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 2012  aprile 02 Lunedì calendario

L’atto d’accusa a Lombardo: «Patto coi boss» – Peggio, molto peggio delle ac­cuse a Cuffaro

L’atto d’accusa a Lombardo: «Patto coi boss» – Peggio, molto peggio delle ac­cuse a Cuffaro. È sconvolgente lo scenario che sta alla base dell’im­putazione coatta, per concorso esterno in associazione mafiosa, a carico del governatore siciliano Raffaele Lombardo e di suo fratel­lo Angelo. Un patto politico-ma­fioso, rimarca il gip, che i Lombar­do «hanno direttamente o indiret­tamente sollecita­to – e ottenuto – dalla “famiglia”ca­tanese di Cosa no­stra » nell’arco di 10 anni, fino alle elezioni naziona­li, comunali e re­gionali del 2008. Ha raccontato il pentito Maurizio Di Gati: «Dopo il 2001, l’ordine era quello di votare per l’Mpa» perché «se ne avevamo bisogno ci poteva­mo rivolgere a quel partito per quanto riguarda sia gli appalti sia altre cose».Proprio i lavori pubbli­ci sarebbero la bussola per orien­t­arsi nel sistema di potere politico­mafioso. A elencarli è un altro pen­t­ito, Gaetano D’Aquino: «autoriz­zazioni per i posti di vendita alla fiera di Catania», «concessioni di autorizzazioni» per ristoranti nel porto e nel Bingo, «concessioni edilizie», «interventi sul piano re­golatore » e «posti di lavoro nelle cooperative». E che non ci siano prove che i Lombardo abbiano mantenuto ef­fettivamente la parola per il gip è poco importante, visto che «un connubio di simile estensione nel tempo, reiteratosi, dopo il primo appoggio nel 1999, in ben altre quattro occasioni, non è logica­mente pensabile che abbia regi­strato sistematicamente il tradi­mento dei Lombardo degli impe­gni as­sunti con gli esponenti di Co­sa nostra di volta in volta incontra­ti ». E così, anche quando Raffaele Lombardo non risulta più avvici­nabile dai boss, sono gli stessi uo­min­i d’onore a fornire l’involonta­ria dimostrazione di averlo appog­giato. «Quello che ho fatto io quan­do lui è salito per la prima volta lì, neanche se viene il padreterno tro­verà più queste persone e sicco­me io ho rischiato la vita e la galera per lui (…) da me all’una e mezza di notte è venuto, ed è stato due ore e mezza, qui da me, dall’una e mezza alle quattro di mattina, si è mangiato sette sigarette», si sfoga – intercettato – il boss Rosario Di Dio. In realtà, leggendo gli atti e le in­formative del Ros, ai Lombardo non sarebbero andate solo prefe­renze elettorali, ma anche soldi. Soldi sporchi, circa 700mila euro raccolti con le estorsioni. Un «in­gente investimento economico», lo definisce il gip. «Non vi scudda­ti, ci resi i soddi nostri del Pigno, ci resi a iddu ppa campagna elettora­le... », tuona il padrino Vincenzo Aiello in un’intercettazione. Il fratello di Lombardo diventa deputato al Parlamento nell’apri­le del 2008. E, per festeggiare, il 4 maggio partecipa a un party ad al­to tasso mafioso nella villa di Bar­bagallo, filmato dai carabinieri. Il 26 maggio –e fino al 28 dello stesso mese –il fratello del presidente vie­ne ricoverato in «terapia intensi­va respiratoria». Che cosa è suc­cesso lo racconta il gip sulla base delle dichiarazioni del pentito Eu­genio Sturiale: «Angelo Lombar­do aveva subito una bastonatura perché non aveva tenuto fede al­l’impegno assunto» con la fami­glia Santapaola». Agli atti anche i presunti contatti tra Raffaele Lom­bar­do e il boss di Enna Raffaele Be­vilacqua: 10 telefonate intercetta­te e alcuni appunti del capomafia che annotava, con soddisfazione, nell’agendina: «Ore 8,30 da Raf... a chi fare domanda per aeropor­to? » Un capitolo a parte, invece, il gip lo riserva al rapporto tra l’azienda Safab e i referenti di Co­sa nostra catanese, Barbagallo e Aiello, che utilizzano, secondo il gip, «il canale privilegiato instau­rato con il presidente Raffaele Lombardo e con l’onorevole An­gelo Lombardo per affinare l’im­posizione della “messa a posto” per i lavori del canale di gronda di Lentini» del valore di 13 milioni di euro e per poter gestire, diretta­mente, la ricca cascata di subap­palti da affidare a imprese «ami­che ». Dalle carte dell’inchiesta Iblis emerge infine il nome dell’ex senatore e assessore regionale Ni­no Strano (quello che, per festeg­giare la caduta di Prodi, mangiò una fetta di mortadella in Parla­mento) autore di una visita in car­cere al boss Francesco Marsiglio­ne al quale, secondo il contenuto di alcune intercettazioni, il politi­co avrebbe offerto aiuto per tutte le esigenze della famiglia: dalla ri­cerca di posti di lavoro ai figli alla proposta di candidarlo in un con­siglio di quartiere. A quest’ultima richiesta, però, pure il boss avreb­be detto no: sarebbe stato troppo. (ha collaborato Simone Di Meo)