NICOLAI LILIN , la Repubblica 9/11/2010, 9 novembre 2010
I GIORNALISTI MASSACRATI NEL SILENZIO DELLA RUSSIA - A
Mosca un altro giornalista è caduto vittima del potere politico corrotto e repressivo, a causa della sua devozione per la giustizia e libertà, per le sue idee moderate e democratiche. Altro sangue, altra rabbia, un´altra giovane vita frantumata, consumata dall´ignoranza e dalla mancanza del coraggio dell´opinione pubblica russa, che purtroppo con sempre maggiore evidenza si trasforma nella folla obbediente ed esaltata davanti agli spettacoli offerti in abbondanza dall´attuale regime politico corrotto e repressivo, che mette in evidenza sempre di più la sua terribile matrice dittatoriale, formata nei tempi della tirannia sovietica. Manca solo che riprendano le esecuzioni sulle piazze, così amate dai cittadini nei tempi passati.
Gli aggressori di Oleg Kashin, uno dei più noti reporter del giornale Komersant, hanno raggiunto il loro obiettivo con discreta professionalità ed efficienza di squadristi picchiatori allevati nei canili del Kgb, lui non avrà più occasione di concludere in breve tempo le sue coraggiose inchieste, molte delle quali davano così tanto fastidio agli amministratori del premier Putin. Giovane e carismatico, colto, famoso per il suo coraggio nel denunciare gli abusi dello stato corrotto, il giornalista si trova ora in ospedale in coma farmacologico. Ricordo un suo recente articolo sulla corruzione degli agenti delle forze dell´ordine nella regione di "Primor´e", l´inchiesta sugli abusi del potere nella gestione delle risorse naturali della Russia, altri articoli di denuncia importanti, quali personalmente leggevo con un enorme interesse.
Quando mi è giunta la notizia dell´aggressione che Oleg Kashinha ha subìto sotto casa, della brutalità e cattiveria con cui è stato assalito, mi sono sentito un´altra volta indignato, offeso, umiliato. Proprio così come mi ero sentito quando, quasi dieci anni fa, nella sua redazione a Mosca è saltato in aria, colpito da un pacco-bomba, il giovane giornalista Dimitri Holodov, che stava conducendo un´inchiesta sulla corruzione del governo. O come quando è stata assassinata nell´ascensore di casa sua Anna Politkovskaja, per le sue indagini che riguardavano la corruzione nell´esercito russo e gli abusi sui civili nell´operazione antiterroristica in Cecenia. Ho sentito un forte dolore al petto, quando ho letto della morte della giovane giornalista Nastasia Baburova assieme all´avvocato Stanislav Markelov, uccisi a raffiche di mitra in pieno giorno, in strada, in mezzo alla gente. Ho sentito lo stesso peso della disperazione anche dopo la recente notizia della morte di Maxim Zuyev, un altro coraggioso giovane giornalista, anche lui sulle tracce della corruzione nelle forze dell´ordine russe.
Questa triste e terribile lista di morti nel nome della verità e libertà della parola può continuare ancora a lungo, perché sono molti i casi di giornalisti assassinati, minacciati, perseguitati dal regime condotto dai personaggi che risalgono ai vertici dei servizi segreti dei tempi dell´Urss.
In questo delirio di prepotenza e ingiustizia operata dalla politica e dall´amministrazione, che somigliano sempre più ad un´associazione a delinquere, senza onore né regole comportamentali, quello che colpisce di più è la completa assenza della voce del popolo russo, la mancanza di sostegno dell´opinione pubblica per chi ogni giorno affronta il pericolo e rischia la vita per il diritto del popolo di essere informato. È terribile l´assenza delle opinioni sia su internet che in televisione: pochi e deboli commenti da parte degli intellettuali e operatori culturali del paese, obbedienti come le tre scimmie, sottoposti da una grande e non scritta legge di omertà che impedisce una critica al governo, agli atti di corruzione, alla prepotenza.
Immagino il futuro che tutte le vittime avrebbero potuto avere, la vita che hanno sacrificato, e ricordo le parole che mi disse Anna Politkovskaja quasi dieci anni fa, a San Pietroburgo: «A volte in questo paese, tra questa gente indifferente al proprio destino, io mi sento sola».