Carlo Antonelli 28 Ottobre 2010 http://www.rollingstonemagazine.it/magazine/nichi-vendola-lintervista, 9 novembre 2010
NICHI VENDOLA, L’INTERVISTA
28 Ottobre | Rolling Stone
di Carlo Antonelli
CA: Ma tu perché ti sei messo in politica?
NV: Io ho fatto anche la radio, ho fatto i giornalini, ho lavorato, ho fatto tante cose... Sono nato nel ’58 e quindi nel ’70 avevo 12 anni... nel ’72 mi sono iscritto alla Federazione Giovanile Comunista, perché il comunismo aveva, diciamo, la dimensione di casa mia, del mio paese. Poi, nel ’77 mi sono iscritto all’università e quando ho visto la violenza verbale – e non solo, una volta ho visto anche la famosa P38 – nelle assemblee universitarie, ho fatto una scelta abbastanza radicale: sono tornato a casa e ho studiato al paese e lì sono stato per 10 anni, non ho più frequentato l’università. I leader politici della mia formazione avevano come autori fondamentalmente Ghandi, Martin Luther King, e poi è venuto Gramsci, ma la mia formazione è stata da principio non violenta, comunista ma libertaria, comunista ma antistalinista. Sono vissuto nell’idea che le persone devono competere in maniera radicale ma rispettandosi e senza metter di mezzo le mani: allora era più un codice, diciamo, da galateo, comportamentale, oggi è un convincimento... Il modo con cui amavo fare politica era quello di fare la sezione del Pci, la sezione della Fgci, il rapporto con i braccianti, la dimensione del paese. Per me la dimensione della metropoli, per quell’elemento di violenza endemica che mi pareva avesse, era respingente... La mia poi era un famiglia molto povera – una casalinga, quattro figli –quindi io a 15 anni ho cominciato coi lavori... studiavo e lavoravo, facevo il cameriere tre mesi all’anno d’estate e poi, più tardi, ho continuato a lavorare anche d’inverno, di notte correggevo libri, ero collaboratore editoriale per alcune case editrici. Però ero molto contento, non ho vissuto con rancore la mia condizione... certo, ad esempio, noi a casa non avevamo un giradischi, e negli anni del liceo andavo a studiare a casa di quella più brava della classe, non solo perché eravamo molto amici, ma soprattutto perché aveva uno stereo! Per me era una cosa incredibile andare una volta al mese a Bari apposta per comprare un lp! Era una dimensione della vita abbastanza poco comprensibile... io non ci andavo, eh, ci andava questa amica mia, lei comprava gli lp, io non ci andavo perché non potevo comprare un lp, costava troppo. E facevo l’autostop per risparmiare: avevo l’abbonamento per l’autobus ma, rincasando in autostop, l’abbonamento di una settimana lo facevo durare 10 giorni e ogni tre settimane guadagnavo un abbonamento – 500 lire – e quelle erano destinate al cinema, mia grande passione.
CA: E l’omosessualità tua? Nascosta? Aperta? Esistevano boschetti per battuage?
NV: Nooo... Non so se ti ricordi che la prima copertina che parlava di omosessualità era una copertina di Panorama intitolata Il terzo sesso, e io andai a comperare di nascosto questo settimanale, lo conservai, lo nascosi e scoprii per la prima volta che esisteva il problema e che altri se lo ponevano! Perché era un po’ faticoso relazionarsi su queste tematiche quando vivevi in paese: non esisteva Internet, non esisteva il telefonino, era proprio un altro mondo, però io devo dire che mi sono adattato benissimo, perché poi grazie alla mia giovialità, alla mia convivialità con gli esseri umani non ho mai vissuto negativamente una condizione di disperazione, di imboscamento... Appena ho potuto, ne ho parlato al mondo intero, ho scritto un articolo per raccontare. Io ho fondato due giornalini, uno si chiamava “Il garofano rosso” e uno si chiamava “In-contro”, andare contro, ed era una rivista un po’ più raffinata, in carta patinata, e su quel giornale ho scritto un articolo intitolato “Ma le farfalle non volano nel ghetto”, che era un verso di una poesia che aveva scritto un bambino nel ghetto di Varsavia prima del rastrellamento dei nazisti e vi era l’idea che il ghetto culturale, non solo quello materiale, dovessimo abbatterlo. E quindi ebbi modo di annunciare pubblicamente la mia omosessualità.
CA: Si ha l’impressione, impressione positiva per te, che in politica tu sia percepito in modo diverso…
NV: Guarda... c’è un dato di realtà che non è una connotazione soggettiva, è un dato oggettivo: la gente mi percepisce proprio su un pianeta diverso! Non un pianeta migliore, un pianeta diverso rispetto a quello abitato da loro. Io ho vissuto in quel mondo, naturalmente, sono stato membro del partito comunista, sono stato nel comitato centrale del Pci, ho vissuto dentro il Parlamento per quattro legislature, me lo rinfacciano i dalemiani come se io tentassi di nascondere la mia biografia, ma mi viene un po’ da ridere, perché è pubblica la mia biografia! Il punto è la tipicità un po’ eretica del mio comunismo, come io ho reinterpretato il comunismo...
CA: Tu come ti pensi, veterocomunista? Parli di bene comune, spazio comune...
