Paolo Conti, Corriere della Sera 12/10/2013, 12 ottobre 2013
SCELSE LUI LE 335 VITTIME, NON SENTÌ MAI LA COLPA
L’ha monotonamente ripetuto negli anni in tante interviste, quasi tutte uguali: «Si può pentire solo chi ha delle colpe. E io cosa dovrei rimproverarmi? Il mio è stato l’atto di un militare che doveva obbedire agli ordini. Come è capitato ad altre centinaia di migliaia di soldati. Così come capita ancora oggi».
Erich Priebke è morto da vero nazista. Da autentico esponente prima della Gestapa , il Geheim Staatspolizei Amt , l’ufficio della polizia speciale hitleriana in cui si individuavano e schedavano gli oppositori del regime nazista, e poi da capitano delle SS, le squadre di protezione Schutzstaffeln , l’unità militare considerata la tragica élite del nazismo. Mai un atto di dolore per essere stato, col tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, l’aguzzino delle Fosse Ardeatine. Fu lui, quel 23 marzo 1944, a stendere materialmente a macchina, sotto la dettatura di Kappler, la lista degli uomini da uccidere per rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella. Dieci fucilati per ciascun tedesco, decisero da Berlino. Dunque sulla carta 330 persone. Ma alla fine furono 335, un «errore di calcolo» che non salvò quelle vite: furono uccisi tutti, ogni testimone sarebbe stato troppo scomodo. Priebke dal settembre 1943 «lavorava» con Kappler a via Tasso, nella palazzina di san Giovanni dove i capi della Resistenza romana venivano atrocemente torturati. Eppure il boia delle Ardeatine e di via Tasso mai chiese perdono.
Il primo gruppo di vittime per le Fosse Ardeatine fu individuato tra i Todeskandidaten, cioè tra i già condannati a morte detenuti nelle prigioni dei Servizi segreti tedeschi a Roma. Poi vennero aggiunti 57 detenuti ebrei, molti rinchiusi nel carcere storico di Regina Coeli: tra loro c’erano i sette Spizzichino, tutti i maschi di un’intera famiglia. Ma non bastavano. Nella lista finirono detenuti politici, esponenti della Resistenza o semplici sospettati di esserne simpatizzanti. Alcuni uomini furono rastrellati a caso per le vie di Roma. Tutti poi vennero radunati e trasportati alle cave delle Fosse Ardeatine. Per «risparmiare tempo e munizioni» Priebke decise, con l’altro capitano SS Karl Hass, di rinunciare al plotone di esecuzione: i prigionieri entravano nelle grotte a gruppi di cinque, con le mani legate dietro la schiena, e lì venivano uccisi con un colpo alla nuca. Persino tra le SS ci fu chi non resse. Il soldato Amonn non ebbe la forza di sparare e svenne. Il caporale Wetjen esitò a lungo e Kappler lo «aiutò» nella grotta a sparare. L’eccidio durò ben tre ore e mezzo. Priebke, che uccise personalmente per due volte, spuntava i nomi dalla lista appena gli uomini entravano nelle grotte e morivano. Ci volle anche molto alcool per sostenere i nervi dei soldati, qualche vittima agonizzò a lungo. Concluso l’eccidio, i nazisti fecero saltare con gli esplosivi l’accesso alle grotte. La notizia della strage si sparse silenziosamente per Roma, l’orrore fu immenso. Già il 30 marzo alcuni ragazzini, giocando, scoprirono le tracce del massacro.
Priebke dopo la guerra sparì. Grazie probabilmente a monsignor Alois Hudal, rettore della chiesa tedesca a Roma di Santa Maria dell’Anima, ottenne un passaporto che gli consentì di raggiungere Buenos Aires. Negli anni arrivò persino il benessere, diventò proprietario di una clinica privata a San Carlos de Bariloche. Qui lo ritrovò, il 12 maggio 1994, una troupe del network americano Abc. Gli chiesero: «È lei Erich Priebke?» Lui rispose semplicemente di sì. Arrivò la richiesta di estradizione dall’Italia, l’Argentina lo consegnò nel novembre 1995. Il 1 agosto 1996, con una sentenza che indignò i tanti che attendevano giustizia, il Tribunale militare dichiarò estinto il reato per intervenuta prescrizione. La Corte di Cassazione, il 15 ottobre 1996, annullò la sentenza. Il 4 aprile 1997 riprese il processo. In primo grado una condanna ad appena 15 anni, di cui 10 condonati. Infine l’ergastolo in Appello, confermato dalla Cassazione e la concessione degli arresti domiciliari.
Gli ultimi anni di Priebke registrano passeggiate e bevute di birra che indignarono la comunità ebraica romana, e non solo. Lui rimaneva imperturbabile. Come alle Fosse Ardeatine. E come di fronte, fino all’ultimo, alla sua coscienza di ufficiale nazista.
Paolo Conti