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 2013  ottobre 12 Sabato calendario

ALITALIA, L’ULTIMO COLPO DEI PATRIOTI


Tutto come previsto. Il consiglio d’amministrazione di Alitalia ha varato ieri sera l’aumento di capitale che impedisce il collasso dell’azienda. Lunedì lo porterà all’approvazione dell’assemblea degli azionisti, che voteranno serenamente sì, tanto ormai sono quasi tutti fuori della partita.
Formalmente l’aumento di capitale è la richiesta ai soci di mettere altri capitali in azienda, in proporzione alle quote azionarie possedute. Ma l’azionista non è obbligato a sottoscrivere. È stato deciso di chiedere 300 milioni, sufficienti a dare un altro anno di vita all’azienda ormai decotta. Il primo azionista, Air France, ha il 25 per cento delle azioni, e quindi dovrà mettere 75 milioni. Escludendo poi gli azionisti che sono in galera, quelli che non hanno più una lira e quelli che, come direbbe il presidente Napolitano, se ne fregano, rimangono la Immsi della famiglia Colaninno (ha il 7,1 per cento e la sua quota sarà 21 milioni) e Atlantia dei Benetton, che è chiamata a versare 21 milioni. Siamo a 123 milioni, e qui arrivano i nostri. Poste Italiane si è dichiarata disposta a versare 75 milioni per sottoscrivere azioni inoptate (cioè quelle degli azionisti scomparsi). Unicredit e Intesa Sanpaolo sono disponibili a versare a loro volta 100 milioni di ulteriore inoptato. Siamo arrivati a 298 milioni. I patrioti sconfitti ci mettono solo 50 milioni, il resto lo paga Air France (che quindi si conferma nuova padrona di fatto, chiacchiere a parte) e soprattutto lo Stato e le banche.

IL COMUNICATO emesso ieri sera da Alitalia è stupefacente: “L’intero Consiglio di Amministrazione ha espresso viva soddisfazione per l’approvazione di una manovra fondamentale che – con una imponente iniezione di mezzi freschi – pone solide basi per il futuro della Compagnia”. Solide basi? Vediamo. Unicredit e Intesa ci mettono 100 milioni di capitale, oltre a 200 milioni di ulteriori prestiti, perché devono a ogni costo evitare il commissariamento, un default che significherebbe per loro perdere i crediti che vantano verso Alitalia (in tutto i debiti sono di circa un miliardo, ma secondo Il Sole 24 Ore un calcolo più attento potrebbe arrivare a due miliardi).
Ma già almeno un mese fa, quando è entrata nel vivo la trattativa tra Air France e Colaninno per la prevista traslazione della ex compagnia di bandiera sotto controllo francese, lo scontro si è fatto durissimo. Air France chiedeva la bad company che si tenesse i debiti in modo da prendersi una compagnia “pulita”. Esattamente ciò che Silvio Berlusconi consentì a Colaninno nel 2008, solo che allora i debiti li pagò lo Stato perché Alitalia era pubblica, adesso non li pagherebbe nessuno. Obiettivo dell’aumento di capitale è convincere Air France a prendersi anche i debiti, magari lasciandole mano libera su licenziamenti e taglio delle rotte, contrariamente a quanto si sta strillando in questi giorni.
Per questo è cominciata una drammatizzazione ben orchestrata, complice il consueto coro di politici e sindacalisti, per far credere che il commissariamento di Alitalia avrebbe comportato il blocco degli aerei e il collasso irreparabile. Come se nel 2008 Alitalia non fosse stata commissariata e non avesse continuato a operare regolarmente sotto il commissario Augusto Fantozzi per ben 4 mesi prima di passare ai patrioti.

DECISIVO per acuire il clima di allarme (Alitalia doveva esplodere oggi o domani se non fosse intervenuto il cda di ieri) l’intervento del numero uno dell’Eni, Paolo Scaroni, che ha annunciato ufficialmente la cessazione delle forniture di carburante al-l’Alitalia perché morosa per 30 milioni di euro. Una cifra risibile per l’Eni, ma utile per costruirci sopra il romanzo del “default questione di ore”. E così, mentre il presidente Colaninno diceva ancora a luglio che tutto andava benissimo e che Alitalia non aveva nessun bisogno di nuovo capitale, è diventato improvvisamente indifferibile il reperimento di denaro pubblico da regalare ai patrioti. Dopo il no secco del duo di testa della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, che hanno anche minacciato le dimissioni, e quello di Mauro Moretti delle Fs, il premier Enrico Letta ha finalmente incassato il sì di Massimo Sarmi, numero uno delle Poste. Che la prossima primavera scadrà, e dovrà chiedera a Letta il rinnovo del mandato. Proprio come Scaroni.
Twitter@giorgiomeletti