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 2012  aprile 02 Lunedì calendario

Troppo ricchi, questi ricchi? Certo, la notizia che i dieci italiani con i maggiori patrimoni «valgono» quanto i tre milioni di concittadini che di soldi ne hanno pochi, è di quelle che colpiscono

Troppo ricchi, questi ricchi? Certo, la notizia che i dieci italiani con i maggiori patrimoni «valgono» quanto i tre milioni di concittadini che di soldi ne hanno pochi, è di quelle che colpiscono. Ma scandalizzarsi è sbagliato. In primo luogo, lo conferma anche la ricerca della Banca d’Italia, il livello di disuguaglianza nel nostro Paese pare essere tutto sommato moderato. Siamo ovviamente ben sotto gli Stati Uniti dove qualche anno fa fece scalpore lo studio secondo cui sei membri della famiglia Walton (grandi magazzini Wal Mart), avevano una ricchezza complessiva pari al 30% - il 30% più povero - dell’intera popolazione Usa. Ma da noi ci sono meno differenze anche rispetto a Paesi noti per non essere paradisi del capitalismo selvaggio: la Svezia, la Germania e la Finlandia. Se poi si incrocia lo studio di Bankitalia con i dati sui maggiori patrimoni italiani, ricostruiti ogni anno da Forbes, salta all’occhio che nel nostro Paese impresa innovativa e creazione di ricchezza sono - o almeno sono state - strettamente legate. Il primo nella classifica dei patrimoni è dunque l’uomo che negli anni del boom economico ha inventato la Nutella. E poi quello che ha rifatto gli occhiali a mezzo mondo, si è spinto fino in America a comprarsi i Ray-Ban e ora apre negozi in Cina. Lo stilista che dall’alta moda si è lanciato fino a marchiare con il suo aquilotto i jeans come gli alberghi. E ancora, il creatore delle scarpe che respirano; quello che in un tempo lontano e lontano un tempo dalla politica inventò la tv commerciale; la famiglia veneta che ha fatto diventare moda per tutti i maglioni colorati; l’ingegnere che ha creato un impero farmaceutico in Gran Bretagna. I nomi? Inutile farli - vabbé, l’ingegnere della farmaceutica si chiama Stefano Pessina -, visto che tutti li colleghiamo immediatamente a un marchio o a un prodotto, alla loro idea vincente trasformata in impresa, a una strategia giocata sull’export che li ha portati in tutto il mondo. Storie imprenditoriali, quasi tutte di prima generazione, che ci riportano alla vicenda collettiva di un Paese che nel passato, anche recente, ha trovato la forza e i mezzi per crescere. E storie che, dal pasticciere Ferrero al «martinitt» Del Vecchio, al commesso della Rinascente Armani, smontano spesso la trappola del fatalismo nazionale. Quella trappola ben descritta dalla ricerca Bankitalia quando spiega che da noi è assai diffusa l’idea che il successo economico non dipenda tanto da ciò che fai, ma dalla fortuna o dalle parentele. Uscire dal luogo comune della ricchezza come colpa sarebbe probabilmente utile in questa fase di crisi economica. E in un Paese dove le difficoltà di fare impresa sono sotto gli occhi di tutti ci aiuterebbe anche a pensare che il problema non sono i ricchi, ma il fatto che siano troppo pochi.