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 2010  novembre 09 Martedì calendario

PAROLE CHIARE E PROPOSTE VAGHE

Il progetto politico di Gianfranco Fini va "oltre" il Pdl e Silvio Berlusconi. Mette la freccia e li sorpassa entrambi, dopo sedici anni sulla stessa corsia di viaggio. Ma per andare dove, in economia, e usando quale volante?

In questo caso, a dispetto della dirompente svolta politica, più che su un’automobile da corsa, la Terza repubblica futurista immaginata qualche settimana fa a Mirabello e confermata domenica a Bastia Umbra, pare essersi accomodata su un grande pullman dove circolano idee e richiami confortevoli e generici.

Di rivoluzionario c’è il riferimento alla «grande rivoluzione liberale che non si è mai realizzata se non in minima parte» e che Fli vuole riprendere. Incarnando un "moderatismo" europeo in salsa italiana in cui spicca un tatticismo millimetrico sui temi della politica economica.

Fini chiede gli stati generali sull’economia e sul lavoro, fa leva (e s’appoggia) sulle prime intese raggiunte tra le parti sociali al tavolo della competitività e della crescita, cita il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.

Vuole un nuovo "patto sociale" (tra capitale e lavoro) che s’allinea al "patto generazionale" disegnato a Mirabello, un welfare delle opportunità e non solo delle garanzie, infila tra due virgole «fermo restando la sburocratizzazione della pubblica amministrazione» per chiedere appalti nella legalità e nella trasparenza.

Confortevole. Molte parole e concetti a specchio, dove si può riconoscere anche il moderato di centro-sinistra e (forse) anche di semplice sinistra, oltre naturalmente l’opposizione centrista di Pierferdinando Casini, già alleato di ferro nella maggioranza del secondo governo Berlusconi tra il 2001 e il 2005.

E così, ha spiegato Fini, «sarebbe illusorio garantire a tutti il posto fisso, magari nella Pa, ma il fatto che il lavoro sia flessibile e i contratti aperti non può significare la precarietà assoluta a vita natural durante».

Stop and go. Il ministro Maroni? «Non c’è dubbio che la l’azione del governo è stata positiva, ma è da elogiare soprattutto il ruolo delle forze dell’ordine». La riforma Gelmini per l’università? «Va nella giusta direzione, ma una riforma fatta senza denaro è inutile». La finanza? «Non va demonizzata, ma se prevale la ricchezza prodotta dalla finanza c’è sempre il rischio della speculazione».

«Oltre il Pdl», ma non sbuca per ora un’idea forte, originale, né una proposta articolata. Il ceto medio «si sta impoverendo e fatica ad arrivare a fine mese», però che si fa, in concreto? La famiglia è ovviamente «centrale», ma il meccanismo del «quoziente» fiscale (richiamato a Mirabello) si mette in pista o no? E a proposito di fisco: visto che ritorna per l’ennesima volta il piano per una «fiscalità di vantaggio per il Sud che non danneggi il Nord» cosa si può fare - che non è stato fatto, e sempre in concreto - per farlo passare in Europa? La proposta di tassare al 25% le rendite finanziarie, definita due settimane fa «né di destra né di sinistra» è ancora valida? Grandi opere infrastrutturali: «basta l’illusione del facciamo tutto». Perfetto: quali le prime tre su cui puntare?

«Tenere sotto controllo la spesa pubblica è necessario», ha detto Fini, riconoscendo al ministro Tremonti e al governo di aver ben fronteggiato l’emergenza. Ma noi ora contestiamo la politica dei tagli lineari, ha aggiunto, perché questo è il modo per non scegliere fra tagli e investimenti. Bene, allora dove (e in che misura) si taglia e dove (e in che misura) s’investe, fermi restando i saldi di finanza pubblica?

Nuova agenda. E riforme. Tra il 1861 e il 1870, ha voluto ricordare Fini, la classe dirigente di allora diede vita a riforme che servivano all’Italia. «Nulla di paragonabile» a quanto si fa oggi. Vero, ma vedi il caso: governava allora la "destra storica", erano gli anni del ministro Quintino Sella (al cui tavolo lavora oggi Tremonti), della cosiddetta "politica della lésina", del risparmio "fino all’osso", e dell’odiata "tassa sul macinato" per raggiungere il pareggio di bilancio. Anni in cui Bettino Ricasoli varava le province e Urbano Rattazzi la soppressione degli enti ecclesiastici.

A torto o a ragione, nulla di confortevole e tutto molto dirompente.