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 2012  aprile 02 Lunedì calendario

NELL´Ingannevole mitezza di una formidabile donna d´Asia, è ora Aung San Suu Kyi, la "Lady delle ghirlande", che tiene nelle mani la chiave non solo del proprio Paese

NELL´Ingannevole mitezza di una formidabile donna d´Asia, è ora Aung San Suu Kyi, la "Lady delle ghirlande", che tiene nelle mani la chiave non solo del proprio Paese. Ma del duello fra i colossi del pianeta. Nel grande paese sull´Oceano Indiano, Birmania o Myanmar come ha preferito chiamarla la cricca di generali e di corrotti che lo ha schiacciato per decenni, cercando di schiacciare lei, la resurrezione democratica della "Lady" di quasi 67 anni e di «delicata», come dice lei stessa, salute, è il granello di sabbia umana che può cambiare gli ingranaggi del Grande Gioco fra le potenze mondiali. Il germoglio della democrazia creata, non esportata. E´ una storia che altre figlie di un continente dove le donne, le mogli, le orfane, le madri tanto spesso sono emerse dal loro silenzioso matriarcato per mobilitare gli uomini, hanno scritto. Come la vedova di Aquino, Cory, che cacciò un´altra donna, la "farfalla di ferro" Imelda Marcos vera zarina delle Filippine, come Indira Gandhi, assassinata, come la potentissima vedova di Mao, Jang Qing, o la terribile "Madame Nhu" che purgava nel segno della croce comunisti, oppositori e buddhisti in Vietnam, così Aung San Suu Kyi si trova, per scelta, per coraggio e per giustizia, all´incrocio della storia. La tranquilla forza di questa madre di due figli, vedova di un inglese nato a Cuba che morì di cancro a Londra e che lei non volle andare a visitare sul letto di morte nel timore che la giunta non le permettesse più di rientrare in Birmania, ha fatto di lei la Nelson Mandela del sud-est asiatico. E´ la reincarnazione di una cultura gandhiana della non violenza, della resistenza e della ribellione attraverso il sacrificio di sé e la testimonianza, non delle forche o delle molotov, verso la riconciliazione nazionale. Il tutto, come disse in una intervista alla Bbc sostenuto da una fede assoluta nella democrazia, «il migliore e più giusto dei sistemi di governo mai creati». Si può dunque dire che lei, i suoi sostenitori ed elettori, i Birmani che nel 1990 la elessero primo ministro soltanto per essere subito schiacciati dal colpo di stato militare, sia la sola forma possibile di «espansione della democrazia» dall´interno delle nazioni, formula assai meno arrogante e fallimentare della «esportazione» a cannonate, dove la democrazia non ha storia né radici. Nessuna potenza euro americana ha sparato un colpo per incrinare il muro di violenza, di torture e di repressione creato dalla giunta 22 anni or sono. L´arma di distruzione della dittatura violenta e sanguinosa è stata una donna inerme, che ha attinto al desiderio di tanti cittadini di liberarsi dalle manette del regime. Se il mondo occidentale, gli Stati Uniti e l´Europa, hanno partecipato a questa incruenta guerra di liberazione - ancora lontana dall´essere vinta - è stato attraverso le sanzioni contro i «boss» di Rangoon (o Yangoon), la capitale. L´appoggio si è manifestato in visite di delegazioni di parlamentari europei, soprattutto tedeschi, che il governo non poteva negare, il culto globale da «rock star», fu scritto, che attorno a lei era cresciuto, dalle serenate di Bono ai blog delle stelle del cinema, con appelli ben più solenni lanciati anche da Papa Wojtyla. Fino al Nobel per la pace nel 1991, l´anno successivo alla sua condanna, premio che naturalmente non poté andare a ritirare. Dalla visita di un senatore americano della Virginia, Jim Webb, fino all´incontro nella sua casa con Hillary Clinton, segretario di stato americano, prima delle elezioni, con una foto delle due donne a fianco l´una dell´altra, sorridenti, sicure di sé, il sostegno degli Stati Uniti era sempre stato indiretto, ma evidente. Ma, come il Congresso americano ha già fatto sapere a Obama, non ci sono soldi per puntellare quella nazione, nel caso la giunta cadesse. I soldi, da quelle parti, li hanno soltanto i Cinesi. Ed è in qui, nell´intersezione fra la missione di una donna asiatica, allevata da una donna, la madre, dopo l´assassinio del padre generale ed eroe dell´indipendenza birmana, con le vie del «grande gioco» delle potenza, che il suo futuro si complica. Sostenendo e lubrificando la giunta e la sua cricca di "tycoon" che attorno al governo prosperano secondo uno schema non molto diverso da quello che ha arricchito oligarchi russi e generali cinesi, la Cina aveva stabilito una sorta di protettorato sulla Birmania/Myanmar. Con progetti faraonici di grandi opere idroelettriche attorno a una gigantesca diga, e l´obiettivo di sfruttare il territorio birmano per le sue risorse naturali e come via d´accesso all´Oceano Indiano (come da decenni invano sognano gli zar russi di ogni colore) Pechino considerava ormai il Paese di Aung San Suu Kyi il proprio cortile. Gasdotti e oleodotti diretti alla Cina sono in costruzione e la Birmania sarebbe stata, oltre che un fornitore, una zeppa strategica in quel che resta dell´egemonia americana sull´Asia meridionale. E un buffer, uno stato cuscinetto contro l´India, in crescita politica ed economica. Ma c´è di mezzo "la signora". C´è questa donna che ora, proprio nella regione del Nord più ambita dai cinesi, dove da anni si combatte con ferocia guerriglia una battaglia tra tribù e forze della giunta, ha trovato, anche grazie all´opposizione alla diga, la base popolare ed elettorale per tornare in Parlamento, sia pure con una minoranza. Aung San Suu Kyi, che ha uno dei proprio figli negli Usa e ormai cittadino americano, non possiede divisioni, non pretende di esportare la propria rivoluzione pacifica, vive una concezione gandhiana e jeffersoniana della democrazia, certamente più che bushiana. Ma se dal successo di queste ore, dallo sfondamento dello steccato di bambù nel quale era stata rinchiusa per vent´anni - e volontariamente era rimasta, celebrando anche le feste nazionali con le sue guardie - dovesse uscire per conquistare il governo futuro della Birmania, scoprirebbe la terra minata che sta fra democrazia e interessi globali, fra buone intenzioni e ricatti economici. Sapendo di poter diventare la coda minacciosa che agiterà il drago cinese, oltre il confine del Nord.