Dario Di Vico, Corriere della Sera 03/04/2012, 3 aprile 2012
GIOVANI IN CARRIERA? SONO I CINESI D’ITALIA
Boran Shang ha 27 anni, si è laureato in finanza a Bologna e vorrebbe lavorare per un’azienda come Acqua di Parma o Fendi. Feng Xu di anni ne ha 31,è specializzato in siti web e si vuole occupare di commercio elettronico. Lin Ma è una ragazza molto carina che ha studiato moda per 4 anni a Padova e ora cerca un impiego nel visual merchandising. Liu Jiahui detto Luigi ha 26 anni e aspetta un’azienda che lo assuma nel marketing dei prodotti di lusso.
Nello slang dei giovani cinesi d’Italia questi ragazzi sono dei «banana», gialli e asiatici fuori quanto bianchi e occidentali dentro. Sono loro la nuova frontiera del business delle aziende italiane che vogliono sbarcare in Cina e cercano le professionalità giuste, qualcuno che conosca entrambi i mondi e possa legarli.
Dei giovani immigrati cinesi di seconda generazione sentirete parlare sempre più spesso. Sono loro i veri protagonisti della «primavera di Prato», del timido tentativo delle due comunità in riva al Bisenzio di parlarsi, di superare la politica della chiusura. I giovani cinesi nati negli anni 80 sono stati la prima ondata, alcuni si sono integrati e altri no ma in fondo hanno dissodato il terreno. I nati negli anni 90 hanno il passaporto italiano, mordono il freno, frequentano gli occidentali più che la loro comunità. Ieri in 150 erano a Milano nei saloni dell’Assolombarda chiamati dalla Fondazione Italia-Cina per quello che sta diventando un appuntamento tradizionale, il Career day. Il giorno in cui le grandi aziende italiane, dalla Barilla alla Brembo, da Fendi all’Iveco, da Prada alla Manuli, mandano i loro uomini delle risorse umane e in un pomeriggio passano in rassegna ciascuno una cinquantina di ragazzi cinesi. Come Lu Lu, nata a Pechino e arrivata a Milano per specializzarsi in disegno industriale al Politecnico. Lei ha passaporto cinese, è orgogliosa del suo Paese e un po’ preoccupata del destino politico dell’Italia. «Vi vedo un po’ spenti» dice.
I genitori di molti di questi ragazzi sono i titolari dei ristoranti cinesi presenti in tutte le città d’Italia. Una generazione abituata a soffrire e che dopo averne viste di tutti i colori vuole per i figli un futuro da manager e non da camerieri. Sperano che il made in Italy li ingaggi per «fare avanti e indietro» tra Milano e Shanghai come sogna Sun Yu Xue, una ragazza di 22 anni che ha già fatto la commessa da Bottega Veneta e vuole però mettere a frutto i suoi studi milanesi e fare la stilista. Le aziende italiane guardano con curiosità a questi giovani. Preferiscono prendere loro piuttosto che un «uovo», come è chiamato in gergo un occidentale che sta da troppo tempo in Cina. È rimasto bianco fuori ma ormai dentro è giallo, troppo simile agli asiatici. «Solo oggi abbiamo incontrato 60 ragazzi — dice Stefania Vino, manager della Vibram (scarpe) —. Hanno un grande spirito di iniziativa e rappresentano un veicolo per far conoscere il prodotto italiano più velocemente». Le fa eco Elisabetta Giannoni della multinazionale Ralph Lauren: «Sono giovani curiosi, innovativi e che vivono con la valigia pronta». E disponibili a fare anche un’esperienza da commessa negli show room per turisti. «È utile per capire i clienti» dicono.
Che i giovani italo-cinesi amino le griffe della moda italiana lo si vede da come sono vestite le ragazze e dalle mani che si alzano quando dal banco delle chiamate si sente arrivare una parola magica tipo Prada. Lu, Liu, Chang e gli altri amano sempre di più il loro Paese, godono nel sentir dire che ormai è la seconda potenza mondiale e dell’Italia parlano con aria bonaria. «Siete capaci di godervi la vita ma rischiate di diventare un Paese sorpassato» dice Lin Ma. Boran Shang vive a Forlì ma si considera un cosmopolita, è fidanzato con una ragazza slovacca, da noi ha lavorato da Yoox e pensa che la Cina abbia bisogno della tecnologia e del management italiano ma quando parla del nostro Paese ci ammonisce: «Non crescete e quindi resterete indietro». Il mondo per i giovani asiatici assomiglia a un treno ad alta velocità e l’Italia è il vagone di coda che rischia di staccarsi da un momento all’altro. Chi resterà di sicuro a Milano è Chang Ju-Lan: ha sposato un italiano conosciuto a Londra quando studiava, ora ha tre figli e fa l’interprete free lance. Cerca un’azienda che la faccia viaggiare ma non si trasferirà. «Da voi vivo divertita e rilassata».
Dario Di Vico