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 2012  aprile 02 Lunedì calendario

ROMA - Adesso, Galliani invoca ufficialmente (con tanto di lettera alla Federazione) i giudici di porta

ROMA - Adesso, Galliani invoca ufficialmente (con tanto di lettera alla Federazione) i giudici di porta. Ma a Catania, sul gol-non gol di Robinho, anche i giudici di porta avrebbero avuto grosse difficoltà a decidere. Anche avessero avuto (e non pare sia previsto) la moviola instantanea. La trigonometria di un nostro lettore che ha usato l’autocad (Computer aid design, il software di progettazione e disegno più diffuso e preciso) ci dice che il pallone non aveva passato del tutto la linea di porta: per la precisione, la proiezione della sfera toccava una porzione di gesso larga la bellezza di 11,54 millimetri. Sempre che il frame sia quello giusto e che il nostro amico Stefano non sia interista... Il futuro possibile ha più di uno scenario. Con i giudici di porta: Bergonzi ferma il gioco e interpella i due malcapitati (sul "gol non gol" di Muntari sarebbe molto più facile) che, in pochi secondi dovrebbero decidere. E se non fossero d’accordo tra loro? Nel dubbio, è gol o non è gol? Con i sensori sulla linea di porta: Bergonzi sente il "bip" in cuffia e decide in tempo reale. Sembra la strada più corretta, ma i "puristi" del calcio arbitrato e deciso dall’occhio umano non ci stanno e la Fifa da questo orecchio non ci sente. Anche in questo caso, stando al Cad, Galliani avrebbe avuto il gol di Muntari, non quello di Robinho. Con la supermoviola come nel rugby. Bergonzi ferma il gioco, fa segno con la mano disegnando un rettangolo nell’aria e pone la fatidica domanda: "Voglio sapere, per favore, se è gol o non è gol". Un tecnico (o forse un "quinto uomo"), nascosto chissà dove nello stadio, passa in rassegna tutte le immagini a disposizione mentre Galliani, in tribuna, assume una delle sue celebri espressioni invetrate e lo stadio ammutolisce. Se il tecnico ha solo i suoi occhi, nel caso di Catania, non può decidere. Se può applicare la trigonometria, probabilmente, sentenzia che non è gol. Galliani, in catalessi, viene portato via con seggiolino e tutto. Storie che vanno avanti da decenni. Più o meno da quando la televisione è entrata nel calcio. Prima, infatti, il gol fantasma erano un lampo negli occhi dei tifosi. Un attimo che, durante la settimana, si poteva dilatare in ore e ore di discussione da bar, ma che nessuno aveva modo di rivedere se non nei fotogrammi sbiaditi di "Calcio Illustrato" o nei disegni fantastici di Carmelo Silva e, più tardi, di Paolo Samarelli. Il gol fantasma sbiadiva nel ricordo già un attimo dopo che si era verificato. Le proteste duravano secondi, l’arbitro gesticolava come una marionetta impazzita e faceva riprendere il gioco ammonendo (allora senza cartellino giallo) i più riottosi, sperando in cuor suo di non essersi sbagliato. Prima della tv era un mondo (e un calcio) del tutto diverso. Il Genoa del primo scudetto (8 maggio 1898 a Torino contro l’International di Torino), quello capitanato da Spensley e formato in maggioranza da marinai inglesi con baffoni a manubrio e lunghi mutandoni, giocava sul campo di Ponte Carrega (sulle rive del Bisagno). Le foto dell’epoca testimoniano che le porte non avevano la rete e, spesso, al posto della traversa c’era una corda, ma se Mr. William Baird, portiere di quel Genoa, avesse detto che non era gol, nessuno, allora avrebbe osato mettere in dubbio la sua parola di gentleman. Molto British... Meno British, a dire il vero, quello che accadde il 30 luglio 1966 sul mitico terreno di Wembley in occasione della finale dei mondiali (allora Coppa Rimet). Germania e Inghilterra erano sul 2-2 e stavano giocando i supplementari. L’ala sinistra Geoff Hurst (che quel giorno passerà alla storia come unico giocatore capace di segnare una tripletta in una finale mondiale) gira in porta un cross da destra di Ball. La palla supera il portiere Tilkowski e