Left 12/10/2013, 12 ottobre 2013
IL GIOCO GRANDE DEL POTERE
Sandra Bonsanti nel suo libro Il gioco grande del potere (Chiarelettere, 2013) riesce a riprendere il filo che accomuna i grandi casi misteriosi che hanno costellato la storia della nostra Repubblica e arricchendolo di ricordi personali, riesce a far scoprire anche al lettore più distante l’indicibile segreto nel quale questi fatti sono stati immersi per decenni. Lo fa con leggerezza, con immagini e ricordi e non con dimostrazioni teoriche, lo fa con garbo ed eleganza, lo fa dando sempre il diritto di replica alle persone coinvolte. Quello che colpisce leggendo questo libro, è proprio la correttezza deontologica di Sandra, che ha incontrato molte delle persone coinvolte in stragi o strategie criminali e da loro è riuscita a farsi dire brani di verità preziosi, mozziconi di parole illuminanti e talvolta perfino minacce esplicite ed emblematiche.
Sono pochi i giornalisti che, dopo essersi occupati per tutta la loro vita di questi casi ancora irrisolti, non si danno per sconfitti e mettono in fila i loro ricordi, ricostruiscono il legame tra i fatti, i personaggi, le loro parole di allora e cercano di capire il perché di quello che è successo. Il ragionamento a posteriori di una giornalista come Sandra, che ha parlato con gli attori del grande gioco del potere, offre oggi un dato che prima mancava: quello delle conseguenze di quei fatti nel corso della storia e quindi offre la possibilità di decifrare quelle frasi che allora sembravano oscure e che oggi rendono finalmente possibile comprendere quell’indicibile segreto che sbarrava ogni possibile conoscenza. Quando questa comprensione avviene, tanti faldoni letti, tante interviste fatte, tanto tempo passato a pensare, tutto si annulla e rimane quella chiarezza che ti fa dire “come ho fatto a non accorgermene prima”, perché quella intuizione era presente dal primo giorno, dal primo caso, ma trattenuta in silenzio per la sua indecenza, per la sua arroganza, per la sua indimostrabilità.
I giorni presenti sono riempiti dalle immagini di giornalisti affannati che inseguono con le loro telecamere nascoste, i politici del momento, sventolando verbali di intercettazioni di sconosciuta provenienza, come fossero loro il pm di turno, per poi riuscire a ottenere come risposta soltanto l’immancabile insulto. Viene da domandarsi: “Ma che razza di giornalismo stanno facendo? Come pensano di crearsi delle fonti in quel modo?”. Da sempre le fonti migliori sono i potenti o i criminali e per cogliere anche solo una sillaba da loro, bisogna saperli rispettare, ascoltarli, non aggredirli. Da questo punto di vista la lezione di Sandra Bonsanti è straordinaria per il suo equilibrio.
Ad esempio quando Sandra incontrò Licio Gelli questi affermò di aver conosciuto il padre di lei, e di averci parlato, ma alla richiesta di dettagli sul dove e quando, non fu in grado di rispondere. Era un raffinato tentativo di intimidazione. Incontrare una persona non significa accettare per vero tutto quello che ti dice, ma al contrario vuol dire essere in grado di vagliare e decifrare i suoi discorsi, talvolta attraverso piccole frasi che irrompono quasi involontariamente ma, significative, come la frase che le disse Franco Evangelisti, il braccio destro di Andreotti: «Ma a te che te se deve fare, te se deve spara’?» alla quale Sandra rispose con prontezza: «Non sarebbe la prima volta che cercate di risolvere così i vostri problemi». La storia raccontata da Sandra inizia, come quella di una intera generazione di giornalisti, dalla prima strage, quella di piazza Fontana, lei ricorda che il direttore della piccola redazione del Mondo, Arrigo Benedetti disse subito: «Sono stati i fascisti» poi il suo ricordo la porta ad una frase che le disse in un’altra occasione Tina Anselmi allora a capo della Commissione parlamentare sulla P2: «Susanna Agnelli mi ha raccontato che suo fratello Gianni mi voleva informare che il vero capo della P2 era Lelio Lagorio». Ma nell’elenco da poco scoperto il nome di Lagorio non c’era. Poi a Sandra affiora ancora un altro ricordo, un incontro con il ministro della Difesa Lelio Lagorio proprio dopo la morte misteriosa di Roberto Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra il 17 giugno 1982, Lagorio interruppe il sorriso stampato sul volto, si fermò davanti a lei e le disse con tono basso ed aggressivo: «Se continui così ti troverai sotto un ponte». Sandra è andata molto vicino ad essere colpita. Un pomeriggio mentre sua figlia maggiore si trovava in casa a fare i compiti, due individui in tuta con una tanica di benzina sono saliti al quinto piano davanti alla sua porta per versare della benzina dentro il suo appartamento e incendiarle la casa, fu la portiera a rendersi conto di quello che stava succedendo, trafelata li raggiunse e li costrinse alla fuga. Un altro personaggio del gioco grande che Sandra ha conosciuto è stato Carmelo Spagnuolo, procuratore generale della Corte d’Appello, di cui si diceva che fosse uno degli uomini più informati sugli affari interni di Cosa nostra, sui padrini politici e sui complici che operavano nei palazzi di giustizia di Milano e di Roma. Uno che si diceva sedesse più in alto di Licio Gelli e che conoscesse le ragioni della morte di Enrico Mattei e del giornalista Mauro De Mauro. A quei tempi aveva deciso di fare la guerra al questore Angelo Mangano e si era fatto molti nemici. Sandra gli chiese di incontrarlo e lui non solo accettò, ma finito il primo incontro, le chiese di tornare anche il pomeriggio successivo. Le raccontò una storia incredibile che chiese poi di non pubblicare. Sandra rispettò quella richiesta e ne parla solo ora dopo che i personaggi di quel periodo sono deceduti. Spagnuolo spiegò che tutto era cominciato in Sicilia, là si forgiarono le alleanze e le guerre che poi coinvolsero il resto dell’Italia, a quei tempi la guerra fu tra la mafia che sosteneva Amintore Fanfani e quella che aveva deciso di stare con Giulio Andreotti e che piano piano stava aggregando tutte le altre famiglie.
