Varie, 2 aprile 2012
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 2 APRILE 2012
Sistemata la Grecia, la Spagna è il nuovo ventre molle dell’euro. Ettore Livini: «Nei primi due mesi dell’anno la borsa di Madrid è stata il brutto anatroccolo dei listini europei, l’unico a snobbare l’euforia dei mercati per il salvataggio di Atene. Non solo: i Bonos decennali iberici - dopo un 2011 passato a guardare dall’alto in basso i cugini italiani - si sono fatti sorpassare dai Btp nel derby mediterraneo degli spread. L’Europa politica, stremata dal calvario ellenico, sperava fosse un fuoco di paglia. E invece no. La disoccupazione iberica viaggia al 23%, il Pil - asfissiato dalla cura lacrime e sangue imposta da Ue e Fmi (e siamo solo all’antipasto) - calerà quest’anno dell’1,7%. Il nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy ha rivisto al rialzo il rapporto deficit/pil dal 4,4% al 5,3%, sfidando l’ira dei falchi continentali». [1]
Il debito di Madrid non è altissimo. Livini: «Siamo oggi al 66% del Pil contro il 120% dell’Italia. Solo quattro anni fa però, prima dello scoppio della bolla immobiliare, viaggiava al 40% mentre le Cassandre prevedono l’assalto a quota 100%. Tagliare i costi non è facile: le 17 regioni autonome (molte governate dai popolari) che gestiscono in proprio un terzo delle spese nazionali hanno chiuso il 2011 con un deficit vicino al 3% contro l’1,3% previsto dalla Ue. E sono riottose a tagliare di più i fondi per sanità e istruzione. E ad avvelenare le acque c’è l´eredità letale della bolla del mattone: i 400 miliardi di esposizione immobiliare delle banche, i 5,6 milioni di disoccupati, le famiglie superindebitate (i mutui valgono il 190% del pil contro la media del 51% nella Ue)». [1]
La Spagna deve ridurre il deficit di bilancio del 3,2% del Pil tra il 2011 e il 2012. Le misure di austerità presentate venerdì a Copenaghen dal ministro Luis de Guindos sono stimate intorno al 2,5 per cento del Pil. [2] Luca Veronese: «Secondo gli analisti per Madrid sarà comunque molto difficile rispettare gli impegni presi con Bruxelles e la fase di recessione potrebbe richiedere altri interventi straordinari». [3] Fiona Maharg-Bravo: «Secondo uno studio della fondazione delle casse di risparmio spagnole (Funcas) la correzione effettiva dovrebbe avvicinarsi a 55 miliardi di euro, da raccogliere con tagli alla spesa o inasprimenti fiscali. È una somma superiore al 5% del Pil di quest’anno - che rende l’impresa di proporzioni tali da indurre alcuni economisti a parlare di “mission impossibile”». [4]
Dopo aver promesso per mesi una Finanziaria «molto, molto austera», venerdì il governo Rajoy ha varato il maggior taglio del post-franchismo (36 anni): 27,3 miliardi di euro. Gian Antonio Orighi: «Sommandolo a quello di fine dicembre, quando l’Esecutivo conservatore è entrato in carica con maggioranza assoluta, la stangata totale è di 42,3 miliardi in appena 100 giorni. Una mazzata bestiale, per un Paese in recessione e con una crescita negativa prevista per quest’anno di -1,7%, che però ha già convinto i mercati. Lo spread con i bund teutonici, che in mattinata era balzato a 371 punti basici, è sceso a quota 354 (meno 2 %)». [5]
La manovra sarà presentata nei dettagli domani in Parlamento. [3] Come a dicembre, quando l’Irpef dei ricchi aumento più di quella dello spagnolo medio, la mazzata «è un po’ socialdemocratica». Orighi: «Niente aumento dell’Iva (al 18%), le indicizzazioni delle pensioni vengono mantenute, “per non colpire le fasce deboli e il consumo”. Scure invece sui dipendenti statali, che continueranno a percepire gli stipendi congelati nel 2011 dall’ex premier socialista Zapatero. Ma, a parte l’aumento della luce del 7% e del 5% del gas, c’è anche l’altra parte della medaglia: le grandi imprese (che fanno i soldi soprattutto in America latina, come Santander o Telefónica) pagheranno l’8% degli utili rimpatriati». [5]
La stangata colpisce un Paese la cui situazione sociale è già «da brividi»: disoccupazione al 47,8% tra i ragazzi sotto i 25 anni, tagli alla sanità e all’istruzione ecc.. Livini: «Un circolo vizioso in cui l’austerità si autoalimenta, mandando in recessione il paese e a picco le sue entrate fiscali, con Iva (-9,8%) e Irpef (-2,7%) crollate nel 2012. Il governo conservatore di Mariano Rajoy fatica a tenere la barra dritta: da una parte ha chiesto alle banche di sospendere gli sfratti per disoccupati con case di valore inferiore ai 200mila euro. Dall’altra ha varato “la riforma del lavoro più regressiva della storia di Spagna”, come dice Candido Mendez, leader dell’Ugt». [6]
La riforma di Rajoy cambia i meccanismi d’uscita da un mercato del lavoro nel quale un’impresa poteva già scegliere di licenziare pagando un indennizzo al dipendente. Lo scontro riguarda due modifiche. Veronese: «La prima è la riduzione drastica dei costi per le imprese che intendono licenziare: la riforma di Rajoy abbassa l’indennizzo da 45 a 33 giorni per anno di impiego, per un massimo di 24 mesi anziché 42; e se l’impresa è in difficoltà, cioè ha subìto un calo di vendite nei nove mesi precedenti o lo prevede per i nove successivi (anche se vengono registrati utili di esercizio), dimezza il rimborso per i dipendenti a 20 giorni per anno lavorato, per un massimo di 12 mesi». [7]
