Giacomo Galeazzi, La Stampa 12/10/2013, 12 ottobre 2013
NIGERIA, UN COLPO DI MACHETE HA FERMATO “MAMMA AFRA”
L’arcivescovo di Ibadan, Felix Job le aveva affidato un compito degno di Madre Teresa: «garantire il diritto allo studio» nel disastrato Delta del Niger. Il sogno di far rinascere una regione martoriata è finito in una di quelle tragedie per cui papa Francesco nel viaggio a Cagliari ha invocato l’aiuto di Dio. Una violenza inaudita ha spezzato una missione a metà tra cielo e terra. Massacrata a colpi di machete alla testa è morta dopo dodici giorni di agonia. Afra Martinelli, 78 anni, missionaria originaria della provincia di Brescia.
«Il Pontefice segue con angoscia la vicenda di chi per amore degli altri ha sacrificato la sua vita: questo è il momento del dolore e della preghiera», spiega il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. La Segreteria di Stato raccoglie attraverso diocesi e nunziature le informazioni sul martirio dei cristiani nel Terzo Mondo.
Il Papa ha messo le «periferie» e le missioni al centro della Chiesa universale. «Quel che accade a chi predica nel mondo il Vangelo della misericordia è la preoccupazione prioritaria del Pontefice», sottolinea padre Lombardi. La «maestra degli ultimi» non ha retto alle gravi ferite riportate due settimane fa nel corso di una rapina nella sua abitazione a Oguashi-Ukwu, 30mila abitanti a 400 chilometri da Lagos in Nigeria. Si è spenta per un atto di «criminalità comune» nella terra che da anni vede scorrere sangue dei martiri cristiani del fondamentalismo islamici.
«Gestiva una scuola e tutto fa pensare che l’abbiano uccisa per rubare nella struttura - osserva padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia missionaria Asianews -. Tanti nelle missioni muoiono come lei. Nella casa dei missionari i banditi sanno di trovare qualcosa di più di quello che hanno nella propria. E sanno che sono indifesi, senza armi». La notte del 26 settembre «Mamma Afra» è stata aggredita nella sua abitazione. I suoi 18 collaboratori del Centro Regina Mundi l’hanno trovata la mattina seguente riversa in una pozza di sangue e con una ferita alla nuca. Era ancora viva, ma le sue condizioni erano apparse da subito gravissime.
«Volevano attribuirle la cittadinanza onoraria ma lei era contraria, diceva di non aver fatto nulla - racconta il fratello Enrico Martinelli -. Da quando era stata chiamata nel Paese africano dal vescovo di Ibadan, Afra continuava a ottenere riconoscimenti». Un piccolo miracolo lo aveva già compiuto. Una struttura che ospita ragazzi e ragazze, dove c’è una scuola di informatica e un collegio per chi viene da lontano e non può tornare a casa ogni giorno. Era persino riuscita a raccogliere le offerte per un generatore, un bene raro e prezioso nel sud della Nigeria ricco di petrolio ma ostaggio di povertà e bande criminali.
«Non aveva paura - aggiunge il fratello Enrico - ma solo tanta voglia di condividere; con i cristiani, che nel Delta del Niger sono maggioranza, con gli animisti e i fedeli di altre religioni tradizionali». La scia di sangue nei confronti dei cristiani nel mondo è lunga. Nel solo 2012 si stima che ne siano stati uccisi 105mila, secondo i dati dell’Osservatorio della libertà religiosa.
La Nigeria non è nuova a episodi di violenza interreligiosa. A essere particolarmente colpite sono soprattutto le regioni del nord-est, dove da anni detta legge il gruppo fondamentalista islamico dei Boko Haram, che contesta l’educazione occidentale e vuole imporre la Sharia (legge islamica). Nelle aree centrali del Paese - regioni che dividono il nord a maggioranza musulmano dal sud cristiano e animista - sono più frequenti episodi di microcriminalità o conflitti interetnici provocati da rivalità legate al controllo della terra e del bestiame. Il sud del Paese è stato spesso teatro di attacchi, condotti da gruppi armati, contro multinazionali del petrolio. In queste aree sono poco diffuse le violenze interconfessionali e le attività terroristiche degli jihadisti. Sia «in odium fidei» o per il coraggio di restare dove tutti scappano, «Mamma Afra» è già tra i martiri disarmati di una Chiesa che attraverso associazioni e istituzioni benefiche propone la «civiltà dell’amore» come alternativa alla «strumentalizzazione del finto dio della violenza» alla «globalizzazione dell’indifferenza».