Le raccontò che bastava osservare la storia di Graziano Verzotto per capire cosa stava succedendo nel Paese. Verzotto, uomo di Amintore Fanfani, l’ultimo a volare con Mattei prima dell’esplosione dell’aereo, fu presidente dell’Ente minerario siciliano che oltre a impiegare capimafia del livello di Giuseppe Cristina, investiva capitali ingenti nella banca di Sindona che era divenuta la banca dove venivano riciclati i soldi della mafia: dei Gambino, dei Badalamenti, dei Fidanzati, dei Bontade. Secondo Spagnuolo, Mattei fu ucciso perché qualcuno aveva fatto credere ai francesi che stesse rifornendo di armi gli algerini. Ma non si trattava di Mattei, bensì, sosteneva Spagnuolo, dell’avvocato Vito Guarrasi. «De Mauro era sulla pista giusta per il caso Mattei. Aveva avuto un colloquio di circa tre ore con il procuratore di Palermo Pietro Scaglione». Poco dopo De Mauro fu ucciso e lo stesso Procuratore Scaglione fu ucciso un anno dopo. Quando nel 1975 Dc, Psi e Pci fecero un accordo sulla Regione, Verzotto fu costretto a dimettersi: il giorno dopo sfuggì miracolosamente a un misterioso tentativo di sequestro e da allora scomparve per molti anni nel nulla. E il potere fu tutto nelle mani della mafia corleonese, l’ala che sosteneva Andreotti secondo Carmelo Spagnulo. Almeno fino al 1992. Dopo quarant’anni i giudici della Corte d’Assise di Palermo arrivarono alle stesse conclusioni che aveva raccontato Spagnuolo sulla morte di Mattei e sull’omicidio di De Mauro. Secondo Spagnuolo il gioco grande del potere iniziò quando il bandito Giuliano fu ucciso da Luciano Liggio, tutte le versioni date alla stampa che coinvolgevano i carabinieri e Gaspare Piscotta furono versioni false, versioni di comodo per coprire la verità dei fatti. La nuova mafia secondo il procuratore, «non aveva tribunali, ma cosche riunite attorno a un capo non eletto ma imposto». Secondo Spagnuolo, padrino di questa nuova mafia era «il ragno». Così lo chiamava; una sorta di mostro che rispondeva al nome di Vito Guarrasi.
A Sandra Bonsanti fu raccontato un altro episodio misterioso legato a questo primo squarcio del gioco grande del potere: la rapida ascesa e l’altrettanto rapida caduta del banchiere Michele Sindona. Il banchiere che riciclava l’enorme flusso di capitali prodotti dal traffico di eroina delle famiglie mafiose italiane e americane i cui soldi servirono a finanziare operazioni negli Stati oltre cortina. Qualcuno racconta che la stessa guerra dei Corleonesi contro i Bontade, gli Inzerillo, i Badalamenti altro non fu che l’eliminazione dei creditori di Sindona dopo la sua bancarotta, almeno considerando che in queste famiglie ci furono 1.061 vittime e tra i Corleonesi nessuna vittima. Anche il banchiere Michele Sindona cercò di contattare Sandra Bonsanti: le scrisse alcune lettere piene di menzogne e minacce dalla prigione poco prima di morire avvelenato. Poi Sandra racconta gli incontri con i leader dell’eversione nera come Pino Rauti, le minacce da parte delle Brigate rosse, la consapevolezza che il piano di Riforma democratica scritto da Licio Gelli assieme a Francesco Cosentino segretario generale di Montecitorio, non era molto diverso dal piano di riforma della Costituzione che il partito di Berlusconi sta cercando insistentemente di portare avanti. È una storia troppo lunga per essere raccontata in un solo articolo e troppo bella per essere sintetizzata così rapidamente, ma in questo suo percorso Sandra scopre un’indicibile verità: il cosiddetto Antistato, il mondo del crimine contro il quale combatte dai tempi della prima strage, viene appoggiato sostenuto e coperto dallo stesso Stato e questa battaglia non potrà mai essere vittoriosa se non si tiene traccia precisa di quelli che davvero combattono a difesa dello Stato e di quelli che invece difendendo e coprono l’Antistato. Senza aspettare sentenze definitive, è possibile rintracciare notizie preziose sulla contorta linea di divisione tra i tanti attori del gioco del Potere, la linea di demarcazione esiste: se rileggete le ricorrenze delle loro dichiarazioni nei diversi periodi storici siete in grado di rintracciare precisamente chi difendeva lo Stato e chi lo voleva conquistare. Se leggete questo libro sarete in grado di individuare quei nomi di rintracciare quella linea che arriva fino ai giorni nostri. Mi auguro che lo facciate.