Il secondo punto d’attrito riguarda le deroghe al contratto nazionale in caso di crisi aziendale, Veronese: «In presenza di “difficoltà economiche, problemi tecnici, organizzativi o di produzione” le imprese possono infatti decidere, in deroga ai contratti collettivi e senza negoziare alcunché con i dipendenti, di ridurre gli stipendi e modificare orari di lavoro e turni. Per le organizzazioni sindacali sono due provvedimenti che “fanno carne da macello dei lavoratori”, per il Governo sono “passi necessari per rilanciare l’economia e ricominciare a creare nuovi posti di lavoro”». [7] Secondo la Fundación Idea, think tank dell’ex-ministro socialista Jesús Caldera, la deregulation «farà saltare nel 2012 ben 150mila posti di lavoro in più dei 635mila previsti dal Governo». [6]
Giovedì la Spagna ha vissuto l’ottava “huelga general” (sciopero generale) dalla fine dell’era franchista. Andrea Nicastro: «Il messaggio era affidato agli striscioni e ai volantini. Su uno si leggeva: “Vogliono azzerare tutti i diritti, nel lavoro e nella società”. Un altro enumerava le critiche alla riforma: “Licenziamento facile, riduzione di stipendio a volontà dell’imprenditore, liquidazione in caso di malattia o rifiuto del dipendente a nuovi orari o sedi di lavoro, perdita di valore del Contratto collettivo...”». Classica guerra di cifre sull’adesione. [8] Orighi: «Alle 11 la direttrice di Politica Interna, Díaz, si vantava che avevano incrociato le braccia meno lavoratori che nella settima “huelga general”, quella dello scorso settembre contro la stangata di Zapatero». [9]
Per i sindacati la partecipazione media è stata del 77%, con 10 milioni di lavoratori in sciopero (costo: 1 miliardo). A giudicare dal consumo di energia elettrica, non dovrebbero essere lontani dal vero: alle 9 del mattino è sceso del 25% rispetto al precedente giovedì. Orighi: «Un evidente trionfo per i sindacati, che assicurano di aver paralizzato il 97% dell’industria e dell’edilizia, il 57% della pubblica amministrazione». [9] L’obiettivo della rifoma, obiettano i critici, non è solo rimettere a posto il deficit, «ma anche rispondere alle aspettative del proprio elettorato» «con pesanti tagli al sistema di Welfare creato dai socialisti che i popolari hanno sempre considerato eccessivo» (Irene Tinagli). [10]
Forte della maggioranza assoluta in Parlamento, il governo Rajoy era stato varato in un clima sociale di accettazione dell’idea di riforme e tagli dolorosi. Nicastro: «“La Spagna non è la Grecia — ripetevano orgogliosi i rappresentanti di Madrid nelle sedi europee o al Fondo monetario internazionale —. Da noi la gente, votando Partido Popular, ha dimostrato la consapevolezza della necessità dei sacrifici”. Lo sciopero di giovedì e i risultati delle elezioni amministrative di domenica (nella tradizionalmente rossa Andalusia il Partito popolare non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta, la giunta verrà formata da una coalizione tra socialisti ed estrema sinistra, ndr) fanno pensare che il clima stia cambiando». [8]
In un Paese in cui il ruolo di aggregazione politica è stato tradizionalmente svolto dai sindacati anarchici prima e comunisti poi, le associazioni dei lavoratori sono adesso scese in campo. [8] Ignacio Fernández Toxo, leader delle Comisiones Obreras: «Rajoy deve aprire un negoziato sui licenziamenti facili entro il primo maggio, altrimenti alzeremo il livello dello scontro». L’esecutivo, che incalzato dall’Ue non può permettersi incertezze, per ora non accenna passi indietro. Il ministro del lavoro Fátima Báñez (la Fornero spagnola): «La strada delle riforme è irreversibile». Il vice premier María Soraya Sáenz de Santamaría Antón: «Non ci sono alternative. O così, o così». [3]
Oltre ai sindacati, il governo deve convincere le autonomie locali, responsabili di un terzo delle spese del paese. Livini: «Molti governatori delle 17 regioni (buona parte del Partito Popolare) si sono già messi di traverso, pur essendo i principali responsabili dello sforamento degli obiettivi di bilancio 2011 costati a Madrid una tirata d’orecchi a Bruxelles». [11] Veronese: «Il Governo di Madrid ha centrato gli obiettivi che aveva fissato per l’amministrazione centrale, comuni e sistema previdenziale hanno sforato di poco, mentre le autonomie che dovevano stare sotto l’1,3% hanno chiuso il 2011 con un disavanzo pari al 2,9% del Pil, in tutto 30,5 miliardi di euro». [3]
Note: [1] Ettore Livini, la Repubblica 27/3; [2] Ivo Caizzi, Corriere della Sera 31/3; [3] Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 31/3; [4] Fiona Maharg-Bravo, La Stampa 27/3; [5] Gian Antonio Orighi, La Stampa 31/3; [6] Ettore Livini, la Repubblica 29/3; [7] Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 30/3; [8] Andrea Nicastro, Corriere della Sera 30/3; [9] Gian Antonio Orighi, La Stampa 30/3; [10] Irene Tinagli, La Stampa 30/3; [11] Ettore Livini, la Repubblica 30/3.