Bruno Quaranta, La Stampa 12/10/2013, 12 ottobre 2013
“QUANDO FECI SUONARE LE CAMPANE PER GADDA”
[Alberto Arbasino]
Si può celebrare anche così mezzo secolo di neoavanguardia, alias Gruppo 63. Risalendo lo Stivale, di fratello in fratello d’Italia, per ricevere il premio Bottari Lattes Grinzane fra le Langhe e Torino, rimeditando, il bicchiere in mano, un consiglio del Gran Lombardo: «Per alleviare il tedio d’un giorno strano ci vuole una bottiglia di Barbaresco».
Perché ad Alberto Arbasino il sigillo «La Quercia» è stato assegnato con riferimento a L’ingegnere in blu (Adelphi), di memoria in memoria - così raffinata così schietta, neanche un po’ inamidata - sciogliendo il debito verso Carlo Emilio Gadda, scomparso giusto quarant’anni fa.
Non lontano da Rosati, dirimpetto o quasi l’abitazione dal 1940 al 1943 di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo della Resistenza clandestina in Roma, abita Alberto Arbasino. All’ultimo piano di una casa Anni Venti, come in uniforme, d’impronta piemontese (i costruttori), a misura dell’Ingegnere, della sua maniacale ansia di lucido parquet.
Arbasino, Gadda Maestro di che cosa fu per lei?
«Maestro di stile. Un aggettivo, un avverbio: e subito si avverte il tocco gaddiano».
Chi non lo ha mai accostato?
«Inizi dal Pasticciaccio e dalla Cognizione del dolore. O, meglio, dall’Adalgisa, dove, a risaltare, sono le note: infinite le letture che irradiano».
L’estremo ricordo di Gadda.
«Al suo capezzale, alternandomi con Ludovica Ripa di Meana e Pietro Citati, nella lettura dei Promessi sposi. Rappresentatagli la notte dell’Innominato mi invitò: “E adesso le campane”».
Il personaggio manzoniano a cui Gadda avrebbe voluto assomigliare è Don Abbondio, «per la sua povertà disarmata, per la sua paura fisica...». E lei?
«Mah...Né Renzo né Lucia. E neppure l’Innominato. La mia natura è quieta».
Condivide l’ammirazione di Gadda per «I promessi sposi»?
«Sì, nel senso che è l’unico nostro romanzo. Certo, verranno Svevo e Pirandello, però...».
Come considera Alessandro Manzoni?
«Di recente sono stato, la prima volta, a Brusuglio, nella fu villa della famiglia Manzoni. Una magione neoclassica. Ogni giorno o, comunque, spesso, don Lisander raggiungeva Brusuglio da Milano, facendo ritorno la sera in via Morone. Un’abitudine che misura la distanza fra il suo e il nostro tempo. C’erano una volta gli spazi umani».
Gadda. E Dossi. E Rovani. Secondo Cajumi le «Figurine» di Faldella mostrano «che l’impatto stilistico lombardo trova le sue origini in un piemontese».
«No. Gadda ha sempre ricusato la scapigliatura. A cominciare dal Cagna di Alpinisti ciabattoni».
Un lombardo in Piemonte è un suo concittadino, Franco Antonicelli da Voghera. Nel 2014, a proposito di anniversari, saranno quarant’anni dalla morte.
«Suo fratello, medico, misurava la pressione a mia nonna, ipertesa. E sua sorella Amalia era una grande amica di mia madre. Franco, venendo da Torino, insegnava lo chic. Capitò che annunciasse come sotto la Mole non fosse più considerato “in” servire i cioccolatini in piatti d’argento, bensì in coppe. E così le signore vogheresi si adeguarono».
Antonicelli, smisuratamente gozzaniano.
«Gozzano, sicuramente un mio poeta. Mi sovviene la prefazione di Montale alle sue opere, da Garzanti. Là dove Eusebio mostra dispitto verso gli intellettuali che fingono di amare l’Otello e il Falstaff, ma in realtà hanno orecchi solo per la musica negra. Magari suggestionato, Montale, dal Bel Guido: “Quel che fingo d’essere e non sono!”».
Gozzano sottratto alla retorica da Sanguineti, un alfiere del Gruppo 63.
«Mezzo secolo fa. Creature diversissime, che in comune avevano l’età e l’ambizione di elevare il tono della letteratura».
A Palermo, dove il Gruppo si manifesta, c’è anche Moravia, non invitato.
«Moravia. Come Calvino. Una scrittura, la loro, pulita, anonima. Ideale per essere tradotta. Va da sé l’alterità di Gadda».
Sponsor Calvino, esordisce da Einaudi nel 1957 con «Le piccole vacanze». Un souvenir di Giulio Einaudi?
«Mi rammentava uno di quegli ufficiali di cavalleria di stanza all’ingresso della pregiata pasticceria di Voghera, con il monocolo e il ginocchio elastico, a scrutare il mondo femminile. Un accostamento - glielo partecipai - che non parve lusingarlo».
Moravia contro Pavese.
«Pavese come Vittorini. Il mito dell’America covato mai varcando l’Oceano. Estraneo quindi all’autenticità che ravviva le pagine di Mario Soldati».
Con Moravia, Gadda e Pasolini a pranzo, nel pomeriggio assistendo a «L’eclisse» di Antonioni. Una scena di «Fratelli d’Italia».
«Pasolini. Lo intervistai su temi impegnativi. Celebrò l’incontro ritraendomi (ma gli zigomi sono i suoi). A corredo del disegno un aculeo: “Io rifletto su come nobilmente rispondere a un atto naturalmente abietto di industria culturale”».
Vogliamo scrivere la parola fine alla fine di Pasolini?
«La cupidigia di finire male».
Da Roma alla Lombardia. Originario come lei dell’Oltrepò pavese, Carlo Dossi. Come lei laureato in giurisprudenza e animus diplomatico.
«Mentre i romanzieri cercavano di costruire un vero romanzo, come si provarono Verga, Pirandello, basato pure su cose vissute, Dossi ha edificato, con Note azzurre, il gossip-capolavoro».
Giuristi e dintorni. Quando Bobbio ebbe tra le mani «Fratelli d’Italia» si lamentò: «Manca l’indice!».
«Bobbio e il mio maestro di diritto internazionale, Roberto Ago, avevano sposato due sorelle. Le famiglie trascorrevano, da copione, le vacanze a Courmayeur. Ago mi ragguagliò che con Bobbio aprivano i miei libri a caso, piluccando qua e là, e ridacchiando. Circa l’indice, convengo: occorrerebbe. E soprattutto le note: quanti primi attori e quante comparse di ieri ai più non dicono ormai nulla?».
Tra i suoi amori letterari, Proust, no?
«Proust, sì, Primo amore. Trascorrendo le stagioni sedimentatosi nel background, con Musil, con Joyce...».
Il musicofilo Arbasino, Per il Bottari Lattes a Torino, città wagneriana. Wagner o Verdi?
«Wagner e Verdi».
Come egregiamente sintetizzò Mila: «Violetta muore come Isotta».
«Già, Mila, che incontravo a Strasburgo, che onorava la critica sull’Espresso, cedendo il testimone a Lele D’Amico...Quando c’era la critica, in questo e in quel campo...».
Scende a velocità ridotta, l’ascensore di Arbasino. Tale l’ascensore di Mauriac, «pigro», come lo raccontava Guido Piovene. Fratelli d’Italia. Fratelli d’Europa.