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 2010  novembre 09 Martedì calendario

NORTH DAKOTA, IL MIRACOLO FATTO IN CASA


Qual è lo Stato che può van­tare una disoccupazione al 4,4%? E aumenti del Pil a due cifre con incrementi dei reddi­ti delle persone fisiche pari al 23% tra il 2006 e il 2009? Uno pensa: non può essere che la Cina.Sbagliato.Anche nell’an­simante America c’è chi va alla grande. L’autore di questo mi­racolo è il North Dakota, ovve­ro uno dei piccoli e in apparen­za marginali tra i 50 che com­pongono la federazione statu­nitense.
La sua fortuna? Aver dato ret­ta, tra il 1915 e il 1920, alla Nonpartisan League, un movi­mento locale che l’establish­ment tentò di fermare bollan­dolo come populista, ma che in realtà era lungimirante. Quel movimento indipenden­te­propose agli elettori del Nor­th Dakota di non aderire al Fe­deral Reserve System ovvero al circuito finanziario imper­niato sulla Fed, la Banca cen­trale americana. Pensavano, i contadini dello Stato, che non ci si potesse fidare dei banchie­ri di Wall Street e che fosse più saggio avvalersi di un Istituto indipendente. Il tempo ha da­to loro ragione.
Il successo del North Dakota è tutto qui: pur usando il dolla­ro come valuta di scambio, og­gi è l’unico Stato americano che non dipende dalla Federal Reserve. A garantire le sue ri­serve sono i cittadini, i quali, in caso di dissesti finanziari non potrebbero avvalersi dell’assi­curazione federale sui deposi­ti. Lo Stato corre un rischio, ma ipotetico: in oltre 90 anni di vita l’istituto non è mai stato in difficoltà ed è passato inden­ne attraverso ogni crisi.
Per legge lo Stato e tutti gli en­ti pubblici devono versare i fondi nelle casse della Banca centrale del North Dakota, che li usa non per ottenere utili mirabolanti, né per oliare inde­bitamente le banche private, ma per aiutare la crescita dello Stato. Di fatto agisce come un’agenzia di sviluppo econo­mico e dunque sostiene pro­getti d’investimento, concede finanziamenti a tassi molto bassi, nonché un numero im­pressionante di prestiti agli studenti a condizioni eque.
Sarà per la mentalità conta­dina di quella gente o per le vir­tù­civiche sia degli amministra­tori della banca che dei cittadi­ni, ma il tasso di spreco e di inefficienza è bassissimo. Per dirla in altri termini: quegli in­vestimenti non sono sprecati in progetti insensati o impro­duttivi, dunque non produco­no carrozzoni parapubblici con interessi e prospettive clientelari, ma producono ric­chezza nel territorio e dunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, generano un ciclo virtuoso.
Sembra l’uovo di Colombo, ma altro non è che il trionfo del buon senso. In ultima analisi lo scopo della banca centrale di un Paese dovrebbe essere quello di agevolare uno svilup­po economico armonioso e senza squilibri finanziari o in­flazionistici.
La Bank of North Dakota ci riesce a tal punto da chiudere ogni anno in utile (nel 2009 per 58 milioni di dol­­lari), denaro che torna ai legitti­mi­proprietari ovvero ai contri­buenti. Il sistema funziona co­sì bene che diversi Stati ameri­cani vogliono imitarlo. E mica solo staterelli, anche colossi come California, Ohio, Flori­da, stufi di un meccanismo che negli ultimi trent’anni ha creato una ricchezza illusoria. La Federal Reserve, infatti, non appartiene ai cittadini americani, ma alle banche, che pertanto sono i suoi azioni­sti di riferimento, così come, peraltro, avviene per la Banca d’Italia.Il liberista Ron Paul da anni sostiene, inascoltato, che una Banca centrale non è nem­meno contemplata dal­la Costi­tuzione americana e che di fat­to tradisce lo spirito dei fonda­tori degli Stati Uniti d’Ameri­ca. Furono gli ambienti di Wall Street, nel 1914, a indurre il presidente Wilson a creare la Fed, la quale, però, nel corso dei decenni ha assunto compi­ti e generato dinamiche de­vianti, sottraendo al popolo la sovranità finanziaria.
Contrariamente alla Fed, la North Dakota Bank non ha bi­sogno di considerare interven­ti straordinari a sostegno di un’economia asfittica, né di comprare i Buoni del Tesoro invenduti, per la semplice ra­gione che lo Stato non ha debi­ti ed è addirittura in surplus. La North Dakota Bank non ha seguito la moda dei subprime, né della cartolarizzazione dei debiti, né delle altre diavolerie finanziarie escogitate negli ul­timi anni dai dissennati e avi­dissimi manager delle grandi banche d’affari. Ha continua­to ad essere una banca centra­le al servizio della comunità, capace di mettere a disposizio­ne dei privati le risorse neces­sarie per avviare imprese che poi non vivono di sussidi, ma secondo le regole di mercato. È la rivincita di un’America semplice e vincente, ma di cui nessuno parla mai.