Paolo Baroni, La Stampa 2/4/2012, 2 aprile 2012
PAOLO BARONI SULLA STAMPA
Rispetto alla vecchia Ici, che dall’ultimo governo Prodi in poi sulla prima casa non si pagava più, la nuova Imu sarà molto più pesante. Perché, aliquote a parte, è la base di calcolo della nuova «Imposta municipale unica» ad essere molto più alta visto che oltre all’Ici incorpora tassa rifiuti ed imposte sui servizi erogati dal Comune. In media il 60% in più per quasi tutte le tipologie di fabbricati, abitazioni o immobili commerciali che siano.
Poi le singole amministrazioni, che possono calibrare a loro piacere le aliquote (partendo dai minimi previsti dal governo, il 4 per mille sulla prima casa ed il 7,6 per mille per le seconde case) ci mettono del loro e la stangata, fatte salve alcune eccezioni, può essere anche molto più pesante.
In base alle elaborazioni fatte per La Stampa dal Sunia, il sindacato inquilini della Cgil, si può arrivare anche ad un raddoppio rispetto alla vecchia imposta, come nel caso di Torino, sino ad un +239% (casa sfitta a Milano) e addirittura un +7-800% per gli alloggi affittati con canoni concordati a Genova. Tra le grandi città, anche per effetto della detrazione base di 200 euro (che sale poi a 400 per le famiglie più numerose), solo Bologna e Firenze ed in parte Palermo riescono a far pagare meno dell’imposta precedente. Per tutti gli altri son dolori.
Anche questi sono aumenti un poco «rozzi», per usare la definizione dell’altro giorno del presidente del Consiglio. Che però ancora una volta segnalano lo stato, o meglio il cattivo stato, delle nostre finanze. Sia quelle nazionali, visto che lo Stato centrale incamererà più o meno la metà del gettito, sia quelle locali, visto che tanto più i Comuni sono in difficoltà a far quadrare i loro bilanci tanto più sono indotti a tassare le case.
Certo questo è un modo sbagliato di far partire sul serio il federalismo fiscale. Perché è chiaro che se i sindaci ci devono mettere la faccia fissando loro le aliquote e poi il grosso degli incassi finisce a Roma cade il primo presupposto del principio di un sistema federale, quello del legame tra tassazione, qualità e quantità dei servizi erogati e responsabilità delle scelte. Sostengono non a torto i sindaci che siccome una buona parte dell’imposta la incasserà lo Stato e non i Comuni, le amministrazioni locali per ottenere lo stesso gettito fiscale che avevano in precedenza non potranno che aumentare le aliquote. E questo al solo scopo di assicurarsi le stesse risorse impiegate fino ad oggi per erogare i servizi fondamentali. Col paradosso che qualora decidessero di spingere ancor di più il pedale sull’acceleratore, comunque una fetta dei maggior introiti finirebbe sempre allo Stato.
E’ evidente che in tutto questo c’è qualcosa che non funziona. E che forse anche prima della fine dell’emergenza finanziaria, occorrerà in qualche modo riequilibrare.
Altri problemi in vista sono quelli pratici, operativi. Come pagare? E soprattutto quando? Qui per i cittadini-contribuenti si profilano altri guai, visto che i tempi tendono a slittare (i Comuni hanno tempo sino al 30 giugno per approvare i loro bilanci e quindi fissare le aliquote, ma c’è il rischio che passi anche uno slittamento al 30 settembre), mentre la scadenza della prima rata resta ferma al 16 giugno (il 16 dicembre si pagherà il saldo). E’ evidente non solo che la definizione delle pratiche e soprattutto i conteggi non potranno essere fatti contestualmente all’ elaborazione dei 730 come avveniva in passato, ma che si rischia il caos. Proprio ieri la Consulta dei Caf, i centri di assistenza fiscale, hanno sollevato la questione segnalando che inevitabilmente i contribuenti dovranno duplicare file e pratiche, e chiedendo al governo che almeno la prima rata venga calcolata sulle aliquote minime. Se c’è da pagare, e tanto si dovrà pagare, almeno che al cittadino venga eliminato questa ulteriore ragione di stress e di perdita di tempo.
