Stefano Semeraro, La Stampa 2/4/2012, 2 aprile 2012
È un’icona dello sport italiano al femminile, prima azzurra tra le dieci regine del tennis internazionale: un mondo popolato da valchirie, aliene superdotate come le sorelle Williams, e giovani rampanti pronte a tutto
È un’icona dello sport italiano al femminile, prima azzurra tra le dieci regine del tennis internazionale: un mondo popolato da valchirie, aliene superdotate come le sorelle Williams, e giovani rampanti pronte a tutto. Lei, Flavia Pennetta, si è conquistata un posto al sole facendosi largo a suon di vittorie, senza mai sacrificare una spiccata femminilità. Oggi questa giramondo con sacca e racchetta svelerà i suoi segreti ai giovani a Torino, prima di decollare per la stagione sulla terra rossa. «La prossima settimana sarò a Barcellona, poi giocheremo la Federation Cup con la Repubblica Ceca e dopo arrivano i torneo classici: Madrid, Roma e Parigi». Flavia, si sente un esempio vincente? «Sì, posso proprio dirlo. Non solo in Italia, sono conosciuta anche all’estero». Vincendo tre Fed Cup (l’ultima nel 2010) con le altre azzurre ha sdoganato il tennis italiano femminile. Oggi, anche a livello di premi, vi trattano meglio? «Sì, sono fiera delle conquiste fatte sul campo». C’è il rischio che nel tennis si finisca come in F1: zero italiani? «No, non siamo così indietro. Noi abbiamo fatto esplodere il movimento, vedrete che arriveranno anche i maschi». Vive a metà tra la Spagna, dove si allena, e la Svizzera, dove risiede. Non le manca l’Italia? «Molto, ma è presto per rientrare. Faccio dei blitz, come ieri a Brindisi, per vedere i miei genitori, la famiglia e gli amici. Però se mi trasferissi qui perderei la concentrazione. Devo essere nella condizione migliore per allenarmi. E il mio staff è spagnolo, tranne lo psicologo argentino». Lo psicologo? Racconti... «Sono stata seguita a lungo da quello della federazione spagnola, ma è stato richiamato nella squadra iberica. Adesso lavoro con lo specialista argentino che segue Gisella Dulko, mia compagna di doppio. Lo psicologo mi aiuta a essere organizzata dentro e fuori dal campo. Un esempio? Quando sbagli una palla a volte ti soffermi troppo su quell’errore: sbagliato. La psicologia aiuta a cancellare gli stress inutili. All’inizio ero diffidente, poi mi sono dovuta ricredere. Nel mio caso mi mette davanti alla realtà, mi aiuta a scendere dalla mia nuvola». Dopo la tormentata rottura con Carlos Moya si è buttata a capofitto nei tornei. E sempre più nelle interviste parla di femminilità. C’entra lo psicologo? «Direi di sì. La gente è abituata a pensare a Flavia tennista, ma io non sono solo questo. C’è ben altro dietro! Il tennis mi ha aiutata a rinascere dopo la fine con Carlos. Ho sofferto, in quel periodo solo il campo mi dava sollievo. Giocavo, giocavo... Facevo quello che ho sempre adorato fare». Manca poco alle Olimpiadi. Obiettivi? Allora il doppio con la Schiavone si farà? «Io voglio migliorare il risultato dei Giochi 2008. Il doppio si farà, gareggerò anche nel misto, non so ancora con chi». Ha partecipato a sfilate, pensa ad un futuro in passerella? «Non so, voglio ancora giocare qualche anno, poi si vedrà. Certo è che quando ho sfilato ero ansiosa da matti, sono stata male tutta la mattina. Non mi ero mai sentita così nervosa, neppure per una finale importante. Avevo paura di cadere con quei tacchi! Però nella vita mai dire mai, come per i reality». Il segreto per riuscire? «La passione. Vedo troppi ragazzi spinti dai genitori, si vuole vincere subito. Un errore. I ragazzi devono vivere una vita serena fino a 15-16 anni, poi arriva il tempo delle scelte». E per lei le scelte importanti a che età sono arrivate? «Ci sono due momenti fondamentali nella mia carriera. Il primo quando mi chiamarono al centro tecnico federale: avevo 14 anni, non me la sono sentita. Ci sono poi andata a 15. L’altro quando sono stata all’ospedale perché avevo contratto il tifo. Lì ho avuto tempo di pensare e ho deciso che se fossi uscita dal tunnel sarei diventata una tennista tra le prime dieci del mondo. Anche in questo caso la sofferenza è stata fondamentale. Sono cresciuta bene, ma sempre soffrendo».