Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 09 Martedì calendario

«TROPPO SPERICOLATO. IN QUESTO FILM HO RISCHIATO LA PELLE». INTERVISTA A DENZEL WASHINGTON


Squadra che vince non si cambia. E così Denzel Washington si ripresenta sugli schermi italiani il 12 novembre con Unstoppable , diretto da Tony Scott, la loro quinta colla­borazione dopo Crimson Tide, Man on Fire , Déjà Vu , e The Taking of Pelham 123 . Unstop­pable ci trasporta in un mondo poco frequentato da Hollywo­od, quello dei treni e delle ferro­vie. Il film è una specie di Speed ferroviario in cui Washington interpreta un macchinista che, assieme a un inesperto e racco­mandato collega (Chris Pine), cerca di fermare un convoglio impazzito carico di materiale tossico, in fuga a cento chilome­­tri all’ora senza conducente, pri­ma che deragli con conseguen­ze catastrofiche.
Questo è il suo quinto film con Tony Scott. Cosa rende il vostro rapporto speciale?
«Mi fido di Tony, fa ottimi film, mi piace il suo stile, e conti­nua a chiedermi di lavorare con lui. Il nostro primo film assieme è stato un successo e un’espe­rienza gradevole, e ciò ha crea­to buone basi. Quello che ap­prezzo di Tony è che è un gran­de leader e un grande lavorato­re, è preparatissimo, sa esatta­mente cosa vuole. In questo sia­mo simili, perché siamo mania­ci della ricerca e lavoriamo co­me matti in preproduzione, af­finché quando si gira tutto sem­bri naturale».
Come si è preparato per que­sto film?
«Tony ingaggia sempre qual­cuno che fa da punto di riferi­mento per me, una persona che può rispondere a tutte le mie do­mande e insegnarmi le basi del suo mestiere per rendere la mia performance realistica. In que­sto caso ho avuto al mio fianco un macchinista, e ho passato settimane tra stazioni e binari. Ho davvero imparato a guidare un treno, una specie di sogno da ragazzino che si avvera. Qel­lo che amo di più del mio lavoro è proprio la sua varietà. Per ogni progetto imparo cose nuo­ve, vedo posti diversi e mi im­mergo in realtà che non avrei mai conosciuto altrimenti».
Treni e ferrovie non fanno parte dell’imaginario collet­tivo hollywoodiano. Dove avete girato il film?
«Nella Rust Belt degli Stati Uniti, letteralmente la cintura di ruggine, un’area industriale compresa tra Pennsylvania, Ohio e Virginia. È una zona mol­to povera, piena di vecchie fab­briche abbandonate, che ha sof­ferto enormemente per la crisi economica, e ha molti disoccu­pati. Un giorno la produzione cercava cinquanta comparse e si sono presentati duemila uo­mini. Cose del genere ti tengo­no legato alla realtà e credibile sullo schermo, e speri di fare onore alla gente che rappresen­ti. Spero proprio che le cose mi­gliorino e che tutti riescano a trovare un nuovo impiego».
Il film accenna alla crisi eco­nomica, ai risparmi che toc­cano anche la sicurezza...
«Il mio personaggio fa parte di una generazione messa da parte per considerazioni econo­miche, è vero. Ma questo è solo un tocco realistico in un film che è un classico film d’azione. La star è il treno, il mostro che corre distruggendo tutto quello che trova sul proprio cammino. Non si è mai visto un film del ge­nere finora perché la logistica è un incubo. Tony ama girare quasi tutto dal vero, e ricorre po­co alla grafica computerizzata. Nel film avevamo vari treni che andavano avanti e indietro per chilometri, elicotteri che filma­vano e altri che erano nell’in­quadratura. Ma Tony è come un generale, e sa muovere le sue truppe con precisione. Per darvi un’idea, nella sequenza del tentato deragliamento for­zato aveva sedici macchine da presa che giravano in contem­poranea- fisse, sul treno, su eli­cotteri, automobili - mentre di solito in una giornata normale ne ha “solo” tre o quattro».
Quanta azione ha fatto di persona?
«Ho una controfigura eccezio­nale, ma quello che salta da un vagone all’altro sono davvero io. Molta gente non ci crede e pensa che sia un lavoro di green screen . Ma Tony aveva bisogno di primi piani, di vedermi urla­re, e prima mi ha fatto correre su una piattaforma che era raso terra e si muoveva molto lenta­mente. Poi man mano la piatta­forma diventava più alta e qua­si senza accorgemene mi sono ritrovato a saltare da un vagone all’altro di un treno in movi­mento. E anche gli elicotteri che volano vicino a me sono ve­ri. Non lo rifarò mai più, non so­no uno spericolato come Tony».
Cosa la motiva ancora nel suo lavoro?
«La stesse cose che mi motiva­no nella vita. Rendersi conto che i piccoli piaceri semplici so­no i migliori e che non è un Oscar che ti rende felice. Essere grato per ogni giorno che sei vi­vo, e trovare la felicità dentro te stesso. Inizio la mia giornata leggendo un passaggio della Bibbia, respirando profonda­mente e consciamente, e cer­cando di meditare. Amo la vita e cerco di apprezzarla ogni gior­no, anche quando devo fare co­se che magari non ho voglia di fare».
Progetti?
«L’11 dicembre prossimo pre­s­enterò ad Oslo il concerto di ga­la in onore del premio Nobel della Pace. Mi ha invitato un amico professore ad Harvard che è nel comitato dei Nobel e sono davvero onorato».