Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 03/04/2012; Arianna Ravelli, ib., 3 aprile 2012
3 articoli - «FECI AUTOGOL PER 50 MILA EURO». L’ORDINE DEGLI ULTRAS: PERDETE — Il tam tam degli arresti imminenti sarà giunto anche a lui
3 articoli - «FECI AUTOGOL PER 50 MILA EURO». L’ORDINE DEGLI ULTRAS: PERDETE — Il tam tam degli arresti imminenti sarà giunto anche a lui. E per provare ad evitare il carcere, una settimana fa, Andrea Masiello ha tentato l’ultima, disperata mossa. Quella dell’ammissione più infamante per un calciatore davanti ai propri tifosi: aver fatto vincere grazie a un clamoroso autogol, in un derby al termine di un campionato già disastroso, la squadra rivale, che grazie a quel risultato truccato s’è salvata dalla serie B. Un passo difficile e anche inutile, giacché non è servito a risparmiare l’onta dell’arresto all’ex capitano del Bari. «Voglio aggiungere che, quando il risultato era sullo 0-1 (a favore del Lecce, ndr), ho sfruttato un’occasione che mi si è posta per poter cristallizzare definitivamente l’esito della sconfitta per il Bari e per poter, quindi, ottenere il pagamento promessomi, realizzando l’autogol con cui si è concluso l’incontro», ha scritto il calciatore in una memoria inviata alla Procura di Bari, via fax, mercoledì scorso. In precedenza aveva detto che il goffo movimento con il quale aveva spinto nella propria rete un pallone destinato a fondo campo, fu involontario e dovuto al «turbamento» provocato dalla proposta di combine, ricevuta ma rifiutata. Ora è arrivata la confessione, che secondo la Procura conferma solo un vano «atteggiamento ondivago», mentre il giudice sottolinea che Masiello «non ha fornito elemento alcuno utile ad identificare i soggetti coinvolti nella trattativa con emissari leccesi nella consegna del denaro». Il derby venduto Quando ancora diceva che l’autogol era stato involontario, Masiello aveva comunque ammesso di aver intascato soldi da chi gli aveva proposto di vendere la partita. Ma era un bluff: visto che l’offerta c’era stata, il Bari aveva perso e pure per causa sua, tanto valeva far finta di aver combinato tutto e incassare il denaro promesso. Il prezzo «era sui 250.000 euro — ha raccontano il calciatore — alla fine io presi intorno ai 50.000 euro. Carella e Giacobbe molti di più». Sono gli altri due indagati finiti in carcere, che secondo l’accusa tenevano i contatti con gli scommettitori e organizzavano le puntate sulle partite combinate. Bari-Lecce, scrive il giudice, fruttò più di quanto ammesso da Masiello: «Una cifra oscillante tra i 250.000 e i 300.000 euro», garantiti dalla consegna di assegni che, a risultato acquisito, sono stati riconsegnati in cambio dei contanti. Carella e Giacobbe avrebbero «sfruttato il contatto con una persona verosimilmente emissaria della società di calcio leccese» che propose l’affare, e Masiello si preoccupò di cercare altre disponibilità tra i compagni di squadra. Marco Rossi, difensore centrale del Cesena che nello scorso campionato ha giocato trenta partite con la maglia del Bari, indagato, racconta così la vigilia del derby pugliese: «In settimana vengo avvicinato da Masiello che mi dice: "Ci sarebbe un milione per perdere la partita". Io rimango lì un po’ scioccato, dico: "No, basta, lasciami stare, basta"». La sera prima della partita, nella camera dove sono riuniti Masiello, Rossi e gli altri giocatori baresi Parisi e Bentivoglio, arrivano due persone: «Ci dicono che loro venivano per conto del figlio del presidente del Lecce, Semeraro, che avevano un tasca tra i 25.000 e i 30.000 euro». Rossi dice di aver rifiutato, sebbene quelli insistessero: «Fatelo, perché comunque il Bari non vi