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 2013  ottobre 12 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I FUNERALI DI PRIEBKE


I funerali di Erich Piebke non saranno celebrati in nessuna chiesa di Roma. Il Vicariato di Roma non ha indugi e vieta riti pubblici per il boia delle Fosse Ardeatine. Lo stop arriva a poche ore di distanza dalle parole dell’avvocato dell’ex ufficiale delle Ss, morto ieri nella sua casa romana, che annunciava un rito, martedì prossimo, in una chiesa del centro cittadino. E mentre a pochi metri dalla sua abitazione, nel quartiere Boccea, in via Cardinale Parocchi, è comparsa la scritta: "Onore a Priebke" con una svastica, poi cancellata nel pomeriggio, anche il sindaco Marino alza barriere su riti funebri pubblici ed eventuali sepolture in città.
E’ bufera sui funerali del boia delle Fosse Ardeatine morto all’età di 100 anni. "Non è previsto alcun funerale in chiesa a Roma per Erich Priebke", ha sottolineato il Vicariato della capitale. Il legale Paolo Giachini aveva poco prima reso noto che le esequie si sarebbero svolte molto probabilmente "martedì in una chiesa del centro" di Roma. Una comunicazione cui ha fatto subito seguito anche una nota del questore di Roma, Fulvio Della Rocca che, di comune accordo col prefetto Pecoraro, ha vietato "qualsiasi cerimonia solenne". Una "decisione ovvia", che "non ci stupisce - ha incalzato l’avvocato di Priebke - la cerimonia sarà privata per parenti e amici".
Interviene il sindaco di Roma, Ignazio Marino: "Ho concordato con prefetto e questore che sarà negata qualunque forma di funerali solenni. Saranno eventualmente consentite solo esequie in forma strettamente privata. Sul punto il prefetto chiamerà il cardinale vicario". E ancora Marino: "Roma è una città antinazifascista che ha sofferto drammaticamente. Proprio nei giorni in cui si ricorda il 70esimo anniversario del rastrellamento del Ghetto, non può diventare luogo di manifestazioni a favore di chi ha inflitto tanta sofferenza nelle persone che vivono in questa città". E sull’ipotesi di una tomba dell’ex capitano nazista nella capitale, il primo cittadino ha osservato: "Sarebbe un’ulteriore offesa per Roma, però io sono il sindaco di Roma devo rispettare la legge. Mi impegno però a compiere ogni azione per impedire che le sue spoglie restino nella Capitale"
E intanto don Gianmarco Merlo, viceparroco della parrocchia San Pio V, la chiesa nella cui giurisdizione rientra anche via Sanfelice, residenza dell’ex capitano delle Ss, ha precisato: "A noi non è arrivata nessuna richiesta di celebrare il funerale di Priebke. Se arrivasse la prenderemo in considerazione. Non sapevo neanche che fossimo noi la sua parrocchia - ha aggiunto Merlo - In linea di massima i funerali si celebrano nella parrocchia di appartenenza, quindi se la famiglia di Priebke decidesse di celebrare il rito religioso si dovrebbe rivolgere a noi’’.
Nel caso di una celebrazione privata dei funerali in chiesa, che non sarebbe comunque vietata, la Questura di Roma prenderà tutte le misure di sicurezza adeguate. "Sono assolutamente d’accordo con il questore e il prefetto - ha spiegato l’avvocato Giachini - Noi non abbiamo mai pensato di fare qualcosa che assomigliasse a qualcosa di solenne o a una manifestazione politica. Se qualcuno paventa questa cosa lo fa in mala fede ed è una provocazione. Faremo il nostro funerale ma senza nessun significato di solennità o di esaltazione di valori politici".
Il giallo della sepoltura. Intanto, l’Argentina si oppone alla sepoltura di Erich Priebke nel paese. Su twitter, il ministero degli Esteri di Buenos Aires ha reso noto che il ministro degli Esteri He’ctor Timerman "ha dato ordine di non accettare alcuna misura che consenta l’ingresso dei resti del criminale nazista Erich Priebke in Argentina". "Gli argentini non accettano questo tipo di affronti alla dignità umana", ha reso noto la stessa fonte dopo l’annuncio di ieri secondo cui Priebke sarebbe stato sepolto a fianco della moglie a Bariloche. Ha replicato il legale dell’ex Ss. Che ha anche spiegato: "Non esiste un no del governo argentino all’ingresso della salma nel Paese perché non è stata fatta ancora alcuna richiesta. Potrebbe essere seppellito in Germania - spiega Giachini - Priebke è nato a Berlino, il suo grande amore per la Germania non l’ha mai dimenticato". Quanto a una eventuale cremazione, l’avvocato spiega che "sarà la famiglia a decidere, non ne ho discusso con i parenti". Categorico il sindaco Marino: "Per quanto mi riguarda compirò ogni azione per impedire una sua eventuale sepoltura a Roma".
