Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il gesto di rimettere il mandato nelle mani di Fini – compiuto l’altro giorno da Ronchi, Urso, Bonfiglio e Menia – non ha naturalmente nessun valore. I quattro devono comunicare le loro dimissioni al capo dello Stato, che li ha nominati. Ieri non è successo. Quindi, per ora. tutto è come prima. Calma piatta anche dal lato Bossi-Berlusconi. Bossi ha riunito i suoi ieri mattina nella sede leghista di via Bellerio a Milano. Poi, con Maroni e Calderoli, è andato ad Arcore a discutere con Berlusconi. Quindi nuova riunione in via Bellerio. Alla fine questo comunicato, siglato dai capigruppo leghisti di Camera e Senato, Reguzzoni e Bricolo: «L’incontro è andato bene, andiamo avanti. Si è deciso di proseguire con l’azione riformatrice per realizzare il programma. Ne è emersa un’assoluta sintonia sui concreti problemi del Paese e sulle azioni da realizzare, a partire dalla situazione creatasi a seguito delle alluvioni in Veneto. Domani Bossi e Berlusconi saranno nei territori interessati insieme al Presidente Zaia, per un sopralluogo nei comuni maggiormente colpiti».
• Quindi?
Quindi siamo in pieno surplace, come avevamo scritto ieri. Il cerino sembrerebbe passato nelle mani di Berlusconi, ma forse non è così. Di sicuro a un certo punto i quattro si dimetteranno. Ed è quasi certo ormai che Berlusconi a quel punto si limiterà a un rimpasto. Non è neanche detto che vada a chiedere la fiducia. Alla fine si tratta di un ministro, un vice e due sottosegretari.
• Ma allora tutta questa canea scatenata da Fini non porta da nessuna parte?
Credo che il Pdl per ora starà a guardare. Porterà in Parlamento i provvedimenti che deve portare (documento di ieri: «proseguire con l’azione riformatrice…») e aspetterà che i finiani votino contro. Se la bocciatura riguarderà qualcosa di importante, Berlusconi andrà a dimettersi, felice che la responsabilità della rottura sia dei finiani. Infatti è questo che il Pdl vuole evitare, prima di tutto: la colpa di aver mandato a remengo la legislatura, secondo l’opinione generale gravida di conseguenze in termini di consenso al momento delle elezioni. Siamo già in campagna elettorale, naturalmente. Il voto è generalmente previsto a marzo.
• Su quale provvedimento potrebbe cadere Berlusconi?
Ma intanto potrebbe esserci una congiuntura delicata mercoledì prossimo, alla Camera. Per via del crollo di Pompei, Bersani sembra sul serio intenzionato a presentare una mozione di sfiducia contro Bondi, il ministro del Beni culturali. Anche qui, Berlusconi potrebbe limitarsi, se il ministro cadesse, a un rimpasto. Certo però dopo Scajola, Brancher, Ronchi sarebbe molto fastidioso. Tuttavia la mozione di sfiducia stanerebbe anche i finiani. Come voteranno, nel caso? Di Pietro insiste con Bersani che è ora di presentare una mozione di sfiducia all’intero governo, proprio per stanare Fini. Il discorso di domenica, dice Di Pietro, va bene. Ma il lunedì, dopo aver detto che questo è un governo «non del fare ma del fingere che tutto vada bene», che farai? Gli darai ancora la fiducia o no? I provvedimenti importanti con i quali Fini potrebbe costringere Berlusconi a dimettersi sono in ogni caso parecchi: la legge di stabilità (finanziaria), il decreto sviluppo (sette/dieci miliardi per l’università), i vari scudi per la giustizia, i decreti attuativi del federalismo…
• Supponiamo che Berlusconi si dimetta. Che accadrà a quel punto?
Prima ipotesi: scioglimento immediato delle camere e elezioni. Un po’ irrituale, in genere il presidente verifica l’esistenza di un’altra maggioranza. Seconda ipotesi: nuovo incarico a Berlusconi. Un nuovo incarico avrebbe senso solo se il Cavaliere tentasse di allargare la maggioranza inglobando, oltre al Fli, anche Casini. La Lega si metterebbe di traverso. Terza ipotesi: incarico a un altro esponente del centro-destra, non sgradito all’opposizione. Sarebbe Tremonti. Berlusconi cioè dovrebbe fare l’odiato passo indietro. Abbastanza fantapolitico, e comunque, anche qui, senza la Lega non ci sono i numeri. Quarta ipotesi: incarico a una personalità non necessariamente di centro-destra, sostenuta da tutti tranne Berlusconi e Bossi, i quali sarebbero ben felici di farsi un anno di opposizione e presentarsi vergini al voto. Parecchio difficile.
• E se ci fossero spostamenti di parlamentari, tali da cambiare i rapporti numerici?
Starebbe per passare al Fli il senatore sardo Piergiorgio Massidda, il che porterebbe la pattuglia finiana di Palazzo Madama a 11 elementi. La maggioranza avrebbe a questo punto 161 voti e tutti gli altri 160. È ancora poco per qualsiasi scenario credibile che non siano le elezioni. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 9/11/2010]
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