paga lo stipendio, la società fallirà, sono gli unici soldi che vedrete...». La minaccia degli ultras Leggendo questi resoconti i tifosi del Bari non avranno un’alta concezione dei loro «beniamini», ma nell’inchiesta hanno un ruolo anche alcuni capi ultras: secondo gli inquirenti hanno puntato sulle sconfitte della squadra del cuore, intimando ai giocatori di perdere. Magari non il derby, ma Cesena-Bari del 17 aprile 2011, terminata 1 a 0 per i padroni di casa, e poi Bari-Sampdoria. Racconta Marco Rossi che Masiello e il portiere belga Gillet, oggi al Bologna dopo un decennio in Puglia, ebbero un incontro con alcuni leader della tifoseria: «Gli sarebbe stato detto di perdere queste due partite perché loro avevano scommesso tanti soldi, e in cambio di queste due sconfitte loro avrebbero detto che fino a fine anno noi avremmo fatto una vita tranquilla...». Lo dissero nello spogliatoio, alla presenza di «più o meno» tutta la squadra, assente l’allenatore. Quando il pubblico ministero ha chiesto conferma a Gillet, il portiere s’è mostrato titubante, tanto da guadagnarsi l’ammonizione del magistrato: «Deve decidere se vuole dire la verità o no». Poi ha ammesso: «Hanno chiamata metà squadra. C’erano Masiello, Donati, Almiron, Gazzi (Ghezzal, ndr), Belmonte... Sono venuti prima della partita col Cesena e ci hanno detto: "Dovete perdere"». Il discorso dei capi-tifosi riconosciuti in fotografia (uno è chiamato Lello, l’altro «Il parigino») fu molto esplicito: «Siete ultimi, avete fatto questo campionato di..., non vi è mai successo niente, nessuno ha preso mazzate e cose varie. Domani dovete perdere». Sostiene Gillet che alla risposta negativa sua e degli altri giocatori («No, non esiste proprio») la replica fu: «Va bè, da ora fino alla fine non si sa mai che cosa può succedere...». Il portiere dice di averne parlato col direttore sportivo della squadra, Angelozzi, il quale ordinò: «Tappatevi le orecchie e giocatevi la partita», e lui «È quello che abbiamo fatto». Vinse il Cesena 1 a 0, Masiello non giocò perché squalificato, ma nella memoria della scorsa settimana ha raccontato di aver ugualmente incassato 20.000 da Bellavista, ritirati a casa del collega, «che suddivisi, lungo il tragitto di ritorno, con Carella e Giacobbe». «Siamo andati a caccia» Tra le cinque partite comprate e vendute individuate dagli inquirenti (ma il giudice ne ha contestate solo quattro) c’è pure Bari-Bologna del 22 maggio, ultima giornata del campionato scorso, conclusa con un inopinato 0 a 4 per il Bari retrocesso, grazie alla tripletta di un centravanti della Primavera. Il ristoratore, nonché scommettitore e indagato, Nicola De Tullio, dice che lui e un suo amico erano «andati a caccia» di giocate con cui guadagnare parecchio, e la vittoria del Bari a Bologna avrebbe pagato sette volte la puntata. Lui aveva sentito che Masiello e altri «si stavano muovendo», e concluse: «La quota del Bari è stupenda, è bellissima». Il difensore del Bologna Portanova ha riferito al pm di essere stato contattato da Masiello, che lo fece incontrare con i suoi amici Giacobbe e Carella. C’era pure sua moglie: «Iniziarono a fare discorsi diversi, del tipo che a Bari si mormorava che i giocatori si vendevano le partite... Fecero una battuta su quanto era valutata la vittoria del Bari a Bologna». La moglie di Portanova si irritò, l’incontro finì bruscamente. Poi il difensore chiamò Masiello per lamentarsi, e «della vicenda misi al corrente l’intera squadra del Bologna, intimando a tutti di stare attenti ne di non aderire a nessuna richiesta strana avanzata da persone che potevano essere non pulite». Nell’interrogatorio di febbraio Masiello ha detto di aver