Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 3/4/2012, 3 aprile 2012
SOFRI COL BUCO
Nelle 132 pagine del libro-web “43 anni” scritto da Adriano Sofri per raccontare la sua storia di Piazza Fontana e confutare il libro di Paolo Cucchiarelli e il film di Marco Tullio Giordana che ne riprende (sia pure in minima parte) alcune tesi, ci sono due buchi. Il primo non è Sofri a poterlo colmare: chi ha ucciso il commissario Calabresi? Due sentenze della Cassazione (quella del processo “normale” e quella del processo di revisione) hanno accertato oltre ogni ragionevole dubbio che il commissario fu assassinato da un commando composto dai lottacontinuisti Bompressi e Marino, su mandato di Sofri (che ha scontato la pena, parte in carcere parte a casa sua) e Pietrostefani (latitante). Sofri contesta quelle sentenze, ma così indebolisce qualunque cosa dica sugli altri eventi di cui si improvvisa “storico”: se le carte giudiziarie non valgono quando servono a condannare lui e i suoi compagni, sono carta straccia anche quando gli servono a smontare le tesi di Cucchiarelli e/o Giordana. Il secondo buco, invece, lo può colmare solo Sofri, che però nelle 132 pagine si guarda bene dal farlo: che rapporti aveva col prefetto Federico Umberto D’Amato, allora capo dell’Ufficio affari riservati del Viminale? Sofri lo cita sette volte, quasi di passaggio, per smontare il bellissimo dialogo “letterario” D’Amato-Calabresi immaginato da Giordana nel suo film. E in una nota se la prende con Cucchiarelli per aver ipotizzato una joint venture Sofri-D’Amato nei delitti Calabresi e Rostagno. Ora, nel maggio 2007 fu proprio Sofri a rivelare sul Foglio che nel 1975-‘76, tre-quattro anni dopo il delitto Calabresi, “uno dei più alti esponenti” dei servizi segreti “venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi affari riservati”. Poi, in un successivo articolo, ritoccò la prima versione e svelò che Mister X era proprio D’Amato: “Mi chiese un incontro, tramite un conoscente comune... venne a casa mia... mi disse che si trattava dei Nap, i Nuclei armati proletari. Che tutti sapevano come alcuni fra i loro membri avessero rotto con Lc accusandola di non voler passare alla lotta armata... Che era interesse comune toglierli fisicamente di mezzo (‘Fisicamente?’ ‘Fisicamente!’), ciò che avrebbe potuto avvenire con una mutua collaborazione e la sicurezza dell’impunità... Non mi propose di prender parte a un omicidio, ma a un mazzetto di omicidi... Prima che finisse gli avevo indicato la porta...”. D’Amato, figura centrale nei depistaggi su Piazza Fontana e non solo (la “pista anarchica” e le false veline su Calabresi addestrato dalla Cia erano farina del suo sacco), è morto nel 1996. Solo Sofri può spiegare perché mai un personaggio così bene informato si rivolse proprio a lui, se l’avesse saputo estraneo alla pratica dell’omicidio politico: forse sapeva di andare a colpo sicuro, senza temere di esser denunciato? Già: perché Sofri non denunciò subito la cosa, ma attese 11 anni dopo la morte di D’Amato? A Lotta continua non mancava il background per fingere di stare al gioco e registrare colloqui compromettenti per un uomo delle istituzioni: possibile che il capo di un’organizzazione rivoluzionaria si sia lasciato sfuggire l’occasione di dimostrare ciò che Lc ripeteva da anni, dalla “strage di Stato” in giù, e cioè che le istituzioni avevano le mani grondanti di sangue? Quando Sofri rivelò la proposta indecente, il suo compagno di Lc Erri De Luca disse costernato al Corriere: “Mi sorprende che Sofri tiri fuori un’informazione del genere soltanto adesso e senza circostanziarla. Spero quindi in una seconda puntata che ci consenta di conoscere i dettagli... La sua rivelazione è molto strana: per come agivano gli esponenti dello Stato in quegli anni, credo avessero personale in abbondanza per sbrigare faccende sporche, senza chiedere la collaborazione di un gruppo come Lotta Continua, che peraltro operava alla luce del sole e non in clandestinità”. Siamo sempre in attesa della seconda puntata.