Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il mondo è in festa perché in Birmania l’eroina Aung San Suu Kyi torna in Parlamento: il risultato non è ancora ufficiale, ma è sicuro che l’82 per cento di coloro che hanno diritto di voto nella circoscrizione di Kawhmuha ha votato per lei. Inoltre in tutte e 45 le circoscrizioni chiamate alle urne la Lega Nazionale della Democrazia, cioè il partito di Aung, è in testa. Arrivano congratulazioni da tutte le parti, mentre non sembra che la terribile giunta militare, adesso guidata da un civile (ma tutti i giornalisti mettono questo “civile” tra virgolette), abbia intenzione di sabotare il voto.
• Come mai? È una giunta famosa per la sua ferocia.
Sì, e per il terrore di qualunque opposizione. Pensi che per tenere il popolo lontano i generali hanno abbandonato Rangoon e si sono trasferiti nel villaggio di Pyinmana, ribattezzato per l’occasione Naypydaw (’sede dei re”). Un posto in mezzo alla foresta, praticamente irraggiungibile. Stavolta però sembrano intenzionati ad accettare il verdetto elettorale: intanto non si tratta di un’elezione politica generale. Sono elezioni supplettive, indette per colmare i vuoti lasciati da un gruppo di deputati chiamati a incarichi di governo (laggiù, come nell’Italia delle origini, se si fa il ministro non si può più sedere in Parlamento). Insomma, si tratta di assegnare 45 seggi su 1.160, una vittoria democratica si può digerire, tanto più che il 25% dei seggi spetta di diritto alla giunta. C’è poi un’altra considerazione: la Birmania – che i generali chiamano Myanmar – è quasi una colonia cinese. I cinesi scambiano con la Birmania merci per più di un miliardo di dollari l’anno. Tra queste merci ci sono petrolio e gas. La Birmania garantisce poi alla Cina l’accesso all’Oceano Indiano. Insomma, la Birmania è fondamentale per la Cina, ma i birmani sentono adesso l’abbraccio di Pechino come una morsa che potrebbe risultare soffocante. Essendo i generali decrepiti, hanno cominciato a guardare all’Occidente. Il capo del governo, il “civile” Thein Sein (è comunque un ex generale), ha aperto le porte agli osservatori stranieri. Questi sono giunti a ridosso del voto, e non tre mesi prima come sarebbe la regola. Ma in ogni caso hanno detto che la consultazione sembra piuttosto regolare, o comunque non ci sarebbero stati brogli clamorosi. Infine, a mettere in tentazione la giunta, c’è la questione delle sanzioni.
Che sanzioni?
L’Onu ha vietato la vendita di armi ai birmani e l’acquisto da loro del tek. Cinesi e russi impediscono che si adottino misure più severe, ma questo basta a farli soffrire, e quella è una delle popolazioni più povere del mondo. Così, è possibile che anche le sanzioni un loro effetto lo abbiano ottenuto.
• E Aung?
Non ha ancora parlato. A Rangoon migliaia di sostenitori si sono però radunati davanti alla sua abitazione. Tra le tante congratulazioni che le sono arrivate, segnaliamo quella del buddista Roberto Baggio: «Auguri Aung San Suu Kyi, con lo spirito sarò presente: tutti noi uomini di pace saremo con te per accompagnarti finalmente nel tuo seggio elettorale. Verrò molto presto non solo per festeggiare, ma perchè sei sempre stata presente nella mia vita e nei miei pensieri: pieno di ammirazione mando un abbraccio forte a te e a tutto il tuo popolo».
• Forse non dovremmo dare per scontato che i lettori conoscano questa donna. Forse dovremmo dir qualcosa di lei.
È appena uscito nelle nostre sale il film di Luc Besson, The Lady, che racconta la sua storia. In una delle prime scene la si vede bambina di due anni (è nata nel 1945) che dorme, e il padre le infila un fiore nei capelli. Quel padre – generale anche lui, comunista-nazionalista – è una figura chiave nella storia birmana. I generali dell’attuale regime lo ammazzarono.
• La figlia è una specie di Indira Gandhi o di Benazir Bhutto?
Si era sposata con un inglese studioso di tradizioni asiatiche e viveva con lui a Londra. Una famiglia felice, con due figli, e che della Birmania sapeva quello che raccontava la televisione. Ma la madre di Aung un certo giorno s’ammalò e la figlia, contro il parere di tutti, volle tornare a casa per accudirla. Da allora – era il 1988 - è ricominciata la lotta. Fondata la Lega Nazionale per la Democrazia (basata sui principi non-violenti del Mahatma Gandhi), finì subito in galera e ci rimase anche dopo la vittoria alle elezioni del 1990: la giunta annullò le elezioni e la tenne agli arresti domiciliari. L’anno dopo le diedero il Nobel per la Pace. Da allora fino all’anno scorso è stata praticamente sempre dentro, 21 anni agli arresti domiciliari. Il marito le è morto di cancro nel ’99: non le hanno permesso di andare a Londra a vederlo un’ultima volta.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 2 aprile 2012]