Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La crisi non è finita, ieri le Borse sono crollate un’altra volta e Obama ha fatto un discorso tremendo…
• Sa che, effettivamente, m’ero illuso che avessimo cominciato a uscirne?
Non se ne parlava più troppo, le Borse hanno fatto l’altalena e non sembrava che puntassero più decisamente verso il basso. Ho letto anche da qualche parte che gli acquisti di Natale in America sono andati bene, qualcosa come +17% rispetto all’anno scorso. Dalla crisi non possiamo uscire per le ragioni che abbiamo detto il primo giorno in cui ce ne siamo occupati. Il mondo occidentale ha un debito enorme e non sa come ripianarlo, se non togliendogli valore (inflazione). L’entità di questo debito non si conosce. I crac che si sono succeduti – Lehman, ma anche l’Islanda – non sono abbastanza grandi per la dimensione del problema. Deve arrivare un crac più grande ancora, qualcosa che ci scuota dalle fondamenta.
• L’automobile americana?
Forse. Anche se lì siamo nell’economia reale, cioè in sbagli di prodotto e di politiche commerciali. I tre capi di Chrisler, Ford e General Motors sono andati giovedì a chiedere al Congresso 34 miliardi di dollari. Con questi soldi (che potrebbero non ricevere) garantiscono di arrivare a febbraio. Senza questi soldi, c’è il fallimento prima di Natale. Che cosa significa il fallimento? Due milioni e mezzo di posti di lavoro in fumo o forse addirittura quattro (con precisione non lo sa nessuno) e un costo di mille miliardi di dollari. Mille miliardi di dollari! Ci siamo abituati a pronunciare questi numeri e non ne percepiamo quasi più il senso. Il primo piano Paulson era di 700 miliardi di dollari e pochi giorni fa ne ha varato un altro da 800 miliardi. 800+700 fa 1.500, cioè tutto il nostro Pil di un anno. Ma la Federal Reserve, dall’agosto 2007, ha immesso nel sistema, come liquidità o come garanzie sulle esposizioni di banche sciagurate, almeno altri 2.500 miliardi. Più o meno altrettanto ha fatto l’Europa. Siamo a sei-settemila miliardi di euro o di dollari e le banche si continuano a tenere stretto il denaro che prendono in prestito dalla Fed o da Francoforte. Ieri Obama ha detto quello che ha detto per via dei dati sulla disoccupazione.
• Che cosa ha detto?
«La crisi economica in atto probabilmente prima di migliorare peggiorerà». Significa: stiamo precipitando e non ci siamo ancora fermati. Le agenzie di stampa strologavano su stimoli fiscali per mille miliardi. Cioè: altri mille miliardi. Non credo che sappiano di che cosa parlano. I dati sulla disoccupazione in novembre sono tremendi: in un solo mese si sono persi 533 mila posti di lavoro (tasso del 6,7). La media dei posti di lavoro persi negli ultimi tre mesi è di 419 mila espulsioni ogni trenta giorni. Nel periodo gennaio-agosto questa media era di 82.000. Il pil del terzo trimestre Usa è sceso di mezzo punto. Piena recessione.
• Le Borse sono andate giù per questo?
Milano ha perso il 4,74 (livello di settembre 2007), Parigi il 5,5, Francoforte il 4, Londra il 2,7. C’è anche il prezzo del petrolio, arrivato sotto i 40 dollari. Putin, che campa col greggio, è dovuto andare in televisione per dire al popolo: tranquilli, abbiamo un mucchio di riserve a cui attingere. Non ha detto che a quelle riserve sta già attingendo da un pezzo e che ne ha perso probabilmente un terzo. La crisi americana ha un impatto forte sulla Cina. I cinesi esportavano e americani, europei e giapponesi compravano a man bassa. Ora che non comprano più sono nei guai anche loro.
• Si diceva che i cinesi sono così tanti che da soli sarebbero bastati, con i loro consumi, a fare sviluppo.
Fino a un certo punto. Intanto i ricchi cinesi, cioè quella borghesia alta e media che compra davvero automobili e frigoriferi, è fatta alla fine di 200 milioni di persone. Il resto è ancora in gran parte un popolo da sfamare, da scaldare e a cui dare un tetto. E centinaia di migliaia di uomini e donne hanno abbandonato le campagne per trasferirisi in città. La crisi cinese, specchio della crisi mondiale, è descritta dai numeri: i consumi di carbone e di energia elettrica, gli acquisti delle automobili, i consumi di gasolio (che segnalano l’attività dei camion) sono tutti scesi. Non è una recessione, perché il tasso di crescita è comunque dell’8% almeno, ma una frenata, e anche notevole, sì. Lei sa che l’Europa vorrebbe mettere insieme 200 miliardi pigliando un 1,5% o magari un 2% del Pil da ognuno. Sarà un problema, perché gli Stati europei, senza dirlo, si stanno facendo da qualche mese una guerra sotterranea che sarà ancora più cruenta l’anno prossimo. Il problema che questa guerra pone è molto semplice: quanti possono salvarsi mentre gli altri vanno a fondo? O l’inabissarsi di un solo soggetto troppo grosso trascinerà inevitabilmente tutti gli altri?
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