Luigi Grassia, La Stampa 12/10/2013, 12 ottobre 2013
TASSE, CONTRIBUTI E AUTHORITY SEVERE COME PERDERE 1,6 MILIONI AL GIORNO
Domanda: che cos’è un milionario? Risposta: è un miliardario che ha investito in una compagnia aerea. La battuta circola nel settore. E non si riferisce solo all’Alitalia, ma la nostra ex compagnia di bandiera spicca come mangia-risorse. Nel primo semestre 2013 ha perso 1,6 milioni di euro al giorno. E nei 5 anni della gestione Cai il rosso cumulato è di 1,13 miliardi. Come mai?
La prima ipotesi è che la nuova Alitalia abbia continuato con i vizi della vecchia: costi troppo alti, sprechi. Invece Gregory Alegi, docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss Business School, dice che il problema non stava lì: «Una grande ristrutturazione è stata fatta dalla Cai durante la gestione di Sabelli, e certi privilegi insostenibili come quello dei piloti che venivano prelevati a casa in auto sono stati aboliti. Il costo del lavoro è diminuito. Eppure la compagnia ha continuato a perdere». Un altro analista aeronautico e docente della Luiss, Antonio Bordoni, sposta l’attenzione sui vincoli esterni: «Per quanto sia stato tagliato il costo del lavoro, in Alitalia il cuneo fiscale e contributivo pesa per 200 milioni all’anno. E questo è insostenibile contro Ryanair e le altre low cost». In più, accusa Bordoni, l’Alitalia ha subìto una specie di accanimento delle varie Authority, per cui a tutti gli operatori del settore (aeroporti e compagnie concorrenti) è stato consentito di guadagnare dal trasporto aereo, tranne che alll’Alitalia: «Per fare un solo esempio, se l’Enac permette alla Emirates di volare da Milano a New York, sottraendo quote di mercato all’Alitalia, significa che si è scelto di privilegiare gli interessi della Sea di Milano a danno di quelli della ex compagnia di bandiera. Anche da decisioni come questa derivano coefficienti di riempimento degli aerei di Alitalia inferiori a quelli che potrebbero essere. E se l’Antitrust punisce la fusione Alitalia-AirOne, accusandola di posizione di monopolio sulla Roma-Milano, e costringe la nuova compagnia a cedere voli, la mette in svantaggio rispetto a Air France e a Lufthansa, che a casa loro lucrano su rendite di posizione ben più forti senza che nessuno le ostacoli».
Invece da parte di Bordoni non c’è alcuna comprensione per la solita geremiade sui prezzi del carburante: «Alitalia come tutte le compagnie fa già pagare a parte il sovrapprezzo per il “fuel surcharge”, poi non può lamentarsi una seconda volta per il petrolio che rincara. Si è già rifatta di ogni possibile aumento con quel sovrapprezzo».
Gregory Alegi sposta l’attenzione sugli errori di strategia di Alitalia che le hanno fatto perdere introiti. «Nel 2008 c’era già l’Alta velocità ferroviaria ed erano già lanciate le low cost. Eppure la nuova Alitalia targata Cai ha deciso di concentrarsi proprio sul breve e medio raggio, cioè sui voli nazionali ed europei, dove la concorrenza era massima e i margini minimi». Invece per una miope politica di risparmio sono state tagliate le rotte intercontinentali, che sono le più remunerative: perché ospitano molte poltrone business o di prima classe che costano di più, e anche i sedili cosiddetti «economy plus», tutti extra che aumentano i margini delle compagnie ma che difficilmente vengono cercati dai viaggiatori nei voli brevi .
Ma Alitalia non ha fatto proprio niente per il rilancio dei voli a lungo raggio? «Poco - incalza Alegi -. E anche le poche rotte intercontinentali aperte sono state dei gravi errori. Per esempio il collegamento con Fortaleza in Brasile: una destinazione turistica, con scarsa clientela business e una forte concorrenza da parte dei voli charter». L’analista lamenta che i collegamenti diretti con le nostre città d’arte siano stati abbandonati alle compagnie straniere: «È l’americana Delta, e non Alitalia, a collegare direttamente New York con Venezia e Pisa (cioè con Firenze) ed è la Air Canada a fare il diretto Toronto-Venezia. Invece Alitalia si concentra sul Venezia-Catania che certo ha un valore sociale ma rende poco».
Sul piano fattuale Alegi vede anche un grave errore nella semplificazione dei prezzi praticata durante la gestione di Ragnetti: «L’intenzione era buona, ma ne è risultato un calo degli introiti».