Ciro Scognamiglio, La Gazzetta dello Sport 12/10/2013, 12 ottobre 2013
SANTAMBROGIO: «IN UNA NOTTE DA INCUBO HO PENSATO AL PEGGIO»
La mattina è ancora giovane. Il cielo si è svegliato color livido e con il broncio, ma comincia a sorridere. La viuzza che porta a casa di Mauro Santambrogio è nascosta bene e sembra che il rumore non ci abbia mai abitato. Il numero civico è quello giusto. Il cognome sul citofono anche. Mauro però non c’è. E’ la madre che si affaccia e gentilmente dice: «E’ uscito con un amico». Proviamo con un sms al telefonino, allora. «Siamo qui. Ci possiamo vedere?». La risposta arriva 15’ dopo: «Beviamo solo un caffè, non voglio parlare troppo. Incontriamoci a un bar qui vicino, ad Inverigo». Arriva puntuale. La chiacchierata sarà fitta e intensa. «Ho toccato il fondo e forse ci sono andato anche sotto. Adesso però sto meglio. Ho rischiato. Ho capito che stavo facendo una cazzata più grossa di me. L’affetto che in rete ho sentito attorno a me mi ha salvato ».
Notte Il passo indietro alla notte prima è obbligato. Mauro Santambrogio è su twitter come altri 500 milioni di persone nel mondo (dato 2012). L’indirizzo è @maurosanta84. Ha più di 6.000 followers. Non scriveva niente dal 3 giugno, il giorno in cui era arrivata la notizia della sua positività al Giro d’Italia (controllo del 4 maggio, prima tappa a Napoli) che aveva corso da protagonista: vittoria di tappa sullo Jafferau, nono della generale. Il «cinguettio» che arriva online poco dopo le 22 gela il sangue: «Addio mondo». Quello dopo, anche: «Non ce la faccio più». Pensare al peggio – cioè alla volontà di lasciare questa terra — è un attimo. Sette parole possono bastare per urlare al mondo un malessere che è immenso almeno quanto la richiesta di aiuto che si portano appresso. E la «rete» non si tira indietro. La reazione è immediata. Sono tanti quelli che gli rispondono, da tutto il mondo e in diverse lingue: tifosi, colleghi, giornalisti. Il senso è comune: «Forza Mauro, non mollare. Noi ci siamo, vittorie e sconfitte passano ma non si mette mai in gioco la vita». E Santambrogio, circa tre ore più tardi, risponde. I tweet sono quattro e hanno un altro sapore: «Ce la devo e ce la farò a vincere questa corsa. Grazie a voi». «Non ho chiuso occhio, ho riflettuto su tutto, ho rischiato di fare una cazzata più grossa di me e penso non avrei risolto nulla di nulla». «Ma solo portato tanta sofferenza a chi mi sta vicino e mi vuole bene». «Vi ringrazio tutti per avermi aiutato a riflettere e avermi salvato» .
Giorno Il mattino è più maturo ed è baciato da un sole gentile quando Mauro ordina un caffè al ginseng e riflette ancora. Il viso provato. La voce ferma. «Sono stato condannato come sportivo ma soprattutto come uomo, ed è questa seconda cosa che mi ha fatto male. Mi ha ferito profondamente. Non sono un criminale. E poi sono passato in un istante dalle stelle alle stalle. Non che al Giro fossi diventato un campione, ma nel mio piccolo un pochino, all’interno del mio ambiente, mi sentivo come un piccolo dio. Ho perso tutto, sono diventato un appestato. Non ho retto. Il mio mondo è il ciclismo e starci lontano mi fa male. Domenica ho cominciato a guardare il Lombardia, la mia corsa preferita, quella di casa. Ma non ce l’ho fatta. Ho spento e mi sono messo a letto». Mauro ha continuato ad uscire in bici, ogni tanto. «Ma non è la stessa cosa. Quest’estate sono andato in Sardegna, per staccare, l’ho portata ma non l’ho mai usata. Una volta, pedalando dalle mie parti, ho sentito un cicloamatore che mi ha detto “Santambrogio dopato, hai rovinato il ciclismo”. Così ho cominciato a immaginare quello iche la gente poteva dire sul mio conto. Guardi quelle persone che sono sedute a quel tavolo poco lontano. Magari non sanno neanche chi sono. Eppure in situazioni del genere io ho immaginato che si stesse parlando male di me. Un qualcosa di difficile da sopportare». Intanto la vicenda della positività, a più di quattro mesi, non è ancora definita del tutto, nel senso che a Santambrogio — il cui legale è Norma Gimondi, la figlia del grande Felice — non sono arrivate comunicazioni ufficiali dell’Uci sul risultato del campione B. Mauro, che lunedì ha compiuto 29 anni, preferisce non dire troppo sulla vicenda. Ammette che «non era facile convivere con quell’etichetta di eterno secondo che si stava creando, nonostante diverse corse le avessi perse solo per mano di campioni», ma attende in ogni caso che la Federazione Internazionale si esprima in maniera ufficiale prima di valutare il da farsi .
Ombre Le notti di Mauro negli ultimi tempi sono state difficili. Non solo l’ultima. «Avete sentito dire che ero finito a fare il panettiere? L’ho fatto, sì. Un mio amico, che ha il forno vicino a dove abito, è venuto a casa mia, è entrato quasi di prepotenza e mi ha detto: “Invece di passare le notti sveglio a non fare niente, vieni da me a lavorare...” L’ho fatto diverse volte, dalle 2-3 di notte fino alle 10-11. Ho anche imparato il mestiere. Ma se devo dirvi la verità, io continuo a immaginarmi corridore. E’ il mestiere che ho sempre sognato di fare e i sacrifici non mi sono mai pesati. Se avevo cinque ore di allenamento, facevo un minuto in più e mai uno in meno. Questi mesi mi hanno fatto capire quali sono le persone sulle quali posso veramente contare, per contarle mi bastano le dita delle mani. Ma l’affetto che ho sentito in rete dopo quello che ho scritto mi ha fatto bene. Da solo non posso farcela forse, ho chiesto aiuto a uno psicologo che vedrò stasera (ieri sera, ndr). Voglio farcela. Devo farcela». Il congedo è in una parola: «Grazie». Noi gli diciamo arrivederci. La parola addio, Mauro, non vogliamo sentirla più .