I funerali il giorno prima del rastrellamento del Ghetto. "L’Anpi di Roma ribadisce che questi funerali non possono trasformarsi in una manifestazione di apologia del nazi-fascismo. Chiediamo alle autorità competenti di vigilare su questo punto e procedere, secondo le legge italiana qualora si manifestasse con simboli, gesti, slogan contrari alla nostra Costituzione - ha precisato il presidente dell’Anpi di Roma Francesco Polcaro - In questo caso il problema non sarebbero i morti ma i vivi". Non vuole sentir parlare dei funerali di Priebke a Roma, Giulia Spizzichino, ebrea romana di 86 anni e con alle spalle una famiglia sterminata tra il rastrellamento del Ghetto e le Fosse Ardeatine: "Immaginavo che lo avrebbero mollato qui. In Argentina mica lo vogliono. Ora il rischio è che abbia anche una tomba a Roma e che questa diventi un luogo di pellegrinaggio. Come è stato per Mussolini. E’ davvero incredibile. E’ morto come un angelo sul divano. Lucido, senza rinnegare nulla. E’ proprio vero: era imparentato col demonio...Perché‚ non lo rimandano in Germania? Non è bastato tutto quello che ha detto? Non so se la comunità ebraica vorrà fare qualcosa, ma sicuramente qui a Roma non lo vogliamo" ha concluso.
L’avvocato Paolo Giachini: "Il funerale? E’ un diritto"
" Da 2mila anni non è
mai stato cacciato nessuno da una chiesa e non mi risulta che si possa fare neppure legalmente", prosegue l’avvocato Paolo Giachini.
"Sarà comunque una cerimonia funebre privata - ha specificato Giachini - parteciperanno parenti e amici stretti. Non deve avere un tono che possa avere riscontri politici e di solennità. Per fissare con precisione il luogo dei funerali aspettiamo il certificato di morte affinché si possa traslare la salma".

L’INTERVISTA IN CUI NEGA L’OLOCAUSTO
ROMA - Nessun cenno alle Fosse Ardeatine, ma la negazione dell’Olocausto e una difesa a oltranza del regime nazista anche se "Il Nazionalismo è scomparso e oggi non avrebbe nessuna possibilità di tornare". Non mancano le frasi shock nelle sette pagine dell’intervista testamento che il legale di Erich Priebke, Paolo Giachini ha diffuso dopo la morte del suo assistito a Roma. "Nei campi di concentramento non c’erano camere a gas (...) ma solo immense cucine. Già durante la guerra gli alleati hanno cominciato a fabbricare false prove sui crimini nazisti", scrive l’ex capitano delle SS, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. "Ancora oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti al mondo, dobbiamo constatare che notevole parte di loro sono ebrei".
Priebke firma la prima e l’ultima pagina dell’intervista-testamento, aggiungendo a mano la nota "Nella ricorrenza dei miei 100 anni", compiuti pochi mesi prima della morte. All’Italia dedica solo pochi cenni, il nazista delle SS mai pentito si concentra sulla persecuzione degli ebrei e l’Olocausto con l’intento di "riscattare la dignità" del suo popolo. "La prima volta che ho sentito di cose simili la guerra era finita ed io mi trovavo in un campo di concentramento inglese. Ero insieme a Walter Rauff. Rimanemmo allibiti. Non potevamo assolutamente credere a fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e bambini. Nonostante fossimo tutti SS mai a nessuno di noi erano giunte alle orecchie cose simili".
