Stefano Righi, CorrierEconomia 02/04/2012, 2 aprile 2012
BANCHE. PER LE BIG UN BUCO DA 30 MILIARDI
Un buco da trenta miliardi di euro. È il conto che le prime quattro banche italiane (Unicredit, IntesaSanpaolo, Montepaschi e Banco Popolare) hanno presentato al 31 dicembre scorso. Il 2010 aveva mostrato qualche ottimistico segnale di ripresa che si era concretizzato, un anno fa, con 5.321 milioni di utili netti messi assieme dai primi quattro istituti. Un risultato non straordinario, ma che induceva all’ottimismo. Invece, la crisi è tornata a mordere pesantemente nel 2011 — anno in cui tutte e quattro i gruppi hanno chiesto nuovo capitale ai soci — e alla fine la somma dei bilanci ha portato a una perdita netta di 24.338 milioni di euro. Una differenza con l’anno precedente di 29.659 milioni. Una voragine difficile da colmare.
A comporre un risultato tanto negativo hanno contribuito una lunga serie di fattori. Dalla crisi internazionale che non sembra trovare fine, alla devastante prospettiva del debito sovrano che in queste ore morde la Spagna; dalla richiesta di nuovo capitale imposta dall’Eba (che ha così depresso il corso delle azioni), fino alla necessità di fare pulizia con il passato espressa con le parole e con i fatti (le pesanti svalutazioni) dai quattro uomini che sono in sella, Federico Ghizzoni, Enrico Tomaso Cucchiani, Fabrizio Viola e Pier Francesco Saviotti. Proprio gli impairment degli avviamenti hanno pesato per oltre 25 miliardi di euro sui conti dei quattro istituti, segno che forse nei bilanci al tempo dell’euforia qualcosa non rispondeva al criterio di cautela che sempre dovrebbe imporsi in questi casi. Ma ormai il bagno è fatto e mentre il ministro Corrado Passera, fino a cinque mesi fa a capo di Intesa Sanpaolo, oggi ammonisce sul rischio credit-crunch, in molti guardano ai bilanci sperando che rappresentino il punto più basso e dolente della crisi.
Unicredit
La speranza è in coda all’anno, perché a fronte di 9,2 miliardi di perdita a causa soprattutto delle svalutazioni sulle acquisizioni del passato, Unicredit ha chiuso il 2011 in crescita, battendo anche le previsioni degli analisti. Gli ultimi tre mesi dello scorso anno evidenziano infatti un risultato pari a 144 milioni contro i 30 stimati. Un calo del 65 per cento rispetto al 2010, ma uno sprint che pochi si aspettavano. Il gruppo, che nel 2011 ha chiesto 7,5 miliardi di euro ai soci e che nell’anno in corso non distribuirà alcun tipo di dividendo, si sforza di essere ottimista. Nei primi mesi del 2012, ha evidenziato Ghizzoni, il trend di crescita della banca è in linea con l’ultima parte del 2011. Certo, è molto presto per ipotizzare l’andamento dell’esercizio in corso, ma c’è chi evidenzia che la diminuzione delle rettifiche sui crediti concessi alla clientela sia un indicatore positivo anche per i mesi a venire. In attesa di una ripresa che tarda per tutti.
Intesa Sanpaolo
Avviamenti svalutati per oltre 10 miliardi di euro e una perdita superiore agli 8 miliardi: numeri che in Cà de Sass in pochi si aspettavano. Eppure il forte richiamo alla realtà imposto dal consigliere delegato Cucchiani non poteva essere rinviato. La banca, che per la quasi totalità dei suoi interessi è esposta in Italia, non può non risentire del difficile momento economico attraversato dal Paese. Aumentano in maniera significativa le rettifiche dei crediti concessi alla clientela, ma il business rimane solido: crescono sia il risultato della gestione operativa che i proventi netti, che gli interessi. Preoccupa, prospetticamente, l’esito di alcune partecipazioni, su tutte Alitalia. Immersa in una realtà complessa, Intesa Sanpaolo ha dovuto attingere alle riserve per distribuire 5 centesimi di dividendo ai soci. Un segnale di attenzione alle diverse esigenze, ma che non potrà avere continuità in futuro.
Monte dei Paschi
Alla presentazione dei risultati del 2011, giovedì scorso a Milano, si è notata l’assenza di Giuseppe Mussari, il presidente del Monte trattenuto altrove da impegni istituzionali. Un segno di evidente discontinuità con il passato in attesa dell’arrivo di Alessandro Profumo. Così, è toccato all’esordiente Fabrizio Viola raccontare di uno dei peggiori bilanci recenti della banca più antica al mondo. Un bilancio da lui disegnato nel segno dei rigore, con rettifiche del valore degli avviamenti per 4,5 miliardi e un rosso a 4,685 miliardi, contro il miliardo di utile netto sfiorato dodici mesi fa. Sui conti pesa il risultato della gestione operativa (-43%) e il calo dei proventi operativi. Viola si ispira per il futuro alle banche regionali americane («non alle banche locali») e predica ottimismo: rispetto a inizio anno molte cose sono mutate in meglio. E intanto pensa a vendere Biverbanca e magari qualche altro asset.
Banco Popolare
La notte a Verona sembra non passare mai. Forse perché qui è calata prima che altrove. Ricordate la vicenda Italease e la complessa digestione di quella che era diventata la Popolare Italiana, ora ritornata ad essere la Popolare di Lodi? Da allora Pier Francesco Saviotti non ha avuto pace. Arrivato per un’operazione chirurgica, si è trovato a dover curare un’epidemia. L’ultimo bilancio parla di 2,3 miliardi di perdita, contro i trecento milioni di utile registrati un anno fa. Il contesto macroeconomico è pesante, così Saviotti si aggrappa a quanto sa fare meglio, il mestiere del banchiere. Infatti, il risultato della gestione operativa è in aumento dell’11 per cento: un segnale importante. Tanto che l’utile netto prima degli impairment degli avviamenti legati alla Popolare Italiana è risultato pari a 574 milioni, con una crescita dell’86 per cento.
Stefano Righi