Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri consiglio d’amministrazione di Alitalia e varo dell’operazione salvataggio: nelle casse della compagnia saranno pompati 500 milioni, in varie tranches, e in questo modo si potranno intanto pagare gli arretati della benzina (30-40 milioni, il creditore è l’Eni). E, soprattutto, non bisognerà restituire le licenze di volo e chiamare il commissario fallimentare. L’Enac - l’agenzia che presiede al traffico aereo nazionale - aveva fatto sapere che, se non si fossero messi soldi in cassa, Alitalia avrebbe cessato di esistere già da oggi.
• Vediamo un po’. Alitalia perde o guadagna?
Perde. Nel primo semestre di quest’anno il rosso è stato di 300 milioni. Per andare avanti i soci hanno dovuto prestare 95 milioni. Il debito accumulato dal 2008 a oggi è ufficialmente di 946 milioni. Però, ha scritto Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore di ieri, il debito è in realtà pari quasi al doppio, «ci sono anche debiti commerciali e altri debiti operativi compreso lo scaduto, per un debito effettivo totale di circa due miliardi». Esistono naturalmente anche dei crediti, ma molto lontani da queste cifre.
• Quindi, in sostanza, mettere soldi in questa azienda non è troppo conveniente?
No, si tratta con quasi matematica sicurezza di cinquecento milioni buttati al vento. Il governo si raccomanda per un piano industriale nuovo, stabilità degli azionisti, solidità finanziaria, eccetera. È impossibile crederci, data l’esperienza passata.
• Che c’entra il governo? Alitalia non era stata privatizzata?
Il governo è intervenuto per salvare l’azienda. Anzi, la versione ufficiale è che il governo è intervenuto per rendere possibile un confronto alla pari tra azionisti italiani e Air France. Air France aveva già progettato di pigliarsi Alitalia con poche decine di milioni, imponendo un drastico rimpicciolimento della compagnia, taglio dei dipendenti e dimezzamento della flotta. Intendiamoci, Alitalia è già oggi una compagnia regionale.
• Quindi lo Stato vuole intervenire. Le domando: perché interviene? È chiaro che alla fine sono soldi che metteremo noi. E poi le domando: come fa a intervenire lo Stato? Per esempio, sapevo che in Europa chiamano questi "aiuti" e li proibiscono.
Sono in ballo 14 mila posti di lavoro e un numero imprecisato di occupati nell’indotto. Lo Stato ha provato a intervenire con una delle sue aziende. Sono state interpellate la Cassa Depositi e Prestiti e le Ferrovie dello Stato, ma senza successo. Mauro Moretti, il capo delle Ferrovie, ha posto come condizione preliminare che si togliessero tutti dai piedi. Alla fine, Enrico Letta e Maurizio Lupi (il ministro dei Trasporti) hanno chiamato l’amministratore delegato delle Poste, Massimo Sarmi. Per far pressione su Sarmi, il governo aveva in mano una carta importante: ad aprile scade il suo periodo alla guida di Poste. Potrebbe essere riconfermato, naturalmente. E, suppongo, gli farebbe piacere visto che il suo stipendio si aggira intorno al milione e mezzo l’anno.
• Che c’entrano le lettere e i francobolli con gli aerei?
C’entrano più di quello che lei creda. Intanto, le Poste - appartenenti interamente al ministero dell’Economia (il ministro Saccomanni si sta però disinteressando del problema, ieri era in America al Fondo monetario) - le Poste, dicevo, non sono più solo un’azienda che si occupa di stampare francobolli e far arrivare a tutti noi lettere e cartoline. L’80,7 per cento dei suoi 24 miliardi di ricavi derivano da attività collaterali o nuovi business, vale a dire: servizi finanziari, di telecomunicazione, logistici, e assicurativi. In quanto compagnia con forte inclinazione finanziaria, un investimento in una compagnia aerea ci può stare. E inoltre, Poste ha già una sua compagnia aerea, che si chiama Mistral e con sette velivoli (sei Boeing 737 e un Atr 42) fa servizio 24 ore su 24, di notte portando la posta in tutta Italia e di giorno facendo viaggiare passeggeri, soprattutto i fedeli dell’Opera romana pellegrinaggi. Benché anche Mistral perda, potrebbe essere fusa con Alitalia? Poste Italiane potrebbe a questo punto trasportare corrispondenza in tutto il mondo, rinunciando a servirsi di aerei locali? Non potremo saperlo prima di aver letto il piano industriale. Intanto, a chi gli fa osservare che mettere soldi in Alitalia equivale a buttarli dalla finestra, Sarmi potrebbe rispondere: abbiamo un utile di un miliardo, mettere 75 milioni non è questo gran rischio. Air France metterebbe altrettanto e a questo punto Poste Italiane avrebbe quasi un 20 per cento contro un 25 per cento dei francesi. L’incognita è ancora questa però: gli altri soci metteranno soldi sufficienti per arrivare ai 300 milioni deliberati ieri? Lo si vedrà lunedì, in assemblea, anche se ieri in cda tutti hanno detto di sì. Se non si raggiungesse la cifra concordata, neanche le banche metterebbero i 200 milioni di finanziamento necessari alla provvista di mezzo miliardo individuata ieri come indispensabile alla sopravvivenza della compagnia.
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