Morto Erich Priebke, l’intervista testamento "Le camere a gas non c’erano, solo cucine"
Il gerarca, colpevole per la strage delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, in cui 335 civili e militari furono fucilati come rappresaglia per un attacco partigiano che aveva provocato la morte di 33 militari tedeschi, riconosce che "antisemitismo vuol dire odio" ma aggiunge: "Ho sempre rifiutato l’odio". Le persecuzioni contro gli ebrei? "In Germania sin dai primi del Novecento si criticava il comportamento degli ebrei", "Le prime leggi, definite razziali di Hitler, non limitavano i diritti degli ebrei più di quanto fossero limitati quelli dei neri in diversi stati Usa. Inglesi e francesi non si sono comportati molto diversamente con i sudditi delle loro colonie". "Hitler li aveva incoraggiati in tutti i modi a lasciare la Germania". L’intervistatore arriva a chiedere: "La colpa quindi di ciò che gli ebrei hanno subito secondo lei sarebbe degli ebrei stessi?" La risposta: "La colpa è un po’ di tutte le parti".
Priebke, 68 anni dopo la fine dell’ultimo conflitto mondiale, si sente ancora in guerra. Il suo nemico è l’America, e "la farsa" del Processo di Norimberga. L’accusa è che le prove erano tutte fabbricate dagli alleati, "hanno cominciato quando la guerra era ancora in corso". Ma dice: se "delle prove dell’Olocausto verranno fuori", "La mia posizione è di condanna tassativa per fatti del genere... sono inaccettabili come quello che è successo agli indiani d’America, ai kulaki in Russia, agli italiani infoibati in Istria, agli armeni in Turchia, ai prigionieri nei campi di concentramento americani in Germania".

PEZZO DI PAOLO CONTI STAMATTINA SUL CORRIERE
ROMA — L’ha monotonamente ripetuto negli anni in tante interviste, quasi tutte uguali: «Si può pentire solo chi ha delle colpe. E io cosa dovrei rimproverarmi? Il mio è stato l’atto di un militare che doveva obbedire agli ordini. Come è capitato ad altre centinaia di migliaia di soldati. Così come capita ancora oggi».
Erich Priebke è morto da vero nazista. Da autentico esponente prima della Gestapa , il Geheim Staatspolizei Amt , l’ufficio della polizia speciale hitleriana in cui si individuavano e schedavano gli oppositori del regime nazista, e poi da capitano delle SS, le squadre di protezione Schutzstaffeln , l’unità militare considerata la tragica élite del nazismo. Mai un atto di dolore per essere stato, col tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, l’aguzzino delle Fosse Ardeatine. Fu lui, quel 23 marzo 1944, a stendere materialmente a macchina, sotto la dettatura di Kappler, la lista degli uomini da uccidere per rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella. Dieci fucilati per ciascun tedesco, decisero da Berlino. Dunque sulla carta 330 persone. Ma alla fine furono 335, un «errore di calcolo» che non salvò quelle vite: furono uccisi tutti, ogni testimone sarebbe stato troppo scomodo. Priebke dal settembre 1943 «lavorava» con Kappler a via Tasso, nella palazzina di san Giovanni dove i capi della Resistenza romana venivano atrocemente torturati. Eppure il boia delle Ardeatine e di via Tasso mai chiese perdono.
Il primo gruppo di vittime per le Fosse Ardeatine fu individuato tra i Todeskandidaten, cioè tra i già condannati a morte detenuti nelle prigioni dei Servizi segreti tedeschi a Roma. Poi vennero aggiunti 57 detenuti ebrei, molti rinchiusi nel carcere storico di Regina Coeli: tra loro c’erano i sette Spizzichino, tutti i maschi di un’intera famiglia. Ma non bastavano. Nella lista finirono detenuti politici, esponenti della Resistenza o semplici sospettati di esserne simpatizzanti. Alcuni uomini furono rastrellati a caso per le vie di Roma. Tutti poi vennero radunati e trasportati alle cave delle Fosse Ardeatine. Per «risparmiare tempo e munizioni» Priebke decise, con l’altro capitano SS Karl Hass, di rinunciare al plotone di esecuzione: i prigionieri entravano nelle grotte a gruppi di cinque, con le mani legate dietro la schiena, e lì venivano uccisi con un colpo alla nuca. Persino tra le SS ci fu chi non resse. Il soldato Amonn non ebbe la forza di sparare e svenne. Il caporale Wetjen esitò a lungo e Kappler lo «aiutò» nella grotta a sparare. L’eccidio durò ben tre ore e mezzo. Priebke, che uccise personalmente per due volte, spuntava i nomi dalla lista appena gli uomini entravano nelle grotte e morivano. Ci volle anche molto alcool per sostenere i nervi dei soldati, qualche vittima agonizzò a lungo. Concluso l’eccidio, i nazisti fecero saltare con gli esplosivi l’accesso alle grotte. La notizia della strage si sparse silenziosamente per Roma, l’orrore fu immenso. Già il 30 marzo alcuni ragazzini, giocando, scoprirono le tracce del massacro.
