa storia la racconta la sorella africana Auma, che abbiamo incontrato alla presentazione del suo libro di memorie «And Then Life Happens». La figlia di suo padre e della prima moglie kenyana, che ha conosciuto quando ormai era già adulto, ma con cui ha costruito un rapporto tanto profondo da citarla nel discorso della sua «inauguration» presidenziale. «Negli anni - ricorda Auma avevo sentito parlare spesso di questo fratello negli Stati Uniti. Però non mi incuriosiva. Nonostante mio padre parlasse spesso di Barry, come lo chiamava lui, era troppo lontano dalla mia vita per destare un interesse reale». Il padre aveva sollecitato Auma a scrivere a Barack, perché voleva che il figlio fosse parte della sua famiglia estesa, ma lei aveva sempre evitato con qualche scusa. Finché un giorno, nel 1984, dopo che si era trasferita ad Heidelberg per studiare il tedesco, le arrivò una lettera dagli Usa: «Vedere quel nome sulla busta mi fece saltare. E rimasi ancora più choccata nel leggere la sua calligrafia rotonda, identica a quella di papà». Barry gli raccontava la sua vita e la invitava a Chicago. Lei accettò. «Lui si ricorda che mi venne a prendere all’aeroporto, ma arrivai in treno. Non sapevo neanche se ci saremmo piaciuti, avevo già un piano di riserva per andare da una mia amica. Poi sentii una voce alle mie spalle: Auma? Auma? Pronunciava il mio nome con l’accento sbagliato, ma quando lo vidi ci sorridemmo e non smettemmo più di parlare per giorni». L’aveva portata nel suo bilocale, dentro una minuscola auto che faceva paura, e aveva cucinato cibo indonesiano. «Dimmi qualcosa di mio padre», aveva chiesto. «Lo sai aveva risposto lei - che ci amava davvero tutti?». «No Auma, non lo so. Non l’ho davvero conosciuto. E’ andato via quando avevo due anni. L’unico ricordo cosciente è quando lo vidi a dieci anni: troppo poco per imparare qualcosa di lui». «Non lo sai - aveva proseguito Auma - che scriveva a tua madre e riceveva le tue foto?». «No. Davvero? E cosa diceva di mia madre». «Solo buone cose. Ci voleva bene, ma era incapace di mostrarlo. Forse sei stato fortunato a non crescere con lui. Ti è mancata la sua presenza, ma hai potuto immaginarlo come volevi». Era seguito il viaggio in Africa, con la disavventura «italiana» al Masai Mara. «Andavamo sui bus dei poveri matatu. Un guidatore si rivolse a lui nella lingua locale, perché non credeva che un americano potesse essere così spiantato. Barack rispose: “Esitono anche gli americani poveri, ne hai uno davanti”. Si era appena lasciato con la ragazza, perché voleva studiare legge ad Harvard, in modo da avere più impatto sulla società. Mi diceva: “Voglio impegnarmi in politica, e spero che la legge mi aiuti ad influenzare i politici». Tornò qualche anno dopo con Michelle, e quasi ci rimasero, perché mentre andavano dalla nonna Sarah l’auto di Auma prese fuoco. Nonna Sarah decretò che Barack aveva scelto bene, e le nozze avvennero a Chicago nel 1992. Ora Auma ha creato la sua fondazione, «Sauti Kuu», per aiutare le ragazze vittime di abusi in Kenya: «L’elezione non ha cambiato il nostro rapporto, continuo a trattarlo da fratello minore. Essere sua sorella, però, mi dà la voce per parlare dei problemi a cui tengo. Gli stessi a cui teneva lui, quando mi portò nei quartieri poveri di Chicago, per spiegarmi come avrebbe cambiato il mondo».