DARIO VENEGONI*, La Stampa 9/11/2010, pagina 33, 9 novembre 2010
Tibaldi, l’uomo che dava un nome agli scomparsi - Pochi lo sanno, ma c’è stato un uomo che in sessant’anni di lavoro è riuscito a dare un nome praticamente a tutti i deportati italiani nei lager nazisti
Tibaldi, l’uomo che dava un nome agli scomparsi - Pochi lo sanno, ma c’è stato un uomo che in sessant’anni di lavoro è riuscito a dare un nome praticamente a tutti i deportati italiani nei lager nazisti. Si chiamava Italo Tibaldi; è scomparso lo scorso 13 ottobre, a 83 anni. Domenica scorsa è stato ricordato a Milano, nel corso della quinta edizione dell’incontro dedicato ai figli e ai nipoti dei deportati nei campi nazisti, e in particolare a quanti tra loro hanno scritto - o stanno scrivendo, o pensano di scrivere - la storia del loro congiunto nei lager. Nato il 16 maggio 1927 a Pinerolo, Tibaldi si unì giovanissimo ai gruppi antifascisti di Giustizia e Libertà. Arrestato appena sedicenne il 9 gennaio 1944 a Torino, 4 giorni dopo, il 13 gennaio, fu rinchiuso con altri 49 antifascisti in un vagone che partì da Torino e non si fermò che a Mauthausen. Trasferito nel terribile campo satellite di Ebensee, dove migliaia di uomini prelevati da tutta l’Europa occupata trovarono la morte, Tibaldi trascorse quasi per intero due inverni nel Lager. Alla liberazione del campo, il 6 maggio 1945, era uno dei pochissimi ancora in vita tra quelli partiti il 13 gennaio. Tornato a casa fu tra i fondatori a Torino di una delle prime associazioni dei superstiti che qualche anno dopo, fondendosi tra loro, diedero vita all’Aned, l’associazione nazionale degli ex deportati. Già nei primi anni ’50 iniziò la ricerca che l’avrebbe impegnato per la vita. Voleva dare un nome a ciascuno degli altri 49 uomini che erano con lui su quel vagone. Contattò i pochi superstiti, rintracciò i figli e le vedove, cercò i documenti nelle carceri e negli archivi, e alla fine raggiunse il suo obiettivo. Da quella prima indagine un’altra seguì subito dopo, per scoprire il nome di tutti gli italiani deportati a Mauthausen. E poi ancora quello di tutti i deportati dall’Italia in tutti i lager nazisti. In un’era senza computer, Tibaldi riempì immensi schedari di cartoncini, uno per ciascuno delle decine di migliaia di deportati: lo ricordo oltre trent’anni fa letteralmente immerso nelle carte che riempivano un’intera stanza della sua casa di Vico Canavese. Conosceva il cumulo di sofferenze, i drammi che si celavano dietro ogni singolo nome del suo interminabile elenco. E non nascondeva l’emozione quando parlava di certi bambini, di certe donne, di tanti compagni che aveva visto cadere. Nel tempo arricchì il suo elenco con i dati provenienti dalle fondazioni che gestiscono gli archivi dei grandi lager, integrandoli con le informazioni desunte dagli scritti di memoria dei protagonisti e dalla corrispondenza con centinaia di superstiti e familiari. Convinto che le sue conoscenze dovessero divenire patrimonio dell’umanità intera, aprì i propri archivi a chiunque si rivolgeva a lui per una ricerca particolare, intessendo con studenti, ricercatori, e soprattutto figli e nipoti dei deportati un dialogo fatto di affetto e di rigore. Un gigante; un uomo che non ha avuto in vita il riconoscimento che avrebbe meritato. Ma che ci ha lasciato un lavoro che sfida il tempo, e che costituisce un tassello importante della cultura civile e democratica dell’Italia. *Presidente della sezione Aned di Milano