NV: Sì... mah… Oggi... No, non mi far dire cattiverie! La dimensione di ricerca... per me il comunismo, quando è una domanda, è la domanda necessaria, perché è la più radicale, la più profonda, quella che va appunto alla radice delle cose... e come dice Marx la radice di ogni cosa è l’essere umano. Quando è una risposta, il comunismo è il soffocamento della domanda medesima, è il capovolgimento paradossale di quella domanda. Quando è una domanda è l’annuncio di un sogno, quando è una risposta è diventato un incubo. Ecco, io però ho come l’impressione che ci si liberasse non della risposta, cancellando nomi, simboli, ma ci si liberasse della domanda! Io poi ero stato sempre più, diciamo, vivace (nel 1980-81 sono già sui giornali per le contestazioni che faccio, carri armati, Unione Sovietica, vado a Mosca e quasi mi arrestano)... Io sono con Ingrao, sono uno dei fondatori di Rifondazione Comunista, perché dico: voi siete capaci di buttare il bambino a mare e pure di tenervi l’acqua sporca! Possiamo anche decidere alla fine di un processo di cambiare tutto, ma il processo non può partire dal nome e dal simbolo. Il processo è la messa in discussione di una storia... Alla Bolognina noi dovevamo andare a un funerale e invece andammo a un battesimo! E il rischio era per me drammatico, fin dalla domanda, non finiva alla risposta...
CA: C’è un passaggio nel tuo discorso generale che mi pare poco lucido: l’attribuzione alla cultura berlusconiana dell’assenza di senso civico, di coscienza dello spazio pubblico, quando di questa cosa si lamentava già Leopardi 150 anni fa, per dire. È un tratto culturale profondo, millenario, mica è roba degli ultimi venti o trent’anni…
NV: Io, diciamo, prenderei molto con cautela... perché il rischio è un’autoflagellazione generica. Invece si tratta di cogliere storicamente come avviene la formazione del carattere dei cosiddetti italiani. Intanto gli italiani, appunto, sono un fenomeno recente e parlare di italiani anche a proposito, ad esempio, della critica sulla cultura del “particolare” di Guicciardini è già sbagliato, perché il problema della formazione del Paese è stato il tempo storico necessario per uscire dalla dimensione delle signorie, di una centrifugazione – feudi, lotti, frammenti – che era la centrifugazione contro cui Machiavelli aveva teorizzato la necessità dell’azione di un principe. La tragedia del nostro Paese è che la formazione dello spazio degli italiani, cioè dello Stato unitario, avviene senza vie di rivoluzione... Come diceva Gramsci… Cioè, noi abbiamo un mediocre processo di risorgimento rispetto all’epopea della Rivoluzione Francese, che è un grande rivoluzione borghese. Noi non abbiamo una grande rivoluzione borghese, perché purtroppo la borghesia italiana è sempre stata scarsa come classe generale, quindi con dei doveri di rappresentazione generale degli interessi della comunità. Però i problemi del berlusconismo sono più specifici: eccome se torna, naturalmente, un substrato profondo, noi vediamo nella stessa Italia del ventennio dal punto di vista della sovrastruttura, delle forme culturali, no? cioè un’Italia becera, machista, greve... sembra l’Italia di Pitigrilli... è un’Italia sospesa tra Lele Mora e Apicella, cioè è un’Italia che si finge dionisiaca, ma con appunto il mandolino, la prostituzione paratelevisiva di personaggi, un’umanità… ma quello che è accaduto è accaduto mentre si distruggeva l’organizzazione dei ceti sociali.
CA: Ma sto centro???
NV: Quello che non è sopportabile per me è l’idea che il compromesso veda il centro in posizione egemonica, che al centro siano delegate le funzioni dirigenti, e che la sinistra possa soltanto avere posizioni “testimoniali”, no? Anche perché io penso che i moderati devono fare anche loro i conti con il cambiamento che c’è stato. Una volta il moderatismo era la traduzione politica, diciamo, della cultura dei ceti medi, no? Il salvadanaio, la casa, il risparmio, la piccola borghesia artigiana, contadina, il mondo delle protezioni... con il risparmio poteva fare un investimento sul futuro dei propri figli e in questo ceto medio c’era organicamente una cultura della moderazione sociale, perché c’era l’aspettativa di una progressione sociale. È saltato tutto!! Il moderatismo di cui parlano quelli che dicono che si vince al centro vive come materia gassosa per aria! Certe volte uno non riesce più a fare l’analisi di che cos’è la società italiana... Allora io voglio confrontarmi con il popolo del Family Day, dicendo: ma che cosa vi ha reso oggi più poveri rispetto al giorno che stavate lì? Tutte le persone che stavano lì sono tutte più impoverite e le famiglie sono andate per aria... È per il fatto che ci sono gay, coppie di fatto o trans oppure per il fatto, appunto, che abbiamo ridotto di 6-7mila euro all’anno il reddito e i vostri figli non hanno prospettive di lavoro? È questo! E anche: il popolo delle partite Iva, un altro pilastro dei ragionamenti del moderatismo, chi è che l’ha schiantato? L’ha schiantato la Fiom o l’ha schiantato questa globalizzazione e questa modalità dei nostri governanti di spingerli allo schiavismo per essere bravi nella globalizzazione? Allora, penso che dobbiamo parlare a 360 gradi… cioè io non voglio rappresentare le istanze di una minoranza che si candida a essere perdente! Io oggi voglio contribuire a una svolta nella storia del Paese! Ecco.
CA: Ohoooo!
NV: Non mi hai chiesto niente di musica, e io ho parlato...
CA: Va bene così, Nichi, tranquillo.
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