Alessandro Penati, la Repubblica 12/10/2013, 12 ottobre 2013
SALVARE ALITALIA È L’ULTIMO BLUFF
DIFFICILE spiegare la reazione che si prova a vedere un primo ministro e il suo collega dei Trasporti in pellegrinaggio da tutte le aziende pubbliche, solo per celare una realtà evidente: Alitalia è fallita. Bussano alla porta delle Ferrovie dello Stato: si presterebbero a fondere, primo caso al mondo, treni e aerei, con la variante “aerei in dissesto cronico + carrozzone di Stato”.
Per bloccare tale assurdità, arriva il provvidenziale veto dell’Antitrust europeo. Poi tentano con Fintecna: «No grazie. Abbiamo già dato»; nel 2006 il governo di turno gli aveva rifilato 9000 dipendenti dei servizi di terra di Alitalia. Tocca alla Cassa DDPP: «Con il risparmio postale ci avete fatto comprare e finanziare di tutto (Sace, aeroporti, reti, mutui e prestiti, debiti della pubblica amministrazione, Ansaldo, Finmeccanica, Snam, Eni, fino a Surgital e le Generali da Bankitalia). Ma Alitalia proprio no». Allora, vanno direttamente alle Poste, che accettano, spacciando la favola delle sinergie con la loro aerolinea (incredibile ma vero).
Così, le Poste, bruciano 75 milioni solo per far volare Alitalia ancora qualche mese. Altri 75 li mettono Intesa e i Benetton. Intesa, per difendere l’esposizione delle banche (e sua in particolare) di quasi 1 miliardo, più altri 300 milioni tra nuovi crediti e consorzio di garanzia: ma è prioritario evitare altre sofferenze. I Benetton, per difendere l’hub di Roma, a beneficio di AdR, appena fusa in Atlantia, e ingrassata dall’aumento tariffario appena concesso dal Governo (più investimenti sui terreni dei Benetton). Si fa finta che i capitani coraggiosi siano disposti a sborsarne altri 75; ma saranno le banche del consorzio a farlo. Tutto questo solo per migliorare la posizione negoziale con Air France e “costringerla” a versare la sua quota per rimanere azionista, potendo sperare così in una vendita futura, a condizioni migliori delle attuali, indigeribili.
Air France, fatta entrare a suo tempo con una quota di minoranza, ha di fatto un’opzione a trattare in esclusiva. Così, ha lasciato che Alitalia cucinasse a fuoco lento, e marciasse verso il fallimento; per poi offrire di rilevarla per un tozzo di pane: orrore per gli azionisti, che vedono andare in fumo l’obolo fatto a Berlusconi. In più, ad Air France non interessa l’hub di Roma per i voli intercontinentali, ma solo i passeggeri da convogliare sui propri voli da Parigi e Amsterdam: per i Benetton di AdR, un film dell’orrore. Non vuole il debito di Alitalia: orrore per Intesa e le altre banche. E vuole tagliare il costo del personale: orrore per i sindacati, che applaudendo l’intervento delle Poste, continuano a non capire che tenere in piedi aziende decotte serve solo a sprecare soldi pubblici, rinviando gli inevitabili tagli di posti di lavoro e il rilancio dell’azienda. L’intervento del Governo assomiglia dunque a un “bluff” contro Air France, ma per tutelare solo gli interessi di azionisti, banche, e sindacati. Che riesca o meno, il destino di Alitalia non cambia: il suo modello di business non ha futuro. Al massimo, Air France sborserà qualche euro in più. Si poteva e si doveva agire diversamente. Primo: utilizzare le procedure fallimentari. I vecchi azionisti sarebbero spazzati via, assieme ai loro conflitti di interesse; e i crediti non essenziali a volare (biglietti, carburante) convertiti in capitale per azzerare il debito (verso le banche, AdR o per il leasing degli aeroplani ex AirOne). Secondo: intervento esplicito dello Stato (non la farsa delle Poste) per garantire il funzionamento temporaneo dell’azienda, nazionalizzando la nuova Alitalia attraverso un prestito convertibile (come per Chrysler e GM). Terzo: lo Stato esce dal capitale subito dopo, con un’asta competitiva sull’azienda depurata del debito, o sugli slot (il suo vero valore), anche in blocchi, con gli aerei e il personale per servirli.
Che Alitalia sia un pezzo di un gruppo estero o perda la livrea, ai passeggeri, a chi ci lavora e ai contribuenti non importa. Ma questo non può succedere in un Paese dove, proprio nel giorno dell’ingresso delle Poste, l’architetto del disastro Alitalia, Corrado Passera, scende in politica «per una nuova Italia».