Priebke dopo la guerra sparì. Grazie probabilmente a monsignor Alois Hudal, rettore della chiesa tedesca a Roma di Santa Maria dell’Anima, ottenne un passaporto che gli consentì di raggiungere Buenos Aires. Negli anni arrivò persino il benessere, diventò proprietario di una clinica privata a San Carlos de Bariloche. Qui lo ritrovò, il 12 maggio 1994, una troupe del network americano Abc. Gli chiesero: «È lei Erich Priebke?» Lui rispose semplicemente di sì. Arrivò la richiesta di estradizione dall’Italia, l’Argentina lo consegnò nel novembre 1995. Il 1 agosto 1996, con una sentenza che indignò i tanti che attendevano giustizia, il Tribunale militare dichiarò estinto il reato per intervenuta prescrizione. La Corte di Cassazione, il 15 ottobre 1996, annullò la sentenza. Il 4 aprile 1997 riprese il processo. In primo grado una condanna ad appena 15 anni, di cui 10 condonati. Infine l’ergastolo in Appello, confermato dalla Cassazione e la concessione degli arresti domiciliari.
Gli ultimi anni di Priebke registrano passeggiate e bevute di birra che indignarono la comunità ebraica romana, e non solo. Lui rimaneva imperturbabile. Come alle Fosse Ardeatine. E come di fronte, fino all’ultimo, alla sua coscienza di ufficiale nazista.
Paolo Conti

PEZZO SUL CDS DI STAMANE
ROMA — «Io in questo momento non provo né gioia né pietà. Non provo, a essere sincero, nessun sentimento. So soltanto una cosa. Nessuno di noi sa cosa avviene “dopo”, cosa ci aspetta al di là della morte. Alcune religioni sostengono che saremo chiamati a fare i conti con ciò che abbiamo fatto in terra. Non nascondo che, se fosse vero, per giustizia sarei contento se Priebke dovrà subire le conseguenze di quanto ha fatto». Piero Terracina (nella foto) parla pacatamente. Proprio come assicura lui stesso: la sua voce non tradisce né gioia né pietà. E nemmeno ira. Eppure Terracina, ebreo romano, classe 1928, è uno dei sopravvissuti al campo di concentramento nazista di Auschwitz. E avrebbe ogni ragione per nutrire rancore. Riuscì a scampare dal primo rastrellamento nazista nell’area dell’antico Ghetto, il 16 ottobre 1943. Poi successivamente fu catturato e internato con altri otto membri della sua famiglia. Lui fu l’unico a tornare vivo a Roma. Cosa rappresenta per gli ebrei romani Priebke? «Quella parola per noi ebrei rappresenta semplicemente la morte. È stato l’artefice del massacro che sappiamo e il nostro ricordo non può che essere immensamente negativo. Ormai sono passati settant’anni, è chiaro che persino l’odio si attenua. Insomma, questa morte mi lascia alla fine indifferente.»
P. Co.

CRONACA SUL CDS DI STAMATTINA
ROMA — Il tempo non passa, questo tempo non passerà mai, anche se ora dietro alla porta della casa del terzo piano con in alto sul muro la scritta «Vae Victis» (Guai ai vinti), c’è un uomo di 100 anni che ha smesso per sempre di respirare. Dimitru Ploscaru, il portiere romeno dello stabile di via Cardinale San Felice numero 5, zona Boccea, zona di commercianti ebrei con la kippah che ora tirano un sospiro di sollievo dopo anni di turbamento e polemiche per la convivenza ingombrante, ieri mattina alle 11 ha portato come sempre la posta a Erich Priebke. «Io l’ho visto, a quell’ora era ancora vivo», racconta emozionato Dimitru sul portone.