PAOLO RUSSO SULLA STAMPA
Farà rimpiangere l’Ici, la tassa più odiata dagli italiani, la nuova Imu che tutti i comuni delle grandi città si apprestano a varare in versione «maxi» . Una batosta che si annuncia memorabile soprattutto per i proprietari di seconde case sfitte, visto che quasi in tutte le aree metropolitane l’aliquota è orientata al 10,6 per mille, ben tre punti al di sopra dell’aliquota ordinaria del 7,6 fissata dal governo per le seconde case. A circa due mesi e mezzo dal pagamento della prima rata della tassa il Sunia, il sindacato degli inquilini della Cgil, insieme a La Stampa ha rilevato qual è l’orientamento di nove grandi comuni italiani e ha poi elaborato gli effetti delle nuove aliquote sui contribuenti.
Aliquote in rialzo
Delibere approvate ancora non ce ne sono, complici anche le elezioni amministrative alle porte. A tutt’oggi solo il 6% dei comuni ha deciso il da farsi. Ma l’orientamento verso l’aumento delle aliquote ordinarie è cosa certa ovunque, vista la situazione di dissesto di buona parte dei bilanci comunali. Unica città a non aver ancora messo in cantiere gli aumenti è Napoli. Ma è questione di tempo.
Prima casa Sulla prima casa sono intenzionate ad usare l’arma dell’addizionale comunale Roma (dal 4 al 5 per mille), Palermo (con un ritocco all’insù dello 0,8 rispetto all’aliquota standard del 4), Catania (che punta al massimo del 6 per mille), Genova (anche qui al 5) e Torino, dove l’assessore al bilancio Gianguido Passoni anticipa che l’aliquota lieviterà al 5,5, precisando che si tratta solo di mezzo punto in più rispetto alla vecchia Ici. Milano, Firenze, Bologna e Bari «reggono» invece sulla trincea del 4 per mille. Della possibilità di ridurre l’aliquota base fino al 2 per mille prevista dal decreto «Salva Italia» ovviamente non se ne parla. Ma anche chi non subirà la botta delle addizionali rimpiangerà la vecchia Ici perché a far lievitare i conti è comunque la rivalutazione della base imponibile sulla quale calcolare le aliquote. Per sapere quanta Imu dovremo versare bisognerà infatti prendere la rendita catastale rivalutata del 5% e applicare dei moltiplicatori che a loro volta sono stati rivalutati del 60% rispetto alla vecchia Ici. Nonostante la detrazione fissa di 200 euro più i 50 per ogni figlio a carico (con un tetto massimo di 400) il risultato è che per un appartamento tipo di 80 mq in zona semiresidenziale accatastato come A2, ossia abitazione civile, l’Imu batte l’Ici per 2 a 1 a Torino (aumento del 107%), mentre sale del 69% a Roma e del 32 a Milano. Qualcosa in meno si pagherebbe invece a Firenze, Bologna e Palermo.
Seconde case
Ma è sulle seconde case sfitte che è in arrivo la vera sberla, con aumenti a tre cifre percentuali a Milano (+239%) e Catania (+146%). In valori assoluti per un appartamento tipo si pagheranno circa 2.160 euro a Roma e Milano, 1.915 a Bologna, tra i 1.200 e i 1.300 euro a Torino, Genova e Bari, mentre a Firenze la stangata si aggira sui 1.500 euro.
Affitti concordati...
