Antonio Cianciullo, la Repubblica 3/4/2012, 3 aprile 2012
Ecco alcune date. 2025: assediato dalla siccità crescente, l´Egitto bombarda le dighe etiopi che frenano il flusso del Nilo e il conflitto si allarga rapidamente a tutta la regione
Ecco alcune date. 2025: assediato dalla siccità crescente, l´Egitto bombarda le dighe etiopi che frenano il flusso del Nilo e il conflitto si allarga rapidamente a tutta la regione. 2029: con il Messico devastato dalla desertificazione, per bloccare la marea dei migranti clandestini gli Stati Uniti blindano il confine con una barriera formata da due reti parallele di 3 metri, difese da mitragliatrici e separate da un fossato pieno di mine antiuomo. 2036: l´Unione europea collassa sotto la spinta dei profughi climatici in fuga dalla sponda meridionale del Mediterraneo. Sono gli scenari proposti da Gwynne Dyer, editorialista e conferenziere, in Le guerre del clima, appena pubblicato da Tropea. Una visione cupa di un possibile futuro non lontana da quella proposta da film come L´alba del giorno dopo. Stavolta però a disegnare l´ipotesi di conflitti, anche nucleari, innescati dalla competizione per le fonti idriche e le poche pianure rimaste fertili non sono gli sceneggiatori di Hollywood ma i generali che hanno commissionato una serie di studi sul cambiamento climatico per mettere a punto strategie di difesa di lungo periodo. La più famosa di queste analisi è L´era delle conseguenze, pubblicata nel 2007 dal Centro degli Stati Uniti per gli studi strategici e internazionali (un think tank che ha tra i suoi componenti tre ex ministri della Difesa). La ricerca ipotizza un aumento della temperatura di 3 gradi nell´arco del ventunesimo secolo, considerato probabile dai climatologi se non riusciremo a rallentare le emissioni di gas serra prodotte dall´uso di combustibili fossili e dalla deforestazione. E ne ricava lo scenario di campi agricoli inghiottiti dalla siccità, uragani sempre più devastanti e interi stati sommersi dall´innalzamento dei mari. Incrociando questi studi con i dati climatici più recenti, Dyer completa l´analisi e la trasforma in una proiezione che ingloba i conflitti regionali: la guerra tra l´India e il Pakistan per il controllo delle acque dei fiumi himalayani, impoveriti da decenni di riduzione dei ghiacciai; l´attacco di Iraq e Siria a Istanbul per distruggere le dighe turche sul corso del Tigri e dell´Eufrate; la guerra civile nella Cina travolta dal caos climatico. Una carrellata di disastri interrotta da un possibile scenario positivo legato a una svolta energetica capace di produrre un sistema a bassissime emissioni di carbonio. Una prospettiva che si apre con una data molto vicina: il 2014, anno in cui gli Stati Uniti - ipotizza Dyer - firmeranno il Fuel Independence Act, una legge che storna gli aiuti federali ai combustibili fossili verso massicci investimenti nelle fonti rinnovabili e nella coltivazione di alghe. La decisione di Washington produce effetti a catena. Sotto la pressione dei disastri climatici crescenti (75 mila morti per l´ondata di caldo nel MidWest, esondazioni catastrofiche dello Yangtze e del Mekong, tempeste che lasciano senza casa dieci milioni di egiziani), Cina e India accelerano la conversione alle fonti rinnovabili e le importazioni petrolio diminuiscono rapidamente. Gli europei stringono un accordo con i Paesi del Nord Africa per uno sviluppo comune delle possibilità offerte dall´energia solare. A livello globale cresce il movimento Zero-2030, che punta a una società carbon free. Ma la finestra temporale per virare verso lo scenario positivo è molto stretta: nel 2011 le emissioni serra a livello globale, nonostante la crisi economica, sono cresciute ancora e la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera raggiungerà, nell´arco di pochi anni, un livello doppio rispetto a quello dell´era preindustriale. Per scongiurare la prospettiva delle guerre climatiche - suggerisce Dyer - resta poco tempo.