Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 12 Sabato calendario

I CONTESTI URBANI SUPERANO I DISTRETTI


Da tempo, la ricerca economica ha individuato nelle città i motori dello sviluppo. Dal secolo scorso a oggi, la popolazione che vive nelle città è aumentata dal 2% al 55%. Nel 2050 il 70% della popolazione planetaria vivrà nelle città. Non a caso, l’Expo di Shanghai nel 2010 è stato dedicato a Better city, better life, a come migliorare la qualità della vita in ambito urbano. Non a caso Milano e l’Italia puntano sull’Expo 2015 per rilanciare la nostra economia. Negli ultimi dieci anni gli investimenti diretti esteri su scala globale, quelli che latitano nel nostro Paese, si sono indirizzati sempre più verso le zone urbane dei Paesi emergenti. Nel 2000 l’80 percento degli IDE si muovevano verso cinque grandi paesi industriali ; dodici anni dopo questi contano solo per il 39 percento mentre gli emergenti per il 51 percento. Le metropoli attraggono una quota crescente dei questi investimenti: secondo OCO, un think tank specializzato in investimenti internazionali, tra le destinazioni a più alto tasso di sviluppo negli ultimi anni ci sono Chongqing, Rio de Janeiro, San Francisco, Edimburgo, e Bangalore.
Che impatto hanno queste tendenze sul tessuto produttivo italiano? La crescente apertura verso l’estero mette in gioco la rete di relazioni sociali ed economiche del territorio distrettuale - per lo più informali - rischiando di deteriorarne alcuni dei vantaggi competitivi. In una ricerca di prossima pubblicazione da noi curata con Gianluca Santoni ("Le cento Italie della competitività. La dimensione territoriale della produttività delle imprese", Rubbettino editore) ci siamo confrontati col tema della peculiarità manifatturiera nazionale, e delle trasformazioni globali in corso. Partendo da un campione di 61.498 imprese - appartenenti al solo comparto manifatturiero - per il periodo 2001-2010, abbiamo in prima istanza distinto tra le componenti della produttività interne all’impresa e quelle dovute a specifici fattori esterni presenti sul territorio dove l’impresa opera (credito, capitale umano, tasso di criminalità, infrastrutture, ecc.). In seguito, abbiamo cercato di distinguere tra due tipi di benefici legati alle concentrazione delle aziende nello spazio (le economie esterne di cui scriveva Alfred Marshall). Quando tali benefici influenzano tutti i settori, quindi dipendono dalla densità produttiva locale associata con la diversificazione, parliamo di economie di "urbanizzazione". Quando la densità produttiva si realizza nell’ambito di uno specifico settore o filiera industriale, ci riferiamo a economie di "localizzazione" o a un "effetto-distretto".
Per isolare l’effetto distretto dalle economie di urbanizzazione abbiamo utilizzato misure alternative del livello di densità economica nel singolo Sistema Locale del Lavoro (SSL, il metodo Istat che approssima tutte le forme di concentrazione produttiva sul territorio). La produttività delle imprese è stata controllata per tener conto della loro dimensione, età, settore di attività prevalente. I risultati mostrano come, nel decennio considerato, le imprese operanti in aree urbane siano divenute più produttive della media nazionale: a parità di altre condizioni, la loro produttività supera di circa il 7% la media nazionale. Nessun effetto significativo si riscontra invece per l’appartenenza a uno dei tradizionali distretti: il che non significa che questi non funzionino più, ma che la spinta propulsiva in termini di produttività totale dei fattori si è andata affievolendo. In sintesi, dal confronto fra distretti, aree dove l’attività economica è altamente specializzata in alcuni settori ben identificati, e aree urbane dove l’attività economica si concentra sul territorio ma ramificandosi in molti comparti, sembrerebbe che i primi stiano cedendo il loro vantaggio competitivo a vantaggio delle città. Questo sembra in linea con gli sviluppi globali menzionati sopra, anche al netto della specificità industriale italiana: nell’ultimo decennio le aree con un elevato livello di urbanizzazione registrano livelli di produttività superiori, riconducibili a una miglior composizione della forza lavoro e a una maggiore capacità innovativa.