Giornali vari, 2 aprile 2012
Anno IX – Quattrocentodiciottesima settimana Dal 26 marzo al 2 aprile 2012Aung Aung San Suu Kyi, l’eroina premio Nobel per la Pace nel 1991, tornerà a sedere nel Parlamento birmano avendo vinto con la schiacciante mnaggioranza dell’82 per cento le elezioni supplettive nel distretto di Kawhmuha
Anno IX – Quattrocentodiciottesima settimana
Dal 26 marzo al 2 aprile 2012
Aung Aung San Suu Kyi, l’eroina premio Nobel per la Pace nel 1991, tornerà a sedere nel Parlamento birmano avendo vinto con la schiacciante mnaggioranza dell’82 per cento le elezioni supplettive nel distretto di Kawhmuha. Il suo partito, la Lega per la Democrazia, è primo in almeno 43 delle 44 circoscrizioni in cui si è presentato. Il mondo è in festa, migliaia di militanti assediano la casa dell’eroina, in rete girano a dozzine le foto di lei che saluta il popolo sull’auto scoperta. «È iniziata una nuova era – ha detto – Non tanto per il nostro trionfo, quanto per quello di coloro che hanno deciso di partecipare al processo politico del Paese. Ciò che è importante non è il numero dei seggi vinti, anche se ovviamente siamo estremamente soddisfatti di aver conquistato tanto, ma il fatto che le persone mostrino tanto entusiamo nella partecipazione al processo democratico. Ci auguriamo che tutti i partiti che hanno preso parte a queste elezioni siano in grado di collaborare con noi per creare un clima realmente democratico nel nostro Paese». Centinaia di messaggi da tutto il mondo, tra cui uno del buddista Roberto Baggio (l’ex campione di calcio), e congratulazioni cariche di significati politici da parte di Hillary Clinton.
Lato mediatico La vittoria di Aung va letta su due piani. Il primo è mediatico: Luc Besson ha girato un film sulla sua vita che esce astutamente proprio adesso (The Lady), tutto il pianeta vive il suo ritorno in Parlamento come una specie di vittoria dei buoni contro i cattivi, e in particolare dell’eroismo femminile contro la tracotanza maschile. La Birmania è stata governata in questo dopoguerra da una giunta militare feroce, che esordì uccidendo il padre di Aung – un comunista nazionalista – e consegnandosi poi alla tutela dei cinesi. I cinesi scambiano con Rangoon merci per più di un miliardo di dollari l’anno, comprano petrolio e gas e sfruttano gli sbocchi a mare del paese. Tengono cioè il paese in pugno. Aung sposò un inglese studioso d’Oriente, andò a vivere a Londra, partorì due figli, poi – anno 1988 – decise di tornare in patria per assistere la madre malata. Qui cominciò il calvario: fondata la Lega per la Democrazia (ispirata alla predicazione non violenta del Mahatma Gandhi), venne subito arrestata. Vinse però le elezioni del 1990, e allora la giunta militare le annullò e la tenne segregata in casa senza processo. Una detenzione durata 21 anni. Nel frattempo il mondo, inorridito da quelle prepotenze, s’innamorava però di questo personaggio minuto, dall’apparenza fragile, dai modi garbati e raffinati come sanno essere quelli degli orientali che hanno ricevuto una grande educazione. Sicché al regime risultava impossibile sopprimerla: un soldato che ci provò venne giustiziato dalla giunta con l’argomento: «non abbiamo bisogno di un’altra eroina».
Lato politico Come mai però a un personaggio simile un regime tanto dittatoriale ha concesso di tornare in campo? Di questa sorprendente apertura vengono date molte letture, delle quali due ci sembrano più convincenti: dopo il colpo di Stato del 1990, la Birmania (a cui i generali hanno dato il nome di Myanmar) venne sottoposta a sanzioni dell’Onu: divieto, tra l’altro, di comprare il tek e di vendere armi al paese. La giunta adesso comincia a sentire queste sanzioni come un peso troppo grave. C’è poi la questione cinese: Rangoon ha capito che quell’abbraccio è soffocante e comincia a guardare all’Occidente. Gli Stati Uniti (ecco il senso delle calde congratulazioni di Hillay) non vedono naturalmente l’ora di sottrarre a Pechino un alleato tanto strategico.
