FILIPPO CECCARELLI, la Repubblica 9/11/2010, 9 novembre 2010
E IL CAVALIERE FINÌ A BAGNOMARIA TRA I RITI DELLA PRIMA REPUBBLICA
Non di rado la cronaca politica è crudele, e la consolazione sta nel fatto che tale crudeltà si esercita nei riguardi dei suoi più illustri protagonisti con le forme e le procedure del contrappasso. Il presidentissimo Berlusconi, ad esempio, che fattosi acclamare capo assoluto e leader a vita del Pdl, nonché uomo del fare e alfiere dell´amore, si ritrova oggi vittima del più inestricabile groviglio di teorie e pratiche da vecchia e inconcludente politicaccia.
Per offrire un´idea della sua attuale sofferenza basta sapere che il Cavaliere si è sempre vantato di aver scoperto e reso operanti, con sua massima gioia e utilità, le riunioni all´impiedi; quando cioè convocava i manager della Fininvest in una grande stanza priva di sedie, e a quel punto per forza le riunioni duravano pochissimo. Ecco, con tali premesse ieri il premier si è dovuto sorbire due ore e mezzo con Bossi e i leghisti, e neanche a dire che era la cena del lunedì, con distribuzione di storielle e orologetti del Milan, ma il più classico caminetto, quali se ne tenevano frequentemente ai tempi della Dc, a villa Madama; per non dire che l´incontro di ieri assomigliava parecchio a una «verifica», parola anch´essa capace di far venire le convulsioni a chi abitualmente e con indubbia perizia forgia l´evoluto messaggio berlusconiano.
In altre parole: il deprecato «teatrino» è all´ordine del giorno. La scorsa settimana Berlusconi si era sorpreso a paventare l´«appoggio esterno», già materia di sketch in bianco e nero di Noschese, travestito da Ugo La Malfa che si appoggiava, appunto, alla parete esterna di una casa. Ecco, ora è alle prese con la crisi «al buio», incubo di ogni rispettabile presidente della Prima Repubblica, oppure - ed è un poco meglio - si ritrova a considerare l´ipotesi di una crisi «pilotata», anche se poi occorre sempre vedere, come si poteva leggere tra le più sapide veline di Orefice, chi era il pilota.
Fermo restando che nell´uno e nell´altro caso non sarebbe affatto esclusa la figura dell´«esploratore», che giammai scende in campo, ma scorre lievemente lungo l´orizzonte rituale dei passaggi previsti dalla Costituzione, pura e irritante misteriosofia per la cultura istituzionale di un premier tendenzialmente autocrate per vocazione d´azienda e sovrano carismatico, nel frattempo, per volontà dell´elettorato.
Povero Cavaliere a bagnomaria! Niente di più lontano e opposto per la sua indole, quest´immersione, questo tepore vischioso, dai bagni di folla, dai predellini, dai sogni, dai miracoli, dalle barzellette e dalla narrazioni orgiastiche che contrassegnano, nella loro sconfortante pirotecnia, l´era berlusconiana nella sua fase più matura e periclitante.
Bossi dietro il cespuglio, ambiguo rifugio, può preparare di tutto; Casini tornato su piazza, con le suggestioni del moderatismo biforcuto; e poi l´ultimatum di Fini che pone Berlusconi dinanzi a un esito anch´esso dal sapore di polveroso deja-vu, si dimetta che poi facciamo insieme un altro governo, e anche qui le variabili si intrecciano e si confondono secondo moduli ormai vecchiotti, il «governicchio» di Goria, «il governo fotocopia» di Spadolini, o addirittura «la minestra riscaldata» che Rino Formica, l´immaginifico, evocò nella prima metà degli anni ottanta a proposito di qualche Forlani o Cossiga bis.
E un po´ viene anche da pensare a quanto si rivelano fragili, in certe occasioni, i leader tele-populisti e i poteri plebiscitari. E quanto silenziosamente, ma a fondo, le ostentazioni dei corpi, le performance spettacolari e l´auto-scempio della privacy saturano e insieme consumano il mistero del comando, arroganza dopo arroganza, scandalo dopo scandalo, oscenità dopo oscenità.
Pochi vi hanno fatto caso, ma nel suo discorso a Bastia Fini è arrivato a tirar fuori dal cassetto delle citazioni in naftalina un dilemma che vent´anni orsono mise a dura prova la proverbiale e puntutissima sagacia di due grandi democristiani che si detestavano, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti, se fosse cioè preferibile che un governo «tirasse a campare» o se invece tale incerta e sterile passività equivaleva a «tirare le cuoia». Ebbene: chi anche solo un anno fa avrebbe mai potuto immaginare che il destino di Berlusconi, con quei po´ po´ di sventolatissimi auto-gradimenti demoscopici, si sarebbe allineato al momento storico in cui stava per venire giù, e malamente, un intero sistema di potere.
Ecco invece che dietro l´angolo, o dal cespuglio, nell´aula, o lungo i corridoi degli intrighi di Palazzo, ecco dunque affacciarsi il rimpasto, o addirittura, il suo fratello più vano e innocuo, il «rimpastino». Ce n´è per tutti, come al solito, e per nessuno. E se pure la cronaca politica, a volte, è spietata, beh, in genere lo è proprio con chi della pietà troppe volte si è preso gioco nella terribile partita del potere.