Giovanni Stringa, Corriere della Sera 2/4/2012, 2 aprile 2012
MILANO —
Dieci uguale tre milioni? In matematica no, in economia sì. Nel nostro Paese basta il patrimonio dei dieci cittadini più ricchi per uguagliare quello dei tre milioni di italiani più poveri. Il confronto, «battezzato» nel 2006, è stato ripreso quest’anno da uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia, con tanto di nuovi dati e analisi. Tra il 1987 e il 2008, per esempio, i giovani e gli adulti sono diventati più poveri, gli anziani più ricchi: il raffronto non è in «soldoni», ma rispetto alla media di tutta la popolazione. Considerando quest’ultima uguale a 100, le famiglie di giovani sono crollate da 82,5 a 61,7, quelle di anziani sono salite da 65,5 a 100,2. «Nel 1987 — si legge nello studio firmato da Giovanni D’Alessio di Bankitalia e pubblicato a febbraio — le famiglie di giovani erano su livelli medi non lontani dal totale della popolazione, ma a partire dal 2000 vedono peggiorare decisamente la loro condizione». Insomma, il grosso del cambiamento è arrivato con il nuovo millennio.
La ricchezza, poi, sarebbe costituita in generale sempre più dal patrimonio accumulato in passato e sempre meno dal reddito. Tra il 1965 ed il 2010 il rapporto tra ricchezza e Prodotto interno lordo è praticamente raddoppiato (da 2,7 a 5,6): il patrimonio che viene dal passato è sempre più rilevante rispetto a quello che si può costruire giorno dopo giorno con il lavoro. Inoltre, si legge nello studio della Banca d’Italia (che fa riferimento all’indice di Gini), il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede oltre il 40 per cento dell’intero ammontare di ricchezza netta, mentre il 10 per cento delle famiglie a più alto reddito riceve "solo" il 27 per cento del reddito complessivo.
E a cambiare non sarebbe solo la distribuzione tra le generazioni, ma anche quella tra le classi sociali. Tra il 1987 e 2008 la ricchezza familiare netta degli operai è passata dal 61,9% al 44% della media totale di tutte le classi. Mentre quella dei dirigenti è cresciuta dal 201,5% al 245,9%. E la categoria «pensionati e non occupati» è salita dal 61,6% al 97,8%. A livello geografico resta stabile il Nord Italia, sale il Centro e cala il Sud.
La ricchezza e la sua distribuzione, poi, non sembrano più percepite come il risultato di meriti individuali: «Le evidenze disponibili — continua lo studio di Via Nazionale — segnalano che il ruolo giocato dalle proprie scelte nel determinare il proprio livello di ricchezza non è poi così elevato, fornendo una conferma alle opinioni espresse dai cittadini italiani nelle indagini qualitative qui richiamate e giustificando una certa propensione alla redistribuzione».
Passando dai dati relativi a quelli assoluti, la ricchezza procapite è passata dai 21.875 euro del 1965 ai 142.481 del 2010: una crescita notevole che tuttavia si è arrestata dopo il 2007 quando il valore aveva raggiunto quasi i 150 mila euro a testa. La perdita, in appena tre anni, è stata di quasi il 5%.
D’altra parte, però, per il report di Via Nazionale il livello di diseguaglianza in Italia è comparabile a quello di altri paesi europei, e addirittura lievemente decrescente negli anni più recenti, complici — probabilmente — i crolli borsistici, perché un incremento nei prezzi delle azioni tenderebbe ad accrescere i livelli di disuguaglianza.
Resta comunque inimmaginabile — per molti — il valore del patrimonio complessivo dei 10 italiani più ricchi (famiglie incluse), stimato dalla rivista Forbes intorno ai 50 miliardi di euro. Ma chi sono questi «magnifici dieci»? Per Forbes, in ordine di dimensioni di portafoglio: Michele Ferrero, Leonardo Del Vecchio, Giorgio Armani, Miuccia Prada, i fratelli Paolo e Gianfelice Rocca, Silvio Berlusconi, Patrizio Bertelli, Stefano Pessina, la famiglia Benetton e Mario Moretti Polegato.
Giovanni Stringa