Emilio Fede Al termine di una sequenza tutta da raccontare, Emilio Fede è stato licenziato, non ha più la direzione del Tg4 (passata a Giovanni Toti) e, a quanto si capisce, neanche troppo l’amicizia/protezione di Berlusconi. La settimana terribile del giornalista più servo d’Italia è cominciata con uno scoop del “Corriere della Sera” e della “Stampa” (la fonte ha astutamente tenuto all’oscuro di tutto il giornale più nemico di Berlusconi, cioè “la Repubblica”): un anonimo funzionario di una banca di Lugano ha segnalato alla Guardia di Finanza che Emilio Fede, lo scorso dicembre, si presentò a uno sportello e chiese di depositare su un conto da aprire due milioni e mezzo di euro in contanti. La banca si rifiutò perché la provenienza del denaro era dubbia, Fede era sotto inchiesta della magistratura italiana per un altro paio di faccende e insomma gli svizzeri non volevano nuovi fastidi con i giudici italiani. Il giornalista – sempre secondo l’anonima gola profonda – era arrivato in macchina, accompagnato da un’altra persona (per ora non identificata). Letta la storia sui due giornali, Fede s’è fatto intervistare da tutti non solo smentendo da cima a fondo la storia dei due milioni e mezzo, ma insinuando che la soffiata sarebbe partita dall’interno di Mediaset, nel tentativo di farlo fuori dalla direzione del Tg4. «Serviziettini da toilettina, devono stare attenti, magari hanno avuto storie d’amore sbagliate con transess…» lo si sentì dire al tg di Mentana. Poche ore dopo – mentre si disputava Milan-Barcellona e Berlusconi risultava «non raggiungibile» sul telefonino - la lettera di licenziamento, presentata da Mediaset al mondo con questo comunicato: «In una logica di rinnovamento editoriale della testata, cambia la direzione del Tg4. Dopo una trattativa per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non approdata a buon fine, Emilio Fede lascia l’azienda». Si sa che il licenziamento in tronco è stato deciso da Piersilvio Berlusconi e da Fedele Confalonieri, furibondi per le insinuazioni calunniose del giornalista. Ma anche l’amore di Silvio si direbbe finito: il Cav non ha perdonato al più fedele dei suoi adulatori la cresta da un milione e passa di euro operata sul prestito di due milioni e otto magnanimamente concesso a Lele Mora perché si salvasse dalla bancarotta.
Spread La settimana scorsa lo spread – cioè il differenziale tra i titoli a dieci anni italiani e tedeschi – è salito fino a 344 punti, spinto dalla crisi spagnola e dall’incertezza politica italiana, dove Mario Monti, dall’Asia, e i partiti, dall’Italia, hanno litigato di brutto sulla riforma del lavoro, e si sono sentite, dal premier, frasi abbastanza sorprendenti. Soprattutto: «Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto a quello che secondo noi è un buon lavoro non chiederemo certo di continuare» (lunedì 26 marzo) e «Questo governo sta godendo di un alto consenso nei sondaggi d’opinione, i partiti no» (giovedì 29 marzo). Se ne potrebbe dedurre che il premier, effettivamente forte di sondaggi nuovamente in ascesa, si prepara a una specie di scontro finale con il sistema dei partiti e a candidare quindi una propria lista alle prossime politiche. O, più modestamente, che taglierà la testa delle inquietudini democratiche sull’articolo 18 mettendo la fiducia sulla legge e mandando di fatto a quel paese Pd e Cgil. Bersani, in attesa che Monti torni in Italia, descrive nelle interviste la sua mediazione dichiarandosi incredulo di fronte all’ipotesi che non venga accolta. Il presidente Napolitano, intanto, ha fatto sapere che non intende candidarsi di nuovo al Quirinale e che sarebbe ora di mettere alla testa dello Stato una donna (i giornali hanno subito accompagnato l’idea con un paio di interviste a Emma Bonino).