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 2010  novembre 09 Martedì calendario

CALIFANO, TUTTO IL RESTO È FAME

Le vie del Signore sono infinite e il Catasto, una variabile indipendente. Così mentre affida previdentemente l’anima a dio: “Ho già dettato la lapide: ’non escludo il ritorno’”, Franco Califano, ex dirimpettaio di Papa Ratzinger : “E’ stato il mio vicino di casa per trent’anni”, chiude il cerchio della dissennatezza e a 72 anni, dopo aver indossato, bruciato e cavalcato molte vite, torna bambino. Ai tempi in cui l’abitazione, il letto e l’unico rifugio “Erano tutti in una Fiat 1400”, le scarpe un lusso e il proprio corpo da mettere in gioco, una scommessa quotidiana al riparo dalla noia. Ieri il suo grido sui giornali. La richiesta della Legge Bacchelli (emolumenti dello Stato per artisti in grave difficoltà economica, la stessa che Silvio Orlando nel Portaborse di Luchetti voleva concedere al suo poeta preferito), causa perorata da Domenico Gramazio del Pdl (anche i pinguini postfascisti hanno un’anima) perchè Califano, caduto dalle scale la scorsa estate (come il suo amico Gianni Pennacchi, poi scomparso, a Natale) ha tre vertebre rotte, non è più in grado di tenere concerti e vive di soli, grami diritti d’autore. “Me so’ magnato tutto” ha detto. E nella constatazione, c’è tutto. Il prima e il dopo.
Il giorno successivo, comunque, è più silenzio che rumore. Su Facebook, i commenti sono irriferibili, quasi tutti negativi. L’avvocato del Califfo si affretta a smentire: “E’ stato equivocato, non ci sono i presupposti per la concessione del vitalizio”, Codacons e Pensionati , in coro polifonico, deprecano la sola ipotesi dando la stura a tutta la prevedibile demagogia del caso. Lui, il Califfo, tace, lasciando che il telefonino (quello di casa è staccato per morosità) squilli per ore e somiglia al personaggio di una sua vecchia canzone: “Io piango, quanno casco nello sguardo de’ ’n cane vagabondo perché, ce somijamo in modo assurdo, semo due soli al monno”. Guardando indietro, si vede meglio. Nato nel 1938 su un aereo in volo sull’Africa italiana, il figlio di Jolanda e Salvatore fuggì dal convento in cui l’avevano confinato “finalmente via da quelle suoracce”, si sposò a 19 anni (separazione rapidissima e maggiore prudenza con gli anelli e le promesse, in seguito) per raggiungere Roma. Primi anni ‘60. Califano è bello, interpreta il cattivo nei fotoromanzi Lancio e nelle pause (di giorno si dorme, di notte si vive, la regola unica del periodo) compone poesie. Il passato guarda all’oggi: “Capii in fretta che sarei morto di fame”, così si industria. Paroliere. Qualche canzone, l’appoggio di Edoardo Vianello, “E la chiamano estate” per Bruno Martino. Poi, nel 1967 gli viene diagnosticata la meningite. Rimane a letto 12 mesi, in clinica. Non conosce mezze misure, così alberga alla costosissima Mater Dei in zona Parioli, riceve visite proibite, spende tutto quel che ha e ritornato alla luce, si vende: “Mi dovetti prostituire. Di preferenza, sceglievo donne belle e ricche. La colazione me la portava a letto il cameriere. Ogni settimana, una casa diversa”. In questo disordine sentimentale, le storie durano il tempo di un tramonto perché “l’amore non si cerca. Capita”.
Mita Medici e
l’arresto del 1970
C’È QUELLA con Mita Medici, lei giovanissima, lui già poco raccomandabile e messo a terra, definitivamente, dalle intercettazioni del 1970 che trascineranno nel fango Walter Chiari e Lelio Luttazzi. Si parla di Cocaina, lo tengono dentro ma a suo carico, non trovano nulla. L’assoluzioneèsolounpezzodi carta, perché per tutti, il drogato Califano è l’esempio da additare. A differenza di Luttazzi, che pur innocente, dalla vicenda subirà uno choc incancellabile, Califano si rialza anche se nelle scie bianche di dubbio ricadrà ai tempi della caccia alle streghe a Enzo Tortora. Ha carattere, diventa silenziosamente l’eroe musicale delle tante esistenze difficili di periferia. Chi lo odia, chi lo ama e amandolo, commette delle follie.