Più articolato il discorso per le seconde case in affitto, dove diversi grandi comuni sono orientati a smorzare un po’ la stangata per evitare pericolose ricadute sugli affittuari. Roma, Catania e Genova non sembrano intenzionate a fare sconti a chi affitta, lasciando per tutti l’aliquota massima del 10, come per chi lascia vuoto il proprio immobile. A Torino, precisa sempre Passoni, si stanno facendo i conti sul gettito, visto che una quota dell’Imu viene incamerata dallo Stato. Ma per favorire i canoni d’affitto concordati (leggi calmierati) su questi si applicherà l’aliquota minima del 4, mentre sulle case ad affitto libero si andrà al 10. «Resta il fatto - tiene a specificare l’assessore al Bilancio - che tra quota Imu e fondo di riequilibrio Torino quest’anno verserà nelle casse dello Stato altri 240 milioni di euro». Nelle altre città l’aliquota per la case affittate a canone concordato si aggirerà tra il 4,6 di Milano e il 9,6 di Palermo.
...e canoni liberi
Sugli affitti liberi invece Roma, Bologna, Catania e Genova applicheranno l’aliquota massima del 10,6, mentre a Milano e Palermo dovrebbe essere del 9,6, a Firenze del 9,9, a Bari del 7. Fatta eccezione per quest’ultima (+60%) anche per gli affitti liberi gli aumenti rispetto all’Ici saranno tutti a tripla cifra, con punte record per un immobile A2 del 207% a Milano, del 198% a Bologna e del 167% a Torino. Se in media non siamo al triplo dell’odiata Ici poco ci manca. L’accanimento dei municipi sulle case sfitte ha una spiegazione. Con la scomparse dell’Irpef sui redditi da fabbricati, assorbita appunto dall’Imu, con l’aliquota base diventerebbe quasi più vantaggioso lasciare sfitta una casa piuttosto che affittarla. Una situazione che avrebbe aggravato la crisi degli alloggi che attanaglia le grandi città.
LUIGI GRASSIA SULLA STAMPA
Mancano due mesi e mezzo al pagamento dell’Imu, e possono essere molto pochi, visto che le regole a livello nazionale non sono state ancora fissate e quelle a livello comunale men che meno. E quando lo saranno? Ancora pochi giorni fa sono stati presentati in Parlamento diversi emendamenti, riguardanti vari aspetti della nuova Imposta municipale unica sugli immobili. E non si sa se verranno approvati o no. Un testo definitivo è atteso prima di Pasqua, ma anche se ci si arrivasse, non saremmo già fuori tempo massimo per giugno, visto che poi i Comuni dovranno dire la loro (in molti casi, dopo le elezioni amministrative?). La Consulta nazionale dei Caf fa suonare l’allarme e chiede il rinvio della scadenza del 16 giugno.
Secondo la Consulta, che raggruppa circa 60 Centri di assistenza fiscale su 80, «servono certezze sulle nuove aliquote, altrimenti sarà il caos. Ed è per questo che è necessario trovare una soluzione entro Pasqua», laddove per soluzione non si intende solo l’approvazione del testo in forma definitiva (questo sarebbe il minimo) ma anche un passo ulteriore. Questo passo è proposto così dal presidente del Consorzio Caaf (Caaf con due A) della Cgil, Mauro Soldini: «Si può prendere a riferimento l’aliquota base nazionale e far versare il 50% di questa aliquota come acconto sull’Imu». Il resto si verserà in un secondo tempo e con regole stabilizzate. «In alternativa, o meglio in aggiunta» dice Soldini, «il governo dovrebbe spostare i termini di pagamento dell’Imu ad altra data». Se no, c’è il rischio di avere «milioni di persone che vengono per le dichiarazioni dei redditi, costrette a tornare per pagare l’Imu». Sono 18 milioni gli italiani che ogni anno si rivolgono alla Consulta dei Caf.
Il problema sollevato dai Caf potrebbe essere risolto in Senato, ma se il governo vuole intervenire in quella sede deve sbrigarsi: il testo viene licenziato in commissione oggi, e domani andrà in Aula per essere approvato (come detto) prima di Pasqua.
Comunque della nuova Imu si sanno già molte cose, non ultima il fatto che grava anche sulla prima casa (che invece l’Ici, nella versione più recente, esentava) e grava molto di più sulle seconde e terze case e via pagando.
Proviamo a prefigurare l’impatto, con la riserva che gli emendamenti ancora in discussione potrebbero cambiare aspetti importanti.