E come ogni giorno anche ieri mattina il capitano delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, si era messo a leggere la posta sul divano, assistito — ormai quasi sordo e con vuoti di memoria — dalla sua badante straniera. Lettere, cartoline, una volta gli arrivò pure una bambola di pezza, regalo-simbolo-avvertimento della signora Annamaria Canacci, sorella di Ilario, 17 anni, martire anche lui il 24 marzo del 1944 dei fucili nazisti: 335 vittime innocenti e mai dimenticate. «Esistono delle certezze nella religione. Quelli delle Fosse Ardeatine sono degli angeli e si occuperanno di lui per l’eternità. Priebke farà i conti con loro nell’altro mondo», questo ha detto appena ha saputo della sua morte, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che mercoledì prossimo, 16 ottobre, settantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, accoglierà in visita il presidente Giorgio Napolitano. La morte di Priebke alla vigilia di una così terribile ricorrenza. Vendetta del destino? «La vendetta non ci interessa — taglia corto Angelo Sermoneta, 65 anni, leader dei Ragazzi del ‘48, la storica associazione di via Reginella dei duri e puri del Ghetto —. Se n’è andato un criminale che non si è mai pentito. Lassù, se esiste, dovrà vedersela con chi di dovere...».
L’avvocato Paolo Giachini, che dal 1998 fino a ieri ha ospitato Priebke ai domiciliari nella sua casa di Boccea, affrontando anche il dispiacere mai dissimulato di sua madre Serenella, nobile professoressa di materie classiche al liceo, scomparsa appena quest’estate, dice che il Capitano è morto all’ora di pranzo, «senza soffrire», chiudendo semplicemente gli occhi sul divano, «morto di vecchiaia», dopo che nelle ultime settimane aveva avuto un crollo improvviso, era stato anche in ospedale e non aveva più avuto la forza di prendere i permessi per fare le sue contestatissime passeggiate tra le ville, i parchi e i ristoranti di Roma.
Però ieri ha lasciato un video-testamento che assomiglia molto a quello del 2003 e che s’intitolava proprio «Vae Victis», Guai ai vinti, la celebre frase di Brenno scolpita nella targa sulla porta di casa: «Non rinnego il mio passato — afferma Priebke anche in punto di morte —. Ho scelto di essere me stesso, fedele al mio passato e ai miei ideali». E ancora: «A Norimberga sono state inventate un’infinità di accuse. Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero camere a gas aspettiamo ancora le prove. Io sono stato a Mauthausen: c’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas, salvo quella costruita a guerra finita dagli americani a Dachau. E i filmati dei lager erano falsi». L’Olocausto, per lui, fu solo frutto di «coscienze manipolate».
Il figlio di Priebke, Jorge, 68 anni, ora spera che suo padre possa tornare, almeno da morto, a Bariloche (Argentina) da dove fu estradato nel ‘94, per essere sepolto accanto a sua moglie Alice. «Esistono delle difficoltà burocratiche — rivela l’avvocato Giachini — perché il presidente Menem, al momento dell’espulsione, lo dichiarò cittadino indesiderato». La conferma arriva da Buenos Aires: il ministero degli Esteri ha dato ordine di respingere la salma.
Ora, così come in occasione del suo centesimo compleanno, il 29 luglio scorso, sulla Rete c’è già chi s’affretta a celebrarlo. Mario Merlino, ex Avanguardia nazionale e Ordine nuovo, sulla sua pagina Facebook ha scritto un epitaffio: «Oggi Il Capitano Erich Priebke, nel silenzio della consegna del soldato al servizio dell’Idea, ha raggiunto i camerati che lo hanno preceduto sul campo dell’Onore». Seguiranno polemiche, come sempre.
Ma l’ora suprema è arrivata e ieri sera, alle 20.30, chiuso in un sacco verde della mortuaria, Erich Priebke ha lasciato il suo penultimo domicilio. L’ultimo, se sarà mai la pace eterna, lo dovrà invece ancora trovare. «Lui è morto nel suo letto a 100 anni — soffia al telefono Nicoletta Stame, nipote di Ugo, torturato in via Tasso —. Mentre noi due giorni fa seppellivamo il caro Giuseppe Bolgia, 83 anni, figlio di Michele il ferroviere ammazzato anche lui alle Ardeatine. Priebke è sopravvissuto pure ai figli delle sue vittime. È questa la vera, grande ingiustizia». Il tempo che non passa, che non può passare.
