Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 09 Martedì calendario

BIOCARBURANTI: MARCIA INDIETRO


A volte anche gli ambienta­­listi meno condizionati dal­l’ideologia cambiano idea, si pongono domande, diventano scettici, fanno perfino autocritica. Avete presente quella trovata qua­si miracolistica che doveva contri­buire al superamento del problema energetico mondiale senza incide­re sui delicati equilibri dell’am­biente? Ricordate il dibattito e le po­lemiche attorno alla cosiddetta a­groenergia, cioè al cambiamento di destinazione d’uso dei terreni agri­coli per trarne biocarburanti per i motori invece di cibo per l’umanità affamata?

Bene, guru autorevole di questa suggestione era l’ex vicepresidente Usa nonché premio Nobel per la Pa­ce Al Gore, ascoltato, riverito, cor­teggiato. Solo che Gore è persona intelligente, di quelle che correg­gono i propri punti di vista. Sentite cosa ha dichiarato negli scorsi gior­ni durante il vertice Onu di Cancun sui cambiamenti climatici: «I bio­carburanti? Scarsi vantaggi per l’ambiente; anzi, più danni che van­taggi perché il guadagno della ri­conversione e­nergetica è mol­to basso, tanto che insistervi troppo è stato un errore». Nientemeno.

In effetti, la sola produzione di bioetanolo (car­burante di origi­ne agricola per sostituire la benzina) è finita sotto accusa per l’impennata che ha provocato sui prezzi del mais negli Usa, ora che oltre il 40 per cen­to del granoturco americano – il 15 per cento della produzione mon­diale – è dirottato alle fabbriche di combustibili, e le sue quotazioni in cinque anni sono salite del 71 per cento, contro il 55 per cento del pe­trolio. Lo conferma il Dipartimen­to dell’agricoltura di Washington. Tutto questo mentre milioni di a­mericani, da una costa all’altra, si interrogano sulla durata presunta di vita del motore delle proprie au­tomobili: se si portasse al 15 per cento il tasso di etanolo miscelato alla benzina, 74 milioni di vetture dovrebbero essere rapidamente av­viate alla rottamazione. E in tempi di vacche magre il beneficio sareb­be solo per l’industria automobili­stica.

Già in sede Onu, nel 2007, era stata proposta una moratoria di cinque anni in materia di biocarburanti per il temuto impatto riduttivo sulle su­perfici destinate alle culture ali­mentari, con il rischio di aumento della fame nel mondo. Ma la loco­motiva dell’agroenergia, lo sfrutta­mento della potenzialità energeti­ca tratta dai processi agricoli era or­mai in piena corsa. Dal 2003 il mon­do inseguiva il mito del biofuel (bio­carburante, cioè etanolo per i mo­tori a scoppio e biodiesel per i Die­sel) e due anni fa la Banca Mondia­le indicava in 36 milioni di ettari (il doppio dei i terreni coltivabili in I­talia) le estensioni a ciò destinate, mentre almeno 5 milioni di ettari venivano acquistati soprattutto dal­la Cina in 11 Paesi africani. Servi­ranno anche per scopi energetici.

Così l’agroenergia mostra la faccia nascosta della sua realtà: valida (ma non sempre e non incondizionata­mente) sul piano ambientale, per­ché riduce il ricorso ai combustibi­li fossili a vantaggio delle fonti rin­novabili, condiziona però e modi­fica le scelte di politica agricola di molti Paesi del Terzo Mondo e non solo, riducendo le superficie desti­nate a dare cibo rispetto a quelle ri­servate ai vegetali energetici, mais ad esempio o semi oleosi. Tutto questo, osserva criticamente François Houtart, professore all’U­niversità Cattolica di Lovanio, tra­scurando il fatto che «per contri­buire al 25-30 per cento della do­manda energetica mondiale, oc­correrebbero centinaia di milioni di ettari per la maggior parte nel Sud, dato che nel Nord del Pianeta non si dispone di sufficienti super­fici coltivabili». La Terra, in effetti, è piccola, e le ter­re emerse sono poche. Ghiacci, roc­ce e deserti ne portano via un buon terzo, le foreste un altro terzo ab­bondante, i pascoli il 23 per cento, il suolo arabile il 10 per cento. Si ca­pisce come le aree suscettibili di bioagricoltura siano in primo luo­go quelle delle foreste tropicali, in­fatti il Brasile ne ha distrutte quasi 20 milioni di ettari per coltivare soia, seme oleoso. Oggi – dice la Fao – di bioetanolo se ne producono 60 mi­liardi di litri l’anno, 30 negli Usa, 20 in Brasile. Di biodiesel 10 miliardi di litri, e qui la Ue è leader con 6 mi­liardi di litri, grazie alla soia, alla col­za, al girasole. Ma l’Europa impor­ta pur sempre il 50% dell’energia che consuma, dato che potrebbe salire al 70% tra 20 anni se non in­terverranno correttivi. Noi italiani siamo più bravi e ne comperiamo fuori casa l’82 per cento, quasi in­teramente da fonte fossile.

Eppure, il quadro così descritto (le voci critiche che si levano, le rifles­sioni ponderate che invitano a con­siderare il problema energetico nel­la sua complessità valutando le ri­percussioni di certe scelte sull’irri­solta questione della fame nel mon­do) non deve indurre ad alzare la paletta rossa davanti alle strategie agroenergetiche, neppure qui in I­talia, dove i terreni coltivabili si stanno riducendo sotto l’offensiva del cemento e dell’asfalto. L’agroe­nergia resta scelta valida, pratica­bile, utile, conveniente. È tutta que­stione di misura e di buon senso, di integrazione con le produzio­ni alimentari. Lo sottolinea Fede­rico Vecchioni, presidente di Confagricoltu­ra, quando par­la «del contribu­to che le filiere delle bioener­gie, in forte cre­scita, stanno dando all’eco­nomia naziona­le ». Lo ripete Eurostat, quan­do attribuisce alle agroenergie la capacità di crea­re prospettive occupazionali inte­ressanti per giovani laureati in fa­coltà scientifiche, ingegneria, agra­ria ed altre, ora che in Italia gli agri­coltori sotto i 35 anni sono solo il 6 per cento del totale contro il 17,3 dell’Unione.

Piero Mattirolo, amministratore de­legato di EnergEtica onlus (Distret­to agroenergetico dell’Italia del Nord Ovest), guarda al futuro: «Tra le energie green – dice – le agricole sono quelle stimate a maggior cre­scita e vanno in controtendenza ri­spetto alla stagnazione di molta parte dell’economia nazionale. Il piano di azione per le rinnovabili con cui l’Italia si è impegnata in se­de europea pone come obiettivo il raddoppio del loro contributo al pa­niere energetico entro il 2020».

Spogliata dalla valenza fideistica di certe aspettative di ieri, l’agroener­gia mostra finalmente il suo volto migliore, benevolo e non rapace: quello di uno strumento capace di migliorare la vita dell’uomo senza togliere cibo di bocca a nessuno. L’uovo di Colombo è quello che i tecnici chiamano biocarburante di seconda generazione.