saputo che Portanova aveva rifiutato l’accordo con i suoi amici. Lui giocò la partita con la fascia di capitano al braccio. Il pm gli ha chiesto se notò qualcosa di strano nel comportamento del Bologna, e Masiello risponde: «Sì, passività. Era l’ultima giornata, non so se era il caldo, la voglia di andare a casa...». E Portanova fece qualcosa di particolare? «No, devo essere sincero, no». Giovanni Bianconi «UCCIDONO IL CALCIO: SQUALIFICHE A VITA». LA LINEA DI PLATINI — In attesa che qualcuno prenda sul serio le parole di Michel Platini, presidente dell’Uefa («Il calcioscommesse? Quando ci sono cose del genere la responsabilità maggiore è dei giocatori, e per questo dovrebbero essere squalificati a vita. Queste cose uccidono il calcio, e l’essenza di questo sport») i giocatori al centro dell’inchiesta di Bari rischiano già parecchio. Cinque anni di squalifica (magari con proposta di radiazione) nei casi più gravi, come in quello di Andrea Masiello. Squalifiche pesanti, però, possono colpire anche gli altri, i giocatori indagati (Belmonte, Rossi, Parisi, Portanova) a cui è arrivata la proposta della combine, ma anche quelli che vengono solo citati tangenzialmente dalle carte. Come si sa, la giustizia sportiva si muove con metri diversi rispetto a quella ordinaria: per esempio, si punisce anche l’omessa denuncia. Così, uno come Jean François Gillet, che si oppone alle pressioni dei tifosi e che si scontra con Masiello proprio a causa delle scommesse, potrebbe essere sentito e deferito dal procuratore federale, per non avere mai denunciato agli organi della giustizia sportiva. In tutti questi casi, poi, la responsabilità si ripercuote sulle società. Che possono avere punti di penalizzazione (da scontare in questo o nel prossimo campionato, a seconda di quando la punizione fa «più male») se si verifica che la responsabilità è soltanto oggettiva. Ma che possono essere punite più pesantemente se la responsabilità diventa diretta. E questo potrebbe essere il caso del Lecce, secondo quello che emerge dall’inchiesta barese. Se davvero, a contattare Masiello & company, è stato un emissario della società Lecce (che ieri ha emesso un comunicato di smentita), allora i salentini potrebbero anche ritrovarsi in Lega Pro. Solo ipotesi, al momento. La Figc, che ha già sanzionato i responsabili nella prima tranche dello scandalo, ora esige «tolleranza zero e processi sportivi in tempi rapidi per fare pulizia e individuare tutte le responsabilità», per dirla con il presidente Giancarlo Abete. Il punto è che non è per niente finita qui. Il procuratore federale Stefano Palazzi attende gli atti di Bari, che arriveranno solo a inchiesta conclusa, quando probabilmente il secondo processo sportivo sarà già terminato. «La Figc e il mondo del calcio hanno un forte interesse perché al più presto la Procura della Repubblica di Bari possa mettere a disposizione gli atti dell’inchiesta, in modo da approfondire tutti gli aspetti». Intanto, nuovi sviluppi si attendono dall’inchiesta di Cremona che, dopo Pasqua, potrebbe subire un’ulteriore accelerazione. Anche in questo caso, si punta dritto alla serie A, con la Lazio al centro degli ultimi approfondimenti (oltre a Lecce e Genoa). A. Rav. DA IDOLO DEI TIFOSI A «VENDUTO». LA PARABOLA DEL CAPITANO PERFETTO — L’autorete volontaria nel derby contro il Lecce è il punto più basso della carriera di un difensore di 26 anni, Andrea Masiello, con un brillante avvenire dietro le spalle e un futuro che poteva essere tutto da scrivere: cresciuto nel settore giovanile della Juventus, compagno di Claudio Marchisio, è andato a farsi le ossa alla Lucchese, ha proseguito al Siena e poi al Genoa, e di lui si