Gli intitolano, da vivo, una piazza a Borbona, in provincia di Rieti. “A Franco Califano, poeta emusicista”.Aivigiliurbaniche vogliono rimuovere la targa, si oppongono i cittadini. Califano ha sempre avuto un’inclinazione popolare, non di rado populista. Con la sinistra, rapporti difficili. A lui piaceva Bettino Craxi : “Un galantuomo che sapeva commuoversi anche se la gente non l’ha mai saputo”. Gli scrisse una lettera nel 1983, ebbe risposta. Si incontrarono in un ristorante, si abbracciarono. Gli altri, visti dalla sponda del Califfo,unagalleriadegliorrori. “Quello che mi è meno antipatico è Prodi, almeno mi fa ridere”.Perlealtregalassie,rancore misto a disprezzo. I socialdemocratici lo candidarono malvolentieri in periferia. Il resto lo fecero colla e carta nottetempo. Uno slogan aggiuntivo che non invogliò gli elettori. “Per una malavita migliore”. In occasione dei 70 anni, tra le fanfare amiche di Piazza Navona precisò la visione, a destra della destra.“Iosonoliberale,anticomunista, cattolico, apostolico romano. Ho chiesto al sindaco Alemanno, mio caro amico, di poter cantare. E lui mi ha fatto un meraviglioso regalo. Per 5 anni me l’avevano impedito bollandomicomeunimpresentabile”. Poi l’affondo: “Conoscevo bene sia Rutelli sia Veltroni:ilprimosièsemprecomportato bene, il secondo mi ha ignorato. E non so perché”. Quando i rossi di Diliberto scelgono ‘Tutto il resto è noia’ per ornare l’apparato culturale di una loro festa, Califano sbotta: “Se penso a sti communisti che mancom’hannomaiinvitatoacantà alle loro feste e poi se so rubbati la canzone mia più famosa me viè ‘na rabbia cieca”. Per quei versidisperatisulcrepuscolodi un amore: “Inventi feste e inviti gente in casa/ così non pensi almeno fai qualcosa” , l’Università di New York gli conferì la laurea honoris causa che perso tra la “ggente de borgata”, Califano non avrebbe mai preso.
Scrive per la Vanoni strofe profetiche: “La musica è finita”, lavora con Mina, vede alcune creature smarrirsi per le cattiverie (Mia Martini) ma quando ai cantautori (siamo alla metà dei ‘70) è chiesta una patente di affidabilità politica, il Prevert di Trastevere perde le coordinate, scagliandosi poi contro “i falsi messia e i mistificatori”. La frattura con la gauche nasce allora. Non gli importa di presenziare alle feste : “Non ho mai avuto il successo che meritavo perché non frequentavo i potenti”, e mentre Roma gli sfugge dalle mani e si trasforma in qualcosa che lui non riconosce più, spingendolo a evadere tra Marino e Acilia, gli piove addosso un contrappasso involontario.
Il riconoscimento
arriva tardi
PIÙ L’ETÀ scorre veloce, più pulsa la rivalutazione degli artisti contemporanei. Mentre il corpo si deforma e lui addebita la voce roca, non ai peccati, ma a più innocenti gite notturne a petto nudo in Spider, lo riscoprono. Ligabue, Frankie Hi ngr, festival letterari e musicali. A lui, che approda anche nel circo di Simona Ventura (Music Farm) per poi uscirne sbattendo la porta, la differenza tra artisti e gente normale appare chiara fin dagli anni del buiolo di Regina Coeli, gli stessi in cui Alberto Sordi, dall’altra parte d’Europa attraversava un’altra traversia carceraria e cinematografica in “Detenuto in attesa di giudizio”. Anche l’avventura di Califano è stata un film, ma nonostante la depressione, Califano tratteneva le lacrime. All’epoca, nel ‘70, Califano divideva la cella con Pietro Valpreda, l’anarchico coinvolto nelle indagini sulla bomba di Piazza Fontana.
Rimase imperturbabile lungo tutta la durata dell’istruttoria. “Se piangi sei finito. Era il primo processo importante con artisti implicati, e per loro gli artisti sono tutti froci”. Così attese, rimuginò, risalì per poi precipitare ancora. A quelli senza baricentro capita così. L’unico che non l’ha mai tradito è il sesso. Primo rapporto a 13 anni, poioltremillefacceealtrettanti aforismi raccolti in libri veloci, da consumo balneare: “L’amante migliore del mondo è la donna di casa, con il marito impiegato al ministero e i figli a scuola. Quella che si concede al rappresentante della Folletto” o ancora: “Sciampiste e impiegate, le devi considerare contesse. Le contesse, invece, puoi fartele sul cofano di una macchina”. Franco Califano. Irriducibile, sgradevole, eccessivo, umano. “Un orologio senza lancette scandisce il nostro tempo ormai da ore/ anche un po’ di pianto non ci rende onore”. Nella palude, come profetizzò un giorno: “Se sarva solo er coccodrillo”. Anche se i denti, oggi, sembrano azzannare solo l’aria che rimane.