Gianandrea Gaiani, Il Sole 24 Ore 12/10/2013, 12 ottobre 2013
LA SFIDA PIÙ DURA: ELIMINARE GLI IMPIANTI E I GAS DI ASSAD
L’arrivo a Damasco di una seconda squadra di tecnici dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) sembra confermare il clima di ottimismo intorno alla distruzione degli arsenali chimici di Bashar Assad. La collaborazione del regime è stata elogiata dal segretario di stato statunitense, John Kerry e confermata dall’Opcw. Il direttore generale dell’organizzazione internazionale, il turco Ahmet Uzumcu, ha definito realistica la previsione di distruggere le armi chimiche siriane entro giugno del 2014, un compito definito «lungo e difficile» ma già iniziato dai 19 specialisti (più una squadra di 16 logisti) all’opera da alcuni giorni nello smantellamento di un centro di produzione. L’obiettivo iniziale è infatti «rendere inutilizzabili tutti gli impianti per la produzione e la miscelazione entro il primo novembre di quest’anno» ha detto Uzumcu. Non mancano però dubbi e incertezze. I siti per la produzione e lo stoccaggio degli armamenti chimici che verranno visitati nelle prossime settimane dagli ispettori dell’Opac sono 20 situati intorno a Damasco, a Latakya, al-Furqlus e in aree vicine alle zone controllate dai ribelli ad al-Safor, Homs a Hama.
Alla vigilia della risoluzione dell’Onu che ha dato il via alla missione dell’Opac diverse fonti riferirono di almeno una cinquantina di depositi da ispezionare per evitare il rischio che Assad conservi segretamente una parte del suo arsenale. Inoltre nessun riscontro ha fatto seguito alle notizie diffuse dai ribelli secondo cui il regime siriano avrebbe trasferito in Libano e Iraq parte dei suoi arsenali chimici. La credibilità della missione dell’Opac dipende dalla capacità di garantire il recupero e la distruzione di tutte le armi chimiche di Damasco, obiettivo a cui è legata a sua volta la tempistica dell’operazione tenendo conto che non è mai stato tentato il disarmo chimico di un Paese in guerra. In questo caso un conflitto civile nel quale la linea del fronte spesso non esiste e le aree controllate dai ribelli sono sparse a macchia di leopardo su tutto il territorio. Anche il presidente russo, Vladimir Putin, si è detto fiducioso che il regime siriano possa smantellare i gas in un anno ma dal 1997, anno in cui entrò in vigore la Convenzione internazionale sulle armi chimiche, solo tre dei Paesi in possesso di questi arsenali ne hanno completato lo smaltimento: Albania, India e Corea del Sud.
Tutti gli altri, incluse le grandi potenze occidentali (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) hanno dismesso e stoccato in aree sicure le armi chimiche ma senza averne completato la distruzione. Washington ha smantellato il 90% dei suoi arsenali ma quanto resta è pari a 3mila tonnellate di armi, cioè il triplo di quelle che si ritiene siano disponibili a Damasco. Mosca ha distrutto solo il 57% delle 40mila tonnellate di gas e conta di completare il processo entro i prossimi sette anni. Birmania e Israele hanno firmato il Trattato ma non l’hanno ratificato. I birmani dispongono forse ancora di gas, utilizzati in passato contro i ribelli Karen mentre gli israeliani pare dispongano di gas nervino ma soprattutto vogliono evitare le ispezioni dell’Opac (obbligatorie per chi ratifica la convenzione) nell’area segreta di Dimona sede dell’arsenale atomico di Gerusalemme. Se la Siria diverrà il 190° firmatario della Convenzione, un pugno di Paesi non sembrano disposti ad aderirvi. L’Angola, che ha avuto a disposizione armi chimiche sovietiche negli anni ’80, il Sud Sudan che è nato due anni or sono e la Somalia. Paesi che dispongono di eserciti raffazzonati che difficilmente potrebbero impiegare armi chimiche. A differenza dell’Egitto, che pure non ha firmato, primo Paese arabo a dotarsi di queste armi (e a impiegarle nel conflitto yemenita degli anni ’60) che bilancia l’atomica israeliana con un’ampia dotazione di fosgene, Vx e Sarin. L’arsenale chimico più rilevante resta quello nordcoreano accreditato di 5mila tonnellate di armi pronte all’uso e di una capacità produttiva annua di 4.500 tonnellate di aggressivi chimici.