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 2010  novembre 09 Martedì calendario

IL SOSTEGNO DI BOSSI, I SUOI LIMITI E LE SCADENZE DI DICEMBRE

La maggioranza si disintegra, ma il governo non cade. Si può riassumere così la tragicommedia italiana dopo i sussulti di Perugia. Non senza qualche ambiguità, il gruppo di Fini è ormai lontano da Berlusconi. In compenso però il premier può avvalersi ancora del sostegno della Lega. È un sostegno decisivo, anche se non privo di un prezzo. Perché nel momento in cui Bossi abbraccia il presidente del Consiglio si capisce bene chi traccia la rotta. Anche l’osservatore più distratto intuisce che Berlusconi oggi è nelle mani del suo unico alleato. Se Bossi volesse si andrebbe alla crisi subito. E se Bossi pretendesse un diverso assetto nel centrodestra, persino un ricambio a Palazzo Chigi o una nuova maggioranza, Berlusconi dovrebbe prenderne atto. Tuttavia non succede. Per una serie di ragioni.

La prima è che nessun nuovo assetto garantirebbe alla Lega il peso che essa ha oggi in questo governo. Occorrerebbe rinegoziare con Fini e forse anche con Casini un equilibrio meno conveniente. Del resto, "Futuro e Libertà" e Udc rappresentano linee politiche che tendono a essere avversarie della Lega. Entrambi, Fini e Casini, lo sottolineano. Certo, in politica tutto o quasi può essere oggetto di trattativa. E si può essere sicuri che Bossi non chiude alcun contatto, anzi ne cerca qualcuno. Soprattutto con Fini.

Al momento, tuttavia, nessuno come un Berlusconi debole e ferito, alla vigilia di concludere la sua lunga stagione, può essere utile alla Lega. Purché il gioco non duri troppo. A quanto pare, il fastidio della base leghista verso il premier sta crescendo, spia di un malessere più vasto che si respira nell’opinione pubblica. Ma ogni cosa a suo tempo. Oggi Bossi non ha motivo di affrettare i tempi. Purché sia chiaro chi ha in mano il bandolo della matassa. E allora ecco il viaggio in coppia nel Veneto alluvionato. Il premier e il co-premier, si potrebbe dire: nella terra amministrata da un governatore leghista.

Bossi si rende conto che questa è l’ora di parlare al paese, almeno nel nord, con qualche gesto significativo. Una crisi verticale non solo sarebbe la fine del vecchio patto politico, ma si rivelerebbe controproducente sul piano del consenso, in vista delle elezioni. E allora, se Berlusconi è in affanno e impacciato, Bossi lo tiene su e lo porta fuori dal palazzo, a ritrovare il polso della realtà. Almeno questa è l’intenzione.

Poche cose concrete, messe in fila prima di Natale. La fondamentale "legge di stabilità" (l’ex finanziaria) su cui il Parlamento deve esprimersi ed è il Quirinale a ricordare che si tratta di un impegno «inderogabile». E poi il federalismo fiscale, il nodo cruciale per Bossi. Si parlava di gennaio per varare gli ultimi decreti. Da ieri sappiamo invece che la partita si chiuderà entro dicembre.

E poi? Nessuno pensa sul serio che si possa andare avanti a lungo in questa situazione. La crisi è aperta, sia pure non in modo formale. Possono passare alcune settimane, ma quando la finanziaria e il federalismo saranno alle spalle, non ci saranno ragioni per tenere in piedi il castello di carte. Il pretesto si troverà facilmente. Il seguito tuttavia non è ancora scritto. Con ogni evidenza, Bossi non ha scelto fino a oggi la via da seguire. Le elezioni, con molte probabilità. Ma il capo leghista cerca sempre di avere in mano due o tre carte. Assai più di Berlusconi, il suo problema è di pesare nella nuova legislatura. Con la nuova maggioranza che prenderà forma nelle urne.