Fabrizio Caccia

LETTERA DI MONTANELLI A PRIEBKE (DAL GIORNALE DI STAMATTINA)

«Signor Capitano», iniziava così una lettera firmata di suo pugno, che Indro Montanelli indirizzò a Erich Priebke. Una missiva poco nota, che ai tempi delle sentenze contro l’ex ufficiale nazista, alla fine sfociate nell’ergastolo, non trovò spazio sui giornali.

Montanelli non ha mai avuto timore di esprimersi pubblicamente, più volte, sottolineando come i conti con la giustizia e la storia del «capitano» fossero giunti fuori tempo massimo. Una lettera ancora oggi «scottante» per il tono di comprensione usato nei confronti di Priebke.
La missiva mi fu consegnata nel 1997, durante un’intervista con l’ex ufficiale nazista, quando era ancora agli arresti domiciliari nel convento francescano di Frascati. Montanelli l’aveva scritta con la sua macchina per scrivere a Cortina d’Ampezzo, come si legge nell’intestazione. La data non è riportata, ma nelle prime righe il giornalista si dispiace per la «sentenza insensata» di condanna. Secondo l’avvocato di Priebke, Montanelli la scrisse nella primavera del 1996. In quell’anno Priebke fu condannato a 15 anni. Nel 1998, infine, arrivò l’ergastolo confermato in Cassazione. Solo nel 2009 ottenne il permesso di uscire saltuariamente di casa, dove era ai domiciliari. «Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto», scrive Montanelli. E lo fa ricordando che il massacro delle Ardeatine è costato la vita «a due miei vecchi e cari amici». Il colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, medaglia d’oro alla memoria, che aderì alla Resistenza e Filippo De Grenet. I due furono arrestati assieme e torturati.
Montanelli, per non sminuire la portata della rappresaglia purtroppo usanza comune durante la guerra, ricorda a Priebke che nel ’44 si trovava prigioniero dei tedeschi nel carcere milanese di San Vittore. «Dove potevo subire la stessa sorte toccata agli ostaggi delle Ardeatine», scrive. Il giornalista pensava che Priebke, prima o dopo, sarebbe tornato in libertà. E concludeva la missiva ricordando all’ex ufficiale del Terzo Reich «che anche fra noi italiani ci sono degli uomini che pensano giusto"» e che non hanno paura di dirlo ad alta voce o di scriverlo sui giornali «anche quando coloro che pensano e vedono ingiusto sono i padroni della piazza». Prima di firmare la missiva di 18 righe Montanelli conclude, «Auguri, signor Capitano».

MARIO CERVI SU PRIEBKE
ROMA – “Erich Priebke era diventato il simbolo della ferocia nazista. Gli spettasse o no questo dubbio onore è tutto da discutere”: questo il commento di Mario Cervi in un video-editoriale sul Giornale.it.
Commenta Cervi: “Priebke aveva partecipato alla strage delle Fosse Ardeatine, su questo non c’è dubbio. Partecipato come capitano delle SS. Era agli ordini del famigerato colonnello Kappler, che in quell’occasione ebbe un accanimento, ebbe una voglia di sangue assolutamente orribili.
Nel 1948 il colonnello Kappler fu portato a processo davanti al tribunale militare di Roma, e fu condannato all’ergastolo. Tutti i suoi subordinati, cioè gli ufficiali che erano alle sue dipendenze – salvo Priebke che era già scappato verso l’Argentina dove poi si rifugiò – furono assolti per aver eseguito ordini superiori.
Se Priebke fosse stato processato insieme agli altri, sarebbe stato sicuramente assolto. Questo naturalmente non giustifica nulla del suo percorso di nazista. E pare che nel suo testamento abbia confermato la sua fede nel regime hitleriano, contraddicendo quello che poco tempo fa aveva detto in un’altra intervista.
Però Priebke non fu catturato dalle autorità internazionali, fu segnalato da una televisione americana, che lo trovo a Bariloce, sulle Ande argentine, dove viveva da decenni. Era venuto anche in vacanza in Italia. Quindi la sua vicenda ha assunto un rilievo, un’importanza forse sproporzionata rispetto al personaggio.
Poi le vicende attraverso le quali si arrivò alla condanna all’ergastolo sono state un po’ discutibili. Comunque nessuna pietà e nessun rimpianto per questo esecutore degli ordini di Hitler. Se lo posso rilevare, personalmente, i criminali di guerra italiani non sono stati mai portati a processo e condannati“.