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 2010  novembre 09 Martedì calendario

COME SI TRADUCE «L’ALLUVIONE» IN DIALETTO VENETO?

Come si traduce alluvione in tedesco? Nel lessico tecnico-commerciale dell’export non si usa abitualmente, serve per una mail, bisogna avvisare i clienti che la produzione è sospesa causa l’hochwasser di un torrente che si fatica a trovare sulle cartine geografiche. È successo un disastro naturale, in tedesco suona drammatico, Katastrophengebiet, qualche giorno di pioggia e tutto è andato in tilt. Ein schifen, senza bisogno di traduzione.

Come si dice alluvione in bulgaro? Un nuovo cliente aveva appena inviato un precontratto per un lavoro importante in Russia, hanno dovuto mandare una mail per scusarsi che a causa di una habotselnghe o qualcosa di simile – lassù usano incomprensibili caratteri cirillici – l’ordine non poteva essere evaso.

Mail inviate dal computer di casa, quelli aziendali sono affondati nel fango, senza poter prevedere il ritorno alla normale attività produttiva. I clienti, per fortuna, hanno capito, l’ingegnere Claudio Bagante, socio fondatore della Sdb cavi di Ponti di Debbia, estrema periferia di Vicenza, è soddisfatto: «Tutti i principali clienti tedeschi, inglesi, francesi e bulgari si sono sentiti in dovere di alzare la cornetta per augurarci un forte in bocca al lupo. Ci ha fatto piacere».

Hanno telefonato più volte dall’Associazione industriali, «volevano sapere se avevamo bisogno di qualcosa, ci hanno chiesto una stima, anche sommaria, dei danni. Non ci hanno lasciati soli».

Per il resto, il telefono è rimasto muto. Nessuna chiamata dal comune, dalla Protezione civile o da un qualsiasi ente pubblico. Oggi nelle zone alluvionate arriveranno Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Ma intanto bisognava arrangiarsi, la Sdb ha fatto da sola.

«Abbiamo dovuto fare chilometri per trovare sacchi di sabbia – racconta l’ingegnere – per fortuna un amico ci ha prestato un generatore elettrico perché ci sono voluti giorni prima di riattivare la tensione elettrica». Hanno dovuto cercare le pompe per tirare fuori l’acqua sotto i vani dei potenti motori industriali. Pulire tutto. «Abbiamo spazzato stabilimento, magazzino, cortile e parcheggio, ogni tanto passa un’Apecar della nettezza urbana a portare via un po’ di detriti, quelli che riesce a caricare. Un po’ poco, forse».

Una mazzata per la Sdb, mille chilometri di cavi industriali al mese, per l’80% esportati in tutta Europa, classica piccola impresa del mitico nord-est ad alta intensità di internazionalizzazione. Produce cavi speciali, con schermature in guaine di alluminio o intreccio di rame per impedire interferenze. Servono per le linee ad alta trasmissione dati, comandano le macchine utensili, sono presenti nei grandi impianti industriali.

Venti dipendenti, «abbiamo appena assunto tre giovani, ora bisognerà vedere come evolve la situazione», un fatturato che quest’anno avrebbe dovuto superare i cinque milioni di euro. Erano stati sei nel 2008, crollati a 3,5 l’anno scorso. «Stavamo recuperando terreno – aggiunge Bagante – grazie a segnali di una ripresa che stenta, ma che ci fa ben sperare».

Bagante è ancora colpito dalla violenza del torrente: "Per fortuna c’era il cambio dell’ora legale», racconta. «Uun addetto alle due del mattino è andato a impostare l’orario al sistema di controllo, i macchinari si devono accendere alle quattro per essere pronti quando comincia il primo turno, alle sei. Ha dato l’allarme, siamo riusciti a staccare l’elettricità, una linea da 500 chilowatt che con il fango avrebbe fatto disastri».
Quaranta centimetri di fanghi e detriti portati dal torrente Bacchiglione, le fatture lordate negli schedari appese ad asciugare, i motori di due linee sono stati smontati, revisionati e, in alcuni casi, sostituiti con la fortuna di trovarne pronti. Le altre tre linee produttive sono ancora ferme, acqua e fango insistono nel loro sgocciolare senza fine, impregnano macchinari, bobine, sacchi del magazzino. Il calcolo è presto fatto: 2.500 metri quadrati di capannoni e magazzini, 40 centimetri di acqua e fango. Mille metri cubi di fango non si cancellano in pochi giorni, tanto più che ha ripreso a piovere.
I dipendenti hanno reagito, si sono impegnati come succede quando lavori gomito a gomito con i titolari. Hanno superato la crisi con il fatturato quasi dimezzato facendo pochi giorni di cassa integrazione, per il resto si sono impegnati a trovare soluzioni alternative. Erano riprese le assunzioni: il posto si difende anche spalando fango, organizzati in squadre. I muletti accumulano quintali di bobine di rame in un ammasso, l’acqua li ha ossidati, non servono più. Buttare il rame fa star male, le quotazioni sono ai massimi da due anni, 8.700 dollari la tonnellata, pagamento cash, ma questi cavi hanno bisogno di qualità.
Danni? «Siamo vicini ai 300mila euro, ma è una stima prudenziale, limitata ai danni fisici: nessuno ci rimborserà, temo, il fermo della produzione, gli ordini mancati. Lavoriamo su commessa, il 95% della nostra attività deriva da ordini con specifiche tecniche e precisi tempi di consegna. Siamo quasi in un regime di just in time. I clienti saranno costretti a rivolgersi ai nostri concorrenti se non vogliono fermarsi anche loro». Poi bisognerà presentare domanda per lo stato di calamità. Ma ora «la priorità è fare ripartire la produzione e ripristinare il magazzino. Entro 15 giorni speriamo di riavviare tutte le linee».
Il fondatore della Sdb non teme rivalse dei clienti per le consegne in ritardo o non effettuate: «I buoni rapporti ci danno sicurezza».
Cortile e parcheggio hanno ancora i segni visibili della piena. L’impianto della Sdb cavi sorge in un vecchio stabilimento del Lanificio Rossi, «siamo qui da 12 anni, e non è mai successo niente. Ci sono state piccole esondazioni dall’altra riva, verso i campi. Ma questa volta lo sfogo della campagna non è bastato a contenere la furia dell’acqua».
I due ponti di Debba sono stati chiusi, prima per l’allagamento, poi perché si temono cedimenti strutturali. Gli abitanti della zona protestano, da più di una settimana non è passato nessuno a controllare. Le strade si sono intasate, chilometri di coda al mattino e al rientro, l’autostrada a un paio di chilometri è improvvisamente diventata lontana. Via dell’Opificio è chiusa, nelle case e nei capannoni si lavora a pulire, si fanno i conti dei danni, un magazzino di libri manda milioni di pagine al macero, la carrozzeria accanto cerca di ripristinare l’impianto di verniciatura. Piove, ma le previsioni meteo promettono un po’ di tregua: ci vuole, i nervi sono ancora tesi.