rimbalza per terra: sulla linea o dentro? Per l’arbitro svizzero Gottfried Dienst (uno dei migliori del’epoca) non è gol. Ma il suo collaboratore di destra, il russo Bakhramov lo richiama con insistenza e, in modo concitato, gli spiega di aver visto benissimo. Per lui è gol. Le moviole successive non hanno mai chiarito del tutto. A vederlo oggi, sembra più "non gol" che "gol", ma siamo sempre nel campo delle impressioni. Più prosaicamente, nei mesi successivi, si vociferò che Bakhramov fosse stato trattato particolarmente bene dagli ospiti inglesi (cene sontuose, champagne e donnine) nei giorni precedenti la finale e che se ne fosse ricordato al momento di decidere (e, forse, trarre in inganno Dienst) sulla rete decisiva di Hurst. Ma ormai, appunto, la televisione si stava impadronendo della faccenda. E Carletto Sassi stava per entrare in scena con la sua mitica moviola. Era il 22 ottobre 1967, giorno del derby Inter-Milan finito 1-1 con reti di Benitez e Rivera. Proprio la rete del pareggio del "golden boy" rossonero, segnata a una dozzina di minuti dalla fine, divenne oggetto del primo vero caso da moviola. Sassi, con il suo portentoso marchingegno, dimostrò al pubblico sbalordito della Domenica Sportiva che non era gol, che quel pallone non era entrato e che l’arbitro D’Agostini si era sbagliato. Da quel giorno, nulla fu più come prima. E il calcio entrò in un’altra era. Qualche mese più tardi, a dire il vero, il 22 gennaio 1967, le immagini televisive avevano documentato un altro gol fantasma. Il colpo di testa di Virginio De Paoli, in Lazio Juventus era entrato nettamente in porta, ma era rimbalzato fuori e il portiere laziale Cei l’aveva bloccato come se niente fosse. Da allora, i gol fantasma si sono sprecati. A decine. Da Galante a Ferrini, da Thiago Motta a Zalayeta, a quello di Lampard ai mondiali in Sudafrica che sembrò la nemesi storica di quello di Hurst. Era il 27 giugno 2010, si giocava la partita degli ottavi di finale. La Germania era andata avanti con due reti di Klose e Podolski, gli inglesi di Capello avevano appena accorciato con Upson. Al 38’ del secondo tempo, un meraviglioso pallonetto di Lampard supera il portiere Neuer, colpisce la traversa e rimbalza ben al di là della riga di porta. L’arbitro, l’uruguayano Larrionda, non convalida. L’Inghilterra è fuori dai mondiali. Wembley 1966, per i tedeschi, è vendicata. Gol fantasma se ne sono visti di tutti i colori. Con palloni che finiscono in fondo alla rete e tornano in campo senza che nessuno se ne accorga, con il piedino di un raccattapalle che respinge da dentro la porta un tiro di Savoldi in Ascoli-Bologna 1-3 del 1975, con palloni dentro anche di un metro e mezzo che ricompaiono magicamente in campo tra le mani del portiere e l’arbitro che grida di andare avanti. Poche settimane fa, un colpo di testa su un campo minore è finito fuori di un metro, ha picchiato su un muro dietro la porta ed è rimbalzato in campo. L’arbitro ha dato il gol e le immagini hanno fatto il giro del mondo. Prima di quello di Catania, c’è stato quello enorme di Muntari in Milan-Juventus e la polemica ha finito per toccare Buffon reo di non aver confessato all’arbitro (ma andiamo!) di aver tirato il pallone fuori dalla porta. E la storia continuerà. A meno di mettere i sensori sulla riga di porta. Ma se dopo Milan-Barcellona si fa polemica perché, secondo la stampa spagnola, i rossoneri avrebbero dato un’aggiustatina all’infame terreno di San Siro per renderlo più scivoloso, cosa ci vorrà a sospettare che qualcuno abbia spostato i sensori un po’ più dentro o un po’ più fuori dalla porta? Andrà a finire che anche nel calcio tecnologico scoppieranno le beghe. E qualcuno sosterrà che era meglio tenerci gli errori degli arbitri, le polemiche e l’imperdibile sguardo invetrato di Galliani. Oppure si dovranno spegnere i televisori e vietare i replay. E tornare ai ricordi della domenica, confusi e obnubilati dal tifo, che diventano leggenda durante la settimana.