Non c’è un’aliquota unica nazionale, ne esistono due che poi i singoli Comuni possono aumentare o diminuire entro certi limiti. L’aliquota ordinaria sulla prima casa è dello 0,4% della rendita catastale. I Comuni la possono diminuire o aumentare dello 0,2%, quindi l’Imu prima casa varia fra lo 0,2% e lo 0,6% della rendita.
Sulla prima casa esiste una detrazione fissa di 200 euro più un ulteriore sconto di 50 euro per ciascun figlio residente nell’unità immobiliare anche se non a carico fino al compimento dei 26 anni d’età e fino a un massimo di 400 euro (8 figli). Per le altre proprietà l’aliquota ordinaria è dello 0,76% aumentabile (o riducibile) dello 0,3%, quindi la variabilità è fra 0,46% e 1,06% (davvero pesante).
Ma le indicazioni date finora non bastano, c’è qualche complicazione ulteriore. Nel calcolare l’Imu bisogna considerare non la rendita catastale semplice ma rivalutata del 5% a cui aggiungere un moltiplicatore con dei coefficienti che variano a seconda della tipologia dell’immobile. Dunque, ecco la formula: Imu = base imponibile (rivalutata del 5%) X coefficiente di rivalutazione X aliquota. E il coefficiente più alto è pari a 160 (cioè a una rivalutazione del 60%) per abitazioni, box, magazzini e tettoie, mentre il più basso è di 55 per negozi e botteghe. E il risultato va poi moltiplicato per l’aliquota comunale.
PARLA IL SUNIA
Se la botta dell’Imu finirà per scaricarsi sugli inquilini siamo pronti a chiedere anche il blocco degli affitti». Daniele Barbieri, segretario nazionale del Sunia, il sindacato degli inquilini che ha elaborato gli effetti della nuova imposta sui proprietari di casa, teme l’effetto a cascata anche sugli affittuari e chiede norme di salvaguardia anche per le famiglie più deboli proprietarie di immobili.
Le delibere comunali sulle addizionali Imu sono ancora quasi tutte da approvare. Ma avete la sensazione che la stangata sia comunque in arrivo?
«Credo proprio di si visto che tutte le aree metropolitane, chi più chi meno, hanno problemi di bilancio. E sulle seconde case la botta sarà più dura perché contrariamente all’imposta sulla prima casa qui metà del gettito va allo Stato. Per questo molti comuni si troveranno a dover puntare verso l’aliquota massima. Anche se è apprezzabile l’orientamento di diverse amministrazioni a non penalizzare le case a canone calmierato».
Senza la revisione degli estimi l’Imu non rischia di accentuare le incongruenze che già ci sono?
«Purtroppo si, visto che oggi per un appartamento di 80 mq in una zona di pregio, tipo via del Serafico a Roma, si paga come per un immobile di uguale grandezza nel quartiere popolare di Pietralata. Aumentando l’imposta aumenteranno anche le incongruenze dovute a questi valori catastali completamente estranei a quelli di mercato. Il governo ha previsto la riforma degli estimi. Vedremo…».
È giusto colpire così tanto le case sfitte?
«Abbiamo almeno due milioni di appartamenti sfitti in Italia, case al mare escluse. Può essere un modo per rimettere un po’ di immobili sul mercato».
Ci potranno essere ricadute negative anche sugli affittuari?
«Il rischio è sicuramente di scaricare il peso dell’Imu sull’anello debole della catena: gli inquilini. Che secondo la Banca d’Italia in media vivono con un reddito lordo di soli 25mila euro. Per questo se si verificherà quello che temiamo siamo pronti a chiedere il blocco degli affitti».
E gli anziani ricoverati in via permanente in casa di cura che dovrebbero pagare l’Imu come sulla seconda casa?
«Mi auguro sia una svista che bisogna però correggere al più presto. Così come occorre trovare forme di tutela per le famiglie più deboli, proprietarie di un appartamento ma in condizioni economiche da non poter proprio reggere un colpo come questo».