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 2013  ottobre 12 Sabato calendario

MUORE A CENTO ANNI IL BOIA DELLE FOSSE ARDEATINE E LASCIA UN VIDEO CHOC


Il tempo non passa, questo tempo non passerà mai, anche se ora dietro alla porta della casa del terzo piano con in alto sul muro la scritta «Vae Victis» (Guai ai vinti), c’è un uomo di 100 anni che ha smesso per sempre di respirare. Dimitru Ploscaru, il portiere romeno dello stabile di via Cardinale San Felice numero 5, zona Boccea, zona di commercianti ebrei con la kippah che ora tirano un sospiro di sollievo dopo anni di turbamento e polemiche per la convivenza ingombrante, ieri mattina alle 11 ha portato come sempre la posta a Erich Priebke. «Io l’ho visto, a quell’ora era ancora vivo», racconta emozionato Dimitru sul portone.
E come ogni giorno anche ieri mattina il capitano delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, si era messo a leggere la posta sul divano, assistito — ormai quasi sordo e con vuoti di memoria — dalla sua badante straniera. Lettere, cartoline, una volta gli arrivò pure una bambola di pezza, regalo-simbolo-avvertimento della signora Annamaria Canacci, sorella di Ilario, 17 anni, martire anche lui il 24 marzo del 1944 dei fucili nazisti: 335 vittime innocenti e mai dimenticate. «Esistono delle certezze nella religione. Quelli delle Fosse Ardeatine sono degli angeli e si occuperanno di lui per l’eternità. Priebke farà i conti con loro nell’altro mondo», questo ha detto appena ha saputo della sua morte, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che mercoledì prossimo, 16 ottobre, settantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, accoglierà in visita il presidente Giorgio Napolitano. La morte di Priebke alla vigilia di una così terribile ricorrenza. Vendetta del destino? «La vendetta non ci interessa — taglia corto Angelo Sermoneta, 65 anni, leader dei Ragazzi del ‘48, la storica associazione di via Reginella dei duri e puri del Ghetto —. Se n’è andato un criminale che non si è mai pentito. Lassù, se esiste, dovrà vedersela con chi di dovere...».
L’avvocato Paolo Giachini, che dal 1998 fino a ieri ha ospitato Priebke ai domiciliari nella sua casa di Boccea, affrontando anche il dispiacere mai dissimulato di sua madre Serenella, nobile professoressa di materie classiche al liceo, scomparsa appena quest’estate, dice che il Capitano è morto all’ora di pranzo, «senza soffrire», chiudendo semplicemente gli occhi sul divano, «morto di vecchiaia», dopo che nelle ultime settimane aveva avuto un crollo improvviso, era stato anche in ospedale e non aveva più avuto la forza di prendere i permessi per fare le sue contestatissime passeggiate tra le ville, i parchi e i ristoranti di Roma.
Però ieri ha lasciato un video-testamento che assomiglia molto a quello del 2003 e che s’intitolava proprio «Vae Victis», Guai ai vinti, la celebre frase di Brenno scolpita nella targa sulla porta di casa: «Non rinnego il mio passato — afferma Priebke anche in punto di morte —. Ho scelto di essere me stesso, fedele al mio passato e ai miei ideali». E ancora: «A Norimberga sono state inventate un’infinità di accuse. Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero camere a gas aspettiamo ancora le prove. Io sono stato a Mauthausen: c’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas, salvo quella costruita a guerra finita dagli americani a Dachau. E i filmati dei lager erano falsi». L’Olocausto, per lui, fu solo frutto di «coscienze manipolate».
Il figlio di Priebke, Jorge, 68 anni, ora spera che suo padre possa tornare, almeno da morto, a Bariloche (Argentina) da dove fu estradato nel ‘94, per essere sepolto accanto a sua moglie Alice. «Esistono delle difficoltà burocratiche — rivela l’avvocato Giachini — perché il presidente Menem, al momento dell’espulsione, lo dichiarò cittadino indesiderato». La conferma arriva da Buenos Aires: il ministero degli Esteri ha dato ordine di respingere la salma.
Ora, così come in occasione del suo centesimo compleanno, il 29 luglio scorso, sulla Rete c’è già chi s’affretta a celebrarlo. Mario Merlino, ex Avanguardia nazionale e Ordine nuovo, sulla sua pagina Facebook ha scritto un epitaffio: «Oggi Il Capitano Erich Priebke, nel silenzio della consegna del soldato al servizio dell’Idea, ha raggiunto i camerati che lo hanno preceduto sul campo dell’Onore». Seguiranno polemiche, come sempre.
Ma l’ora suprema è arrivata e ieri sera, alle 20.30, chiuso in un sacco verde della mortuaria, Erich Priebke ha lasciato il suo penultimo domicilio. L’ultimo, se sarà mai la pace eterna, lo dovrà invece ancora trovare. «Lui è morto nel suo letto a 100 anni — soffia al telefono Nicoletta Stame, nipote di Ugo, torturato in via Tasso —. Mentre noi due giorni fa seppellivamo il caro Giuseppe Bolgia, 83 anni, figlio di Michele il ferroviere ammazzato anche lui alle Ardeatine. Priebke è sopravvissuto pure ai figli delle sue vittime. È questa la vera, grande ingiustizia». Il tempo che non passa, che non può passare.
Fabrizio Caccia