profetizzava un futuro a livelli ancora più alti. È finita nel carcere di Bari, ma almeno il fondo è toccato. «Sì, l’ho fatto apposta». Finalmente — dopo dribbling, serpentine, finte e giochi di prestigio che in campo lui, terzino di sostanza, a volte centrale difensivo, non ha mai fatto vedere — Masiello dice la verità. È la fine ingloriosa di un lungo percorso: che l’ha visto anche capitano del Bari (almeno quando il portiere Gillet — con cui si scontrò poi, proprio a causa delle scommesse — non giocava), idolo della curva, protagonista della stagione delle meraviglie (quella del 2009/2010, in cui i biancorossi chiusero al decimo posto) e poi di quella successiva, terminata con la retrocessione. Punto di riferimento di ogni allenatore che si è alternato in panchina, perché — almeno apparentemente — esempio di professionalità: il primo ad arrivare agli allenamenti, l’ultimo ad andarsene, una voglia e una disciplina che avevano conquistato anche la fiducia di Antonio Conte, attuale allenatore della Juventus. Mai un avvistamento nei luoghi della movida barese, una vita molto casalinga, tempo libero passato con la figlia Matilde di un anno e mezzo, massimo delle trasgressioni il risotto ai quattro formaggi (piatto preferito) e la panna cotta preparati dalla bella moglie Alessandra che ha sposato nel 2009. Insomma, di tutti i tifosi del Bari potevano sospettare, ma non di Masiello. Con la sua parlata toscana (è nato a Viareggio) Masiello era sempre il primo a presentarsi ai microfoni dopo una sconfitta. Apparentemente schietto nell’ammettere gli errori: «Abbiamo fatto una figuraccia, dobbiamo tirare fuori le palle». Una frase che gli hanno sentito ripetere spesso: sembrava un’ammissione di colpe, di più, sembrava il coraggio «di uno che ci mette sempre la faccia». Un atteggiamento grintoso, che piaceva molto ai tifosi. Difficile trovare giudizi diversi. Anche il giocatore Daniele Portanova, quando arrivano a Bologna due «amici di Masiello» e cominciano a fargli discorsi strani su partite e quotazioni, si stupisce: «Perché per me Andrea era sempre stato un bravo ragazzo, uno pulito». Evidentemente, era una maschera, o forse Masiello si era già trasformato. In «calciatore infedele», amico di allibratori e scommettitori, referente del gruppo degli zingari su cui indaga la procura di Cremona (uno di questi, Ilievski, per quanto possono valere le sue dichiarazioni, dice: «Io l’unico con cui ho avuto a che fare a Bari è stato Masiello»), ma anche intraprendente e attivo in prima persona nell’organizzazione barese delle combine. Non solo: capace, in un ultimo disperato tentativo di salvataggio sulla linea, di scaricare tutte le colpe sugli amici, che sia il factotum Angelo Iacovelli, o che si tratti di Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, arrestati con lui. Il 26 luglio 2011, dopo tre anni e mezzo (137 presenze, 4 reti e un numero ancora imprecisato di partite combinate) lascia Bari per trasferirsi all’Atalanta. Comincia bene, diventando subito un punto di riferimento della difesa bergamasca, ma il 19 dicembre viene arrestato il capitano Doni. Nei giorni successivi, il pentito Carlo Gervasoni fa il suo nome. La squadra lo fa allenare, ma non lo manda più in campo. Comincia il suo giro delle procure (si fa interrogare quattro volte), e il balletto di bugie. Fino all’ultima verità. Fino a quel derby venduto per 50 mila euro. Cinquantamila euro per lasciare di sé l’immagine di un giocatore steso a terra, fintamente disperato, dopo aver allungato la gamba sul traversone del leccese Jeda, con il portiere Gillet infuriato a urlargli «Andrea, era fuori!». Fine di un possibile